Corte di Cassazione sentenza n. 27436 depositata il 20 settembre 2022
attribuzione categoria catastale – atto tributario
RILEVATO CHE:
1. con l’avviso di accertamento AR0024510/2014 notificato alla suindicata ricorrente in data 11 marzo 2014 l’Agenzia delle Entrate riclassificava la categoria catastale proposta dalla contribuente con procedura docfa (B/2 “case di cura ed ospedali senza scopi di lucro”) in relazione all’immobile sito nel Comune di Arezzo – Località Agazzi – Piano S1 terra e 1 (zona censuaria 2 categoria D/4 – folio B/44 – particella 163 – sub. 12), confermando la categoria catastale D/4 (“case di cura ed ospedali con fini di lucro”) precedentemente attribuita al bene;
2. la Commissione tributaria provinciale di Arezzo, accoglieva, con sentenza 171/2/2016, il ricorso proposto dalla contribuente ed annullava il suindicato avviso, ritenendo che l’attività svolta dall’ente nel predetto fabbricato fosse riconducibile sia ad un’attività religiosa, che socio-sanitaria e di assistenza, svolta in regime di convenzione con la Regione Toscana e quindi non in presenza di corrispettivi determinati dall’Ente in regime di libera contrattazione, come tale integrante un’attività di natura non commerciale, senza scopo di lucro;
3. la Commissione tributaria regionale della Toscana, con la sentenza impugnata, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia, sostenendo – diversamente da quanto ritenuto dal primo Giudice – che nel predetto fabbricato venisse svolta «attività di natura commerciale che non può essere negata dalla esistenza del rapporto convenzionale tra l’ente in questione e la Regione Toscana», aggiungendo che «ai servizi sanitari dell’ente in questione possono accedere anche pazienti privati non in convenzione che sottoscrivono un impegno di pagamento con intestazione direttamente al paziente» e che «l’attività in ambito assistenziale e sanitario ha carattere commerciale, anche se i profitti generati da tali attività non vengono distribuiti per essere utilizzati per fini privati ma vengono impiegati per svolgimento dell’attività primaria dell’ente».
4. avverso tale sentenza la Provincia della Presentazione di Maria SS.ma dei Padri Passionisti proponeva ricorso per cassazione, notificato il 2 aprile 2019, formulando seguenti tre motivi d’impugnazione e depositando successivamente memoria ex art. 378 p.c.;
5. l’Agenzia delle Entrate notificava controricorso in data 10 maggio 2019, concludendo per il rigetto del ricorso;
CONSIDERATO CHE:
6. con il primo motivo di ricorso la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata, denunciando, in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 10, 11 del R.D. 652/1939 e degli artt. 5, 6, 7 del d.P.R. 1142/1949, assumendo la sussistenza delle condizioni per procedere alla classificazione del bene nella categoria B/2 proposta in luogo di quella (D/4) confermata dall’Ufficio, in ragione del fatto che l’edificio è strutturato ed adibito per lo svolgimento di attività senza scopo di lucro da un ente non commerciale e che l’attività sanitaria viene svolta in regime di accreditamento con l’Asl di Arezzo e di convenzionamento con la Regione Toscana, con corrispettivi predeterminati dalle tariffe predisposte dalla Giunta Regionale sulla base dei criteri stabiliti dal Ministero della Sanità e che, quindi, «né l‘attività svolta al suo interno né il soggetto esercente detta attività hanno scopo di lucro» (v. pagina n. 9 del ricorso), ricordando che «l’attività svolta negli immobili .. è di fatto in perdita … e l’esistenza di una convezione che determina i corrispettivi sulla base dei costi standard inclusivi del costo del personale … integrano perciò perfettamente il requisito non lucrativo richiesto per essere ammessi nella categoria catastale 8/2 … »(v. pagina n. 11 del ricorso);
l’istante ha, dunque, concluso sul punto, sostenendo che l’assenza del fine di lucro giustificava l’attribuzione della categoria proposta, come chiarito dalla giurisprudenza di merito e di legittimità (Cass. n. 25134/2016) citata;
7. con il secondo motivo di ricorso la ricorrente ha lamentato, in relazione all’art. 360, co. 1 n. 5, c.p.c., l’omesso esame del fatto decisivo che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti, «ossia quello relativo all’esistenza di un fine di lucro ai fini dell’accatastamento nella categoria 0/4», limitandosi invece ad affermare che l’ente svolgeva attività commerciale;
8. con il terzo motivo di ricorso la contribuente ha denunciato, in relazione all’art. 360, co. 1 n. 4, c.p.c., l’omessa e/o apparente motivazione, in violazione degli 36 d.P.R. 546/1992, 112 e 132, co. 1, n.4, c.p.c., non avendo esposto le ragioni per le quali ha ritenuto corretta l’attribuzione della categoria D/4 e non avendo spiegato perché ha ritenuto sussistente il perseguimento del fine di lucro da parte dell’ente ecclesiastico, scopo questo non confondibile con il realizzo di ricavi dall’esercizio dell’attività;
OSSERVA
9. Il ricorso non è fondato. Di seguito le ragioni, con le quali si esaminano congiuntamente i primi due motivi di censura, innanzitutto osservando che non sussiste il denunciato vizio di motivazione della sentenza impugnata, in quanto il suo riepilogato contenuto dà pieno conto delle ragioni di fatto e di diritto e del percorso logico seguito per giungere alla soluzione adottata, il che induce subito a rigettare il terzo motivo di impugnazione.
10. Il nucleo essenziale della controversia ruota sulla riconducibilità dei beni (prima della procedura docfa assegnati alla cat. D4) alla categoria B2 proposta dalla contribuente.
La categoria D4 contempla le “Case di cura ed ospedali”, quando per le loro caratteristiche non sono comparabili con le unità tipo di riferimento (proposizione quest’ultima che si declina “con scopo di lucro”).
La categoria B2 contempla, invece, le “Case di cure ed ospedali”, quando per le loro caratteristiche risultano comparabili con le unità tipo di riferimento (proposizione quest’ultima che si traduce nella locuzione “senza scopo di lucro”).
Il distinguo attiene, quindi, alla presenza o meno dello scopo di lucro, ma non nel senso considerato dalla ricorrente e nemmeno dalla sentenza impugnata, concernente l’attività concretamente svolta dal titolare dei beni.
Questa Corte, infatti, è costante nel ritenere che:
«Il provvedimento di attribuzione della rendita catastale di un immobile è un atto tributario che inerisce al bene che ne costituisce l’oggetto, secondo una prospettiva di tipo “reale”, riferita alle caratteristiche oggettive (costruttive e tipologiche in genere), che costituiscono il nucleo sostanziale della cd. “destinazione ordinaria”, sicchè l’idoneità del bene a produrre ricchezza va ricondotta, prioritariamente, non al concreto uso che di esso venga fatto, ma alla sua destinazione funzionale e produttiva, che va accertata in riferimento alle potenzialità d’utilizzo purchè non in contrasto con la disciplina urbanistica (vedi Cass. n. 8773 e n. 12205 del 2015); ed ancora che “In tema di rendita catastale, nell’ipotesi in cui l’immobile per le proprie caratteristiche strutturali rientri in una categoria speciale, non assume rilevanza la corrispondenza rispetto all’attività in concreto svolta all’interno dello stesso che può costituire, ove ricorrente, mero elemento rafforzativo della valutazione oggettiva operata. (Vedi Cass. n. 22103 del 2018).
Non rileva quindi nè il carattere pubblico o privato della proprietà dell’immobile, nè eventuali funzioni latamente sociali svolte dal proprietario, mentre il fine di lucro merita di essere preso in considerazione, in quanto espressamente previsto come criterio di classificazione per numerose categorie, ma in termini oggettivati, nel senso che se ne richiede una verifica che ne ricerchi la sussistenza desumendola dalle caratteristiche strutturali dell’immobile, irreversibili se non attraverso modifiche significative, e non si arresti quindi al tipo di attività che in un determinato momento storico vi viene svolta, che può costituire un criterio complementare ma non alternativo o esclusivo ai fini del classamento» (così, con enfasi aggiunta, Cass. n. 34002/2019 e, nello stesso senso, Cass. n. 24078/2022; Cass. n. 3851/2022; Cass. n. 2249/2021; Cass. n. 2253/2021, Cass. n. 31213/2021; Cass. n. 25992/2020; Cass. n. 24078/2020; Cass. n. 13666/2020; Cass. n. 13074/2020; Cass. n. 15220/2020).
11. Alla luce di tale consolidato orientamento deve riconoscersi che la sentenza impugnata, omettendo ogni accertamento sulle caratteristiche intrinseche dell’immobile e fondando il giudizio in ordine alla sussistenza o meno del requisito del «fine di lucro» esclusivamente sulla ritenuta natura commerciale dell’attività svolta dalla ricorrente nell’unità immobiliare oggetto di tassazione, non ha fatto buon governo dei principi sopra enunciati.
12. Nondimeno, la decisione risulta conforme a diritto, per cui può nella presente essere modificata la motivazione ai sensi dell’art. 384, u.c., p.c., ponendo in evidenza che:
- non risulta alcuna specifica allegazione e prova circa le ragioni per le quali l’immobile in precedenza accatastato nella categoria D4 abbia perduto le relative caratteristiche in termini tali da giustificare la nuova categoria (82) proposta dalla ricorrente, la quale ha omesso di indicare quali interventi edilizi fossero stati eseguiti sull’unità immobiliare oggetto di tassazione e quali fossero le mutate caratteristiche strutturali del bene sulle quali – come sopra illustrato – basare la corretta classificazione del bene;
- l’istante ha, difatti, assunto nel primo motivo di ricorso che «il fabbricato in esame è stato strutturato ed adibito per lo svolgimento di un‘attività senza scopo di lucro svolta da un ente non commerciale>> ( così a pagina n. 7 del ricorso), senza però indicare le relative modalità dell’intervento e quindi in termini del tutto generici ed assiomatici, omettendo sin’anche di fornire uno specifico diverso riscontro alle motivazioni dell’Ufficio poste a base dell’avviso impugnato, secondo cui «rispetto all’originario sub 6 l’unità derivata non ha subito variazioni né planimetriche né strutturali né di destinazione» (v. pagina n. 4 del ricorso);
- le ragioni della tesi difensiva della ricorrente riposano sull’assenza dello scopo di lucro dell’attività esecutata, desunta non dalle specifiche ed oggettive caratteristiche strutturali del bene ( dimensioni, posti letto, strutture operative, etc.), ma dalla natura di ente ecclesiastico dell’istante, e dal fatto che l’attività sanitaria e di assistenza socio sanitaria ivi svolta è esercitata in regime di accreditamento e tramite convenzione con la Regione, elementi questi che – alla stregua dei principi sopra ed a tacer d’altro – non assumono alcuna rilevanza ai fini che occupano;
- le ragioni fondanti il ricorso si basano, quindi, sul rilievo che l’attività svolta nel bene oggetto di tassazione non ha scopo di lucro, non anche sulle mutate caratteristiche del bene, come emerge chiaramente dai contenuti delle note con le quali si è contestato il suindicato orientamento di questa Corte in quanto basato «sul mito della caratteristica intrinseca dell’immobile» (v. pagina 3 della nota del 13 giugno 2022) e sul fatto che il fine di lucro non è un elemento strutturale de! bene, ma una caratteristica soggettiva di chi esercita l’attività.
In tale contesto, dunque, non vi sono accertamenti in fatto da compiere, dovendo solo osservarsi, sul versante strettamente giuridico, che non sussistono ragioni plausibili per non confermare il suindicato orientamento di questa Corte, siccome consentaneo all’esigenza di adeguare la verifica della ricorrenza o meno dello scopo di lucro all’imposta che colpisce il bene che ne costituisce l’oggetto, secondo una prospettiva necessariamente di tipo “reale”, come tale riferita alle caratteristiche oggettive (costruttive e tipologiche in genere), che costituiscono il nucleo sostanziale della cd. “destinazione ordinaria”.
13. Le riflessioni che precedono conducono, quindi, al rigetto del ricorso.
14. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano secondo i parametri di cui al decreto ministeriale n. 55/2014 nella misura indicata in dispositivo.
15. Va, infine, dato conto che ricorrono i presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. 115/2002, per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la Provincia della Presentazione di Maria SS. ma dei Padri Passionisti al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore dell’Agenzia delle Entrate nella somma di 2.700,00 € per competenze, 405,00 € per il rimborso forfettario delle spese generali, oltre accessori.
Dà atto che ricorrono i presupposti per il versamento da parte della Provincia della Presentazione di Maria SS.ma dei Padri Passionisti di un ulteriore importo pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso.
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