Corte di Cassazione sentenza n. 27698 depositata il 11 dicembre 2013
Fatto
La società contribuente acquistò tre appartamenti, per un corrispettivo versato in parte in contanti ed in parte in gioielli e preziosi; la società venditrice, tuttavia, non contabilizzò la vendita né versò all’erario l’iva regolarmente corrisposta dall’acquirente. La vendita fu successivamente risolta per inadempimento del venditore, ma l’acquirente non registrò la variazione derivante dalla risoluzione del contratto, procedendo comunque a detrarre l’iva versata. L’Agenzia delle entrate procedette dunque a notificare alla società un avviso di accertamento, col quale recuperò l’iva, reputandola indebitamente detratta. A seguito dell’impugnazione dell’avviso, la commissione tributaria provinciale respinse il ricorso, con sentenza che la commissione tributaria regionale ha confermato, escludendo il diritto di detrazione per la mancanza dell’emissione e della registrazione della nota di variazione dell’iva. Propone ricorso la società, affidandolo a tre motivi, che illustra con memoria ex articolo 378 del codice procedura civile. RG 14664/2008 Angelina Maria Prinostensore Pagina 3 di 8 L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Diritto
1.- Col secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, 1° comma, numero 4, del codice di procedura civile, logicamente prodromico rispetto all’esame dei restanti due, la società lamenta la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Deduce, in particolare, che la sentenza si è fondata su una circostanza, consistente nella mancata emissione e registrazione di una nota di variazione, estranea alle ragioni poste a sostegno dell’avviso di accertamento, basato sulla non inerenza dell’acquisto e sull’oggettiva inesistenza dell’operazione.
1.1.- Il motivo è infondato e va in conseguenza respinto. La sentenza impugnata dà conto che «l’ufficio ritiene che comunque II Diamante non possa scaricare sull’Am/ne finanziaria gli effetti negativi della presunta truffa subita, in assenza della nota di accredito prevista dall’art. 26 del DPR 633/72». 11 tema era stato quindi introdotto in giudizio, rendendo irrilevante la censura in esame, in mancanza di contestazione delle modalità e dei tempi della sua introduzione.
2.-Col primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, 1° comma, numero 3, del codice di procedura civile, la società deduce la violazione dell’articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica numero 322 del 1998 nonché dell’articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972. Lamenta che, sebbene la controversia abbia riguardo all’anno d’imposta 1999, l’Agenzia delle entrate ha riconosciuto rilievo a fatti accaduti nel successivo anno d’imposta 2000, in tal maniera violando l’autonomia di ogni periodo d’imposta.
2.1.-Il motivo è infondato, giacché, come inequivocabilmente emerge dalla sentenza, che discorre della necessità dell’emissione nel 2000 di una nota di accredito IVA per <<neutralizzare gli effetti fiscali dell’indebita detrazione>>, con ogni evidenza già avvenuta, la ripresa a tassazione oggetto di contestazione concerne un’imposta portata in detrazione appunto per l’anno d’imposta 1999.
3.-Col terzo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, 1° comma, numero 3, del codice di procedura civile, la contribuente si duole della violazione degli articoli 19 e 26 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972.
Sostiene al riguardo che su di essa, nella qualità di cessionaria, non sussista alcun obbligo di emettere una nota di accredito e che è sul cedente che emetta la nota di accredito nei confronti del cessionario che sorge l’obbligo di registrare tale nota nelle proprie scritture contabili, provvedendo al necessario e conseguente
versamento dell’iva che risulti dovuta a debito.
3.1 – Va preliminarmente respinta l’eccezione d’inammissibilità del motivo, proposta dall’Agenzia nel corso della discussione orale perché, a suo dire, non congruente con la ratio decidendi. E ciò in quanto la sentenza ha espressamente affermato che la società acquirente <<in ogni caso era tenuta ad apportare nei propri registri la variazione conseguente all’annullamento del contratto, con relative conseguenze anche sull’IVA ….mentre nessuna iniziativa in merito ha assunto>>. In questo contesto, il riferimento alle relazioni dei tre rapporti derivanti dal compimento dell’operazione imponibile, sul quale ha puntato l’Avvocatura, è mero argomento a sostegno della decisione.
3.2.- Il motivo è comunque infondato e va in conseguenza respinto.
L’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972 stabilisce che <<se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli artt. 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione o simili… il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25. cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi di quest’ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa>>
3.3. Il congegno così elaborato mira a garantire il principio di neutralità dell’iva e, ad un tempo, ad evitare il rischio di perdita di gettito fiscale per l’erario.
3.4.-È bene sottolineare al riguardo che l’articolo 21, numero 1, lettera c) della sesta direttiva prevede che chiunque esponga l’iva in una fattura o in ogni altro documento che ne fa le veci è debitore di tale imposta (nel senso che tali soggetti sono debitori dell’iva esposta in una fattura indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un’operazione soggetta ad Iva, vedi Corte giust. 11 aprile 2013, C-138/12, Rusedespred 00D, punto 23; Corte giust. 31 gennaio 2013, C-642/11, Stroy trans, punto 29; Corte giust. 18 giugno 2009, C-566/07, Stadeco, punto 26; Corte giust. 15 marzo 2007, causa C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken, punto 23; Corte giust. 19 settembre 2000, causa C-454/98, Schmeink & Cofreth e Strobel, punto 53; Corte giust. 13 dicembre 1989, C- 342/87, Genius).
3.5.-Questa regola, che si specchia nel 7 0 comma dell’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972, mira ad eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale, che può derivare dall’esercizio del diritto di detrazione; ed il rischio di perdita di gettito fiscale sussiste <<fintantoché il destinatario di una fattura che espone un ‘ha non dovuta possa utilizzarla al fine di siffatto esercizio>> (Corte giust., sentenza Schmeink & Cofreth e Strobel, punto 57).
3.6.-La Corte ha altresì dichiarato che, per garantire la neutralità dell’IVA, spetta agli Stati membri contemplare la possibilità di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata e di adottare i provvedimenti opportuni per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare le frodi (Corte giustizia, causa Rusedespred, punto 26; causa Stadeco, punti 36 e 42).
3. 7.- Il meccanismo predisposto dall’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633/72 risponde giustappunto a tali finalità: la registrazione della variazione da parte del cessionario è idonea ad escludere il rischio di perdita di gettito fiscale, poiché esplicita che egli non ha diritto alla detrazione dell’Iva. Dunque, il cessionario che detragga l’Iva di rivalsa annotando la fattura nel registro degli acquisti, deve registrare la variazione (annotando la nota nel registro delle vendite), al fine di evidenziare un debito pari alla detrazione in precedenza operata, che è così neutralizzata; qualora il cessionario non abbia ancora detratto l’iva, ha aggiunto questa Corte, pur avendone diritto, <per avere annotato a suo tempo nel registro degli acquisti l’I.EA. addebitatagli dal cedente a titolo di rivalsa, è tenuto a compiere l’operazione inversa, prendendo in carico nel proprio registro delle fatture un importo corrispondente a quello della detrazione che più non gli spetta ed acquisendo il diritto di ottenere dal cedente la restituzione dell’imposta (eventualmente) pagatagli a titolo di rivalsa, imposta che non è più dovuta da alcuno dei contribuenti per essere “venuta meno” l’operazione (originariamente) imponibile> (Cass. 23 aprile 1993, n. 4767).
3.8.- Né il sistema va a detrimento del cessionario, giacché in questi casi a lui compete il diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa, di guisa che l’iva già pagata va retrocessa al titolare del diritto al rimborso, comprendendo tale diritto l’intera prestazione ricevuta e divenuta indebita (così Cass. 18 settembre 2008, n. 23849 e, in motivazione, Cass., sez.un., 27 dicembre 2010, n. 26126, che richiama giurisprudenza comunitaria in termini, cui va aggiunta, da ultimo, Corte giust. 15 dicembre 2011, C-427/10, Banca popolare antoniana veneta, punto 42).
3.9.- Su un piano più generale, la Corte ha precisato che, al fine dì impedire pericolose forme di elusione degli obblighi del contribuente, il legislatore ha stabilito il principio della immodificabilità, sia unilaterale sia concordata tra le parti, delle registrazioni obbligatorie, fatto salvo giustappunto il caso di successive variazioni dell’imponibile o dell’imposta in base all’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972, che sono circondate, però, di particolari garanzie. Il conseguimento dello scopo è assicurato se il contribuente dimostra che vi è identità tra l’oggetto della fattura e della registrazione originarie, da un lato, e, dall’altro, l’oggetto della registrazione della variazione, in modo che esista corrispondenza tra i due atti contabili (Cass. 6 luglio 2001, n. 9188).
3.10.- Ed a maggior ragione nel caso in esame s’impone una particolare cautela, volta ad evitare il rischio di perdita di gettito fiscale, giacché la sentenza impugnata ha accertato che la società venditrice, pur esponendo l’iva in fattura, non ha provveduto a versarla all’erario.
4. Il ricorso va in conseguenza respinto, con l’affermazione del seguente principio di diritto: “È legittimo il recupero dell ‘iva di rivalsa detratta da un soggetto passivo, che abbia acquistato immobili in virtù di un contratto successivamente risolto per inadempimento del venditore, in mancanza della registrazione della variazione conseguente alla risoluzione nel registro delle fatture, al fine di neutralizzare la detrazione in precedenza operata”.
Le spese seguono la soccombenza.
per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-condanna la società al pagamento delle spese, liquidate in Euro 12.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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