Corte di Cassazione sentenza n. 27710 depositata il 22 settembre 2022

giudizio tributario di ottemperanza – in caso di verificata incapienza, deve attivare, con determinazioni specifiche anche tramite la nomina di un commissario ad acta

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso, a1ffidato ad un motivo, per la cassazione della sentenza di cui all’epigrafe della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia-sezione staccata di Catania, che, in controversia avente ad oggetto l’ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza n. 2925/05/2017, depositata dal medesimo organo giudicante il 16 marzo 2017, aveva riconosciuto a Giovanni Minardi il rimborso pari al 90% dell’IRPEF versata negli anni d’imposta 1990, 1991 e 1992, in applicazione dell’art. 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

2. Costituitasi nel giudizio d’ottemperanza proposto dal ricorrente, l’Amministrazione ha dedotto di aver eseguito la predetta sentenza per effetto della convalida del rimborso richiesto e del pagamento della somma pari alla metà dell’importo riconosciuto dalla predetta sentenza di cognizione, ovvero nei limiti di quanto disposto dall’art. 16-octies l. 20 giugno 2017, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123.

3. La sentenza impugnata ha tuttavia ritenuto che la limitazione all’attuazione del rimborso prevista da quest’ultima disposizione, riguardasse la fase amministrativa (“in relazione alle istanze presentate”) e non già quella giurisdizionale, conclusa con una sentenza passata in giudicato.

Il giudice dell’ottemperanza ha quindi accolto il ricorso del contribuente, nominando un commissario ad acta per l’adozione dei provvedimenti necessari per disporre l’integrale pagamento delle somme riconosciute dalla sentenza da ottemperare.

4. Il contribuente si è costituito con controricorso e, nella fase svoltasi ex 380 bis cod. proc. civ. innanzi la sezione VI di questa Corte, e culminata con l’ordinanza di rimessione alla pubblica udienza, ha depositato memoria.

Lo stesso contribuente ha poi depositato in questa sede una memoria ed una memoria di replica alle conclusioni del P.G.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., I’ Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 665, legge 23 dicembre 2014 190, come modificato dall’art. 16-octies d.l. 20 giugno 2017 n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017 n. 123, e del Provvedimento del 26 settembre 2017 del Direttore dell’Agenzia delle entrate, per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto che l’amministrazione finanziaria debba ottemperare al giudicato tributario con il pagamento dell’intera somma liquidata, a titolo di rimborso, dalla sentenza sentenza da ottemperare, divenuta irrevocabile. 

Rileva l’Amministrazione che l’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, come modificato dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017, dispone che «[ …] In relazione alle istanze di rimborso presentate, qualora  l’ammontare  delle stesse ecceda  le complessive  risorse stanziate dal presente comma, i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute; a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro iii 30 settembre 2017, sono stabilite le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma. A tal fine è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015- 2017.>>.

In parte qua, la norma non è stata modificata dal successivo art. 29 d.l. 30 dicembre 2019, n. 162, convertito nella legge 28 febbraio 2020, n. 8, che ha riguardato solo l’ottavo periodo dell’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, relativo al quantum del limite delle risorse stanziate ed utilizzabili, elevando lo stanziamento da euro 90.000.000,00 ad euro 160.000.000,00, senza ripartizione annuale, ed ascrivendolo agli “ordinari capitoli di spesa utilizzati per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi”.

Il Provvedimento n. 195405/2017, emanato il 26 settembre 2017 dal Direttore dell’Agenzia delle entrate, prevede che « 2.1 Tenuto conto dei limiti di spesa autorizzati dall’articolo 1,, comma 665, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, nonché dell’importo riferibile alle istanze di rimborso presentate, l’Agenzia delle entrate effettua i rimborsi delle istanze validamente liquidate, ai sensi del punto 1.1, applicando la riduzione del 50 per cento sulle somme dovute.

2.2 L’Agenzia delle entrate provvede periodicamente ad erogare gli importi validamente liquidati, nella misura sopra indicata, a partire da quelli che si riferiscono alle istanze con data di presentazione più remota, fino a concorrenza delle somme stanziate.

2.3 Al completamento dell’esame delle istanze di rimborso da parte degli uffici dell’Agenzia  delle entrate territorialmente competenti e all’effettuazione dei rimborsi con la riduzione del 50 per cento degli importi risultanti dovuti, qualora eccedano risorse finanziarie rispetto ai limiti di spesa autorizzati, le somme residue sono erogate proporzionalmente al valore degli importi liquidati, ai sensi del punto 1.1.».

Premesso tale quadro normativo, la ricorrente Agenzia, nella sostanza, imputa al giudice dell’ottemperanza l’errore di non aver considerato che l’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 non riguarda le sole ipotesi in cui il diritto al rimborso venga accertato dall’amministrazione finanziaria in sede amministrativa, ma anche quelle in cui – come nel caso di specie – il diritto al rimborso sia stato accertato in sede giurisdizionale.

2. Preliminarmente, è infondata l’eccezione di difetto di autosufficienza, e di conseguente inammissibilità del ricorso erariale, formulata dal controricorrente, poiché l’impugnazione è sufficiente ad individuare l’oggetto della censura, in relazione al contenuto della sentenza della cui ottemperanza si discute (del resto pacifico tra le parti e, per quanto qui rileva, emergente univocamente anche dalla stessa sentenza impugnata), ed ai limiti normativi all’attuazione del rimborso, la cui individuazione e concreta applicazione al caso di specie dipende dalla natura del giudizio di ottemperanza, e sarà quindi infra trattata, a proposito del merito del motivo di ricorso..

3. Sempre preliminarmente, è infondata altresì l’eccezione di inammissibilità del mezzo, formulata dal ricorrente con riferimento ai limiti entro i quali si può ricorrere per la cassazione delle sentenze del giudice dell’ottemperanza.

Al riguardo, vanno ricordati i consolidati principi di diritto espressi da questa Corte sul tema dell’interpretazione dell’art. 70, comma 10, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che limita le censure ammissibili contro la sentenza pronunciata in esito al giudizio di ottemperanza alle sole violazioni di natura procedimentale.

In materia, è stato già chiarito che « La disposizione di cui all’art. 70 del D.Lgs. n.546/92 – a mente della quale il ricorso per cassazione contro la sentenza pronunciata in esito al giudizio di ottemperanza è ammesso per “violazione delle norme del procedimento” – va interpretata nel senso che è possibile denunciare alla Suprema Corte non soltanto la violazione delle norme disciplinanti il predetto giudizio, ma anche ogni altro “error in procedendo” in cui sia incorso il giudice dell’ottemperanza e, in particolare, il mancato o difettoso esercizio del potere – dovere di interpretare e eventualmente integrare il “dictum” costituito dal giudicato cui l’amministrazione non si sia adeguata o l’omesso esame di una pretesa che avrebbe dovuto trovare ingresso in quella sede.» (Cass. 01/12/2004,n. 22565; conformi, ex plurimis, Cass.  08/02/2008,  n.  3057;  Cass.  16/04/2014,  n.  8830;  Cass. 28/09/2018, n. 23487). Ebbene, nel caso di specie l’oggetto del ricorso per cassazione attinge proprio il difettoso esercizio del potere – dovere di integrare il dictum della sentenza da ottemperare, con riferimento ad una questione, quella dei limiti del rimborso, che, per giurisprudenza altrettanto consolidata, come infra si dirà, doveva trovare ingresso proprio in sede di attuazione del comando giudiziale.

4. Venendo dunque al merito del ricorso, deve rilevarsi che questa Corte, con giurisprudenza costante ed uniforme, ha affermato che lo ius superveniens introdotto dall’art. 16-octies l. 20 giugno 2017 n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017 n. 123 ed  attuato  con  il  sopra  citato  provvedimento direttoriale  –  essendosi limitato a precisare che il rimborso di quanto indebitamente versato spetta ai soggetti specificamente individuati nei limiti delle risorse stanziate e, in caso di eccedenza, con la riduzione percentuale sulle somme dovute, oltre che, a seguito dell’esaurimento delle risorse, non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi – non incide sulla questione del diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, operando i limiti delle risorse stanziate, e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate, soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza (ex multis Cass. 22/02/2018, n. 4291; Cass. 25/03/2021,  n.  8393;  22/04/  2021,  11n.  10714  e  10716;  Cass. 13/11/2020,  n.  25818;  Cass.  30/09/2020,  n.  20790;  Cass. 22/02/2019, n. 5300).

A supporto ulteriore di tale conclusione, oltre al tenore letterale dello stesso complesso normativo richiamato, questa Corte ha poi rilevato che costituisce ius receptum l’affermazione che, in mancanza di disposizioni transitorie, non incide sui g,iudizi in corso l’introduzione, con legge sopravvenuta, di un diverso procedimento amministrativo di rimborso (Cass. 22/02/2018, n. 4291, ex plurimis, clhe richiama ad esempio Cass. 24/04/2015, n. 8373, in tema di Iva).

In tale contesto, giova allora aggiungere, per la spiccata affinità con la fattispecie qui in decisione, quanto questa Corte ha già argomentato a proposito della limitazione dell’erogazione dell’ indennizzo agli aventi diritto in base alla legge 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. legge Pinta):

«Affatto priva di rilevanza, infine, è l’eccezione d’illegittimità costituzionale formulata con riguardo all’articolo 3, comma 7, della citata legge 89/2001, che limita l’erogazione dell’indennizzo agli aventi diritto entro i limiti delle risorse di bilancio annualmente disponibili. Come si dirà meglio di qui a breve, non sussiste, infatti, nel caso concreto, il diritto della parte a percepire un qualsiasi indennizzo, e ciò comporta comunque l’inoperatività di detta norma, la quale, del resto,

non potrebbe mai trovare applicazione in sede di cognizione, ma solo, eventualmente, in fase di esecuzione della pronuncia di condanna dell’amministrazione a corrispondere una determinata somma a titolo di equa riparazione.» (Cass. 10/04/2003, n. 11715, in motivazione).

Tale orientamento, al quale si intende dare ulteriore continuità, riconduce dunque lo ius superveniens non alla disciplina, sostanziale del diritto al rimborso, ma a quella procedimentale della sua attuazione. Il che significa quindi, sul versante giudiziario, che la relativa questione non appartiene al giudizio di cognizione, nel quale detto diritto viene accertato, ma necessariamente a quella del giudizio d’ ottemperanza, nel quale esso viene attuato.

Pertanto, nelle ipotesi in cui l’Amministrazione ha eccepito la rilevanza dei limiti in questione nell’ambito del giudizio di cognizione diretto ad accertare il diritto al rimborso, questa Corte ha ritenuto il relativo motivo infondato, se non inammissibile, ribadendo che la sede nella quale avrebbe potuto essere dedotto era quella del giudizio sull’esecuzione e/o l’attuazione del diritto accertato (dr. ex multis le citate Cass. 22/02/2018, n. 4291; Cass. 25/03/2021, n. 8393; 22/04/ 2021,  nn.  10714  e  10716;  Cass.  13/11/2020,  n.  25818;  Cass. 30/09/2020, n. 20790; Cass. 22/02/2019, n. 5300).

Non sfugga, peraltro, la necessità anche logica di tale conclusione, giacché quantificare limitazioni e riduzioni (operative nei limiti di quanto infra si dirà) dell’attuazione di un rimborso , in relazione ad un determinato stanziamento di pubbliche risorse ed alla concomitanza di domande di diversi aventi diritto, da un lato presuppone che il singolo importo da limitare sia stato definitivamente determinato (e dunque irrevocabilmente accertato, ove sia stato controverso in giudizio); dall’altro richiede la valutazione di circostanze (le risorse, stanziate e la loro capienza in rapporto alle altre domande) “esterne” alla fattispecie di pertinenza di ciascun contribuente, che sono estranee al thema decidendum del giudizio sulla singola domanda di rimborso e che verranno necessariamente a definirsi solo quando il relativo diritto al rimborso sarà ormai accertato nell’ an e nel quantum ed entro quei limiti sarà attuabile.

5. Traendo allora le conseguenze di quanto sinora argomentato, questa Corte ha già avuto modo di chiarire come la disciplina dei limiti di attuazione del diritto al rimborso, nella materia controversa, si applichi anche quando il relativo diritto sia stato accertato con sentenza definitiva, a seguito di contenzioso con l’Amministrazione.

Ed infatti si è detto che« È peraltro consequenziale che, se la questione attiene alla fase esecutiva, qualunque sia il titolo del rimborso, compreso quello giudiziale, esso sarà sottoposto alle modalità regolamentate dal comma 665 dell’art. 1 della I. n. 190 ciel 2014, come modificato dall’art. 16 octies del d.l. n. 9:1. del 2017, convertito con l. n. 123 del 2017.» (Cass., Sez. 5, n. 7368 del 15.03.2019, in motivazione).

Nello stesso senso, si è ribadito che << In tema di rimborso IRPEF, i limiti quantitativi introdotti dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 si applicano ai giudizi esecutivi instaurati dopo la relativa entrata in vigore, essendo indifferente che il titolo esecutivo azionato derivi da un accertamento in via amministrativa compiuto dall’amministrazione fiscale o dal passaggio in giudicato della sentenza resa all’esito dell’instaurazione del giudizio di accertamento del diritto alla ripetizione della maggiore imposta versata.» (Cass. 14/10/2021, n. 28108).

Anche in questo caso, si tratta di una conseguenza logica necessaria: se la questione non pertiene al giudizio di cognizione e, pertanto, l’Amministrazione non la può porre nella fase in cui il diritto al rimborso venga definitivamente accertato, la si potrà dedurre nel giudizio in cui lo stesso diritto venga attuato e debbano applicarsi, ratione temporis, le norme che disciplinano e limitano la sua attuazione. Diversamente opinando, infatti, l’art. 16-octies del d.l. n.  91  del 2017 diverrebbe sostanzialmente inapplicabile.

6. Una volta premesso che la disciplina in questione trova la sua sede naturale nell’ambito dell’attuazione, e quindi nel giudizio d’ottemperanza, occorre individuarne gli effetti sul diritto al rimborso, nel caso di specie accertato con sentenza passato in giudicato.

Invero l’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014 (come modificato dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 e poi dall’art. 29 del d.l. n. 162 del 2019, ed integrato dal citato provvedimento direttoriale del 26 settembre 2017), allorquando dispone che, qualora l’ammontare delle istanze di rimborso ecceda le complessive risorse stanziate (in ultimo nell’importo di euro 160.000.000,00, senza ripartizione annuale) dalla medesima norma, << i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute» e che « a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi», non prevede una falcidia sostanziale del quantum del relativo credito del contribuente, nel caso di specie accertato con sentenza irrevocabile. Piuttosto, il complesso normativo in questione determina le modalità e le procedure di effettuazione del rimborso, regolando il relativo procedimento secondo criteri di ordinata contabilità dello Stato, e , tenuto conto della limitatezza delle risorse stanziate e disponibili, ne disciplina l’impie90 con l’intento di escludere, per quanto possibile, sperequazioni tra i singoli aventi diritto nel medesimo contesto cronologico e finanziario.

Nella sostanza, quindi, l’avente diritto al rimborso che, per effetto della descritta disciplina di attuazione, sia stato soddisfatto solo per metà del suo credito, o addirittura non sia stato affatto soddisfatto, non perde comunque il diritto all’integrale adempimento del rimborso, così come accertato ormai irrevocabilmente.

A tale conclusione conduce innanzitutto la stessa lettera delle disposizioni  in  questione,  che  si  riferiscono  unicamente  all’ “effettuazione dei rimborsi” e non al diritto sostanziale che ne è oggetto.

Del resto anche il giudice delle leggi ( con riferimento alla fattispecie, ante già richiamata, della c.d. “legge Pinto”, assimilabile a quella sub iudice) , ha concluso nello stesso senso, chiarendo che << Il denunciato art. 3, comma 7, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile) – nel testo risultante dalla modifica da ultimo introdotta dall’art. 55, comma 1, lettera c), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 – stabilisce che «L’erogazione degli indennizzi [per irragionevole durata del processo] agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili». 2.- Tale disposizione, ovviamente, non comporta che l’esaurimento dei fondi destinati (in bilancio dell’amministrazione erogante) al pagamento degli indennizzi in questione, escluda in via definitiva l’adempimento dei giudicati di condanna ex lege n. 89 del 2001, con riguardo ai quali non vi siano al momento risorse disponibili. Comporta bensì unicamente che, in conseguenza di quella attuale indisponibilità, il pagamento degli indennizzi di che trattasi sia differito al momento in cui sia ripristinata la disponibilità delle correlative risorse, edl avvenga, quindi, in ritardo rispetto alla data di intervenuta definitività del titolo.» (Corte cost., sent. n. 157 del 2015)

Più in generale, sia pur con riferimento a fattispecie diversa, la stessa Corte costituzionale ha del resto affermato che « Una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione (eccettuati i casi di impossibilità dell’esecuzione in forma specifica) altro non sarebbe che un’inutile enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113  della Costituzione, i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto> (Corte. Cost., sent. n. 419 del 1995).

E, con riferimento ai limiti introdotti dalla medesima “legge Pinta”, anche la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha espresso il principio secondo il quale la mancanza di risorse finanziarie non può  costituire di per sé sola  la ragione per  non adempiere un debito riconosciuto giudizialmente (Corte EDU, 29.3.2006, Cocchiarella Italia, § 90; cfr. anche Corte EDU, 21.12.2010, Gaglione c. Italia, § 35).

Infine, il contenimento della rilevanza dei limiti di stanziamento alla sola fase procedi mentale di attuazione del rimborso corrisponde anche ad un’ interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, per evitare la possibile disparità di trattamento, contrastante con l’art. 3 Cost:., che verrebbe altrimenti a crearsi tra i contribuenti i quali, per effetto dell’art. 9, comma 17, della l. 289 del 2002, non hanno versato il 90% dell’IRPEF cli cui agli anni d’imposta 1990, 1991 e 1992, godendo integralmente della relativa agevolazione, ed i contribuenti che, avendo a loro volta diritto allo stesso beneficio, hanno invece integralmente versato l’IRPEF relativa ai medesimi periodi, e debbono pertanto anch’essi poter recuperare interamente il 90% dell’imposta, pagato in eccedenza.

Infatti questa Corte, con orientamento da tempo consolidato, ha già affermato che « In tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione automatica della posizione fiscale relativa agili anni 1990, 1991 e 1992, prevista dall’art. 9, comma diciassettesimo, legge n. 289 del 2002, a favore dei soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, la definizione può avvenire in due simmetriche possibilità: in favore di chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento solo del 10 per cento del dovuto da effettuarsi entro il 16 marzo 2003; in favore di chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90 per cento di quanto versato al medesimo titolo. Ciò per effetto dell’intervento normativo citato, cui va riconosciuto il carattere di “ius superveniens” favorevole al contribuente, tale da rendere quanto già versato non dovuto “ex post”.»   (Cass.   01/10/2007,   n.   20641),   sottolineando   che << diversamente opinando, si realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento peraltro, assoluta1mente iniqua, in quanto (assurdamente) a tutto danno del contribuente più diligentemente osservante della legge – tra soggetti passivi della medesima fattispecie tributaria: in modo specifico, tra chi non ha pagato e chi ha pagato.

Invece, in maniera più coerente anche con gli immanenti principi di ragionevolezza, deve ritenersi che spetti a tutti il beneficio della riduzione del carico fiscale de quo ad un decimo.».

7. Deve escludersi che, per effetto della sopravvenienza e dell’applicazione (con gli effetti di cui al paragrafo che precede) dell’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 e del conseguente provvedimento di attuazione del direttore dell’Agenzia delle entrate, sia configurabile una lesione dei diritti del contribuente che evidenzi profili di illegittimità

Innanzitutto, per le ragioni già chiarite, il complesso normativo in questione non incide sull’ an e sul quantum del diritto sostanziale del contribuente al rimborso, come accertato dalla sentenza passata in giudicato e non si determina, pertanto, una violazione degli artt. 24 e (per comparazione con i contribuenti che non avevano versato ab origine il 90% dell’imposta) 3 Cost.

Inoltre, come questa Corte ha già avuto modo di rilevc1re, il legittimo affidamento del contribuente, nel caso di specie all’attuazione integrale del rimborso attraverso il procedimento in questione, non si traduce nell’aspettativa di intangibilità della relativa normativa, tanto meno in settori ( quale quello fiscale) in cui è necessario – e di conseguenza ragionevolmente prevedibile – che le norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura economica ( cfr. Cass. 24/02/2020, n. 4848; Cass. 20/02/2020, n. 4411 e giurisprudenza comunitaria ivi citata in motivazione).

Infine, attraverso il complesso della normativa di attuazione de qua, il legislatore, preso atto della limitatezza delle risorse finanziarie erariali in un dato contesto temporale e considerate le superiori finalità pubbliche cui esse sono destinate, ha realizzato un legittimo bilanciamento tra queste ultime ed i diriitti del singolo contribuente. Bilanciamento raggiunto peraltro approntando un sistema procedimentale che, operando l’ “effettuazione” dei rimborsi in considerazione non solo delle risorse disponibili, rna anche del complesso delle domande proposte in un determinato periodo di tempo, incide proporzionalmente su ciascuna di queste ultime ed esclude, pertanto, sperequazioni tra i singoli aventi diritto nel medesimo contesto procedimentale, cronologico e finanziario.

Fermo restando che, come si è detto, la limitazione dello specifico

stanziamento non comprime il diritto sostanziale al rimborso già accertato e, come si dirà, neppure ne preclude, definitivamente o sine die, l’attuazione.

8. Rimane peraltro da chiarire quali siano i criteri con i quali il giudice dell’ottemperanza deve provvedere ad attuare la disciplina sinora illustrata.

Invero il Collegio è consapevole che, con precedenti arresti, è stato ritenuto che l’applicazione dei limiti al rimborso, nella fase esecutiva e quale concreta modalità di attuazione della medesima sentenza di ottemperanza, presuppone che sia << allegato dati’ Amministrazione quali e quante domande di rimborso siano state presentate o integrate» (Cass. 15.03.2019, n. 7368, in motivazione) e che il giudice dell’ottemperanza « avrebbe dovuto verificare se era stata provato dall’Agenzia delle entrate che l’ammontare delle istanze di rimborso presentate eccedesse le complessive risorse stanziate dall’art. 16- octies citato e, quindi, provvedere di conseguenza.» (Cass. 23/03/2021, n. 8380, in motivazione).

Tuttavia, tali conclusioni vanno coniugate con la considerazione della peculiarità della fattispecie controversa e dello ste ;so giudizio di ottemperanza.

Deve infatti innanzitutto considerarsi che, per tutto quanto sinora argomentato, i limiti al rimborso di cui si discute non sono elementi costitutivi, e neppure impeditivi, modificativi o estintivi, del diritto sostanziale al rimborso accertato nel giudizio di cognizione, integrando piuttosto delle modalità attuative e procedimentali di tale diritto, dettate direttamente dalla legge. Pertanto, la verifica dei presupposti e delle modalità con i quali essi devono operare appartiene piuttosto al procedimento di attuazione del comando giudiziale, e non è riducibile alla rigorosa applicazione degli oneri di allegazione e di prova rimessi alle parti.

Deve inoltre considerarsi la peculiare natura “attuativa” del giudizio di ottemperanza, ed in particolare di quello tributario, nel senso che (Cass. 20/06/2019, n. 16569, in motivazione): << Tale giudizio presenta, quindi, connotati del tutto diversi rispetto al corrispondente giudizio esecutivo civile, dal quale si differenzia, perché il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto

nella decisione passata in giudicato, quanto piuttosto quello di dare concreta attuazione a quel comando, anche se questo non contenga un precetto dotato dei caratteri propri del titolo esecutivo (Cass. n. 646 del 18/1/2012; Cass. n. 4126 del 1/3/2004; Cass. n. 20202 del 24/9/2010), compiendo gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della sentenza.

 

5.5 Ciò comporta che, se da un lato, il potere del giudice dell’ottemperanza sul comando definitivo inevaso non può che essere esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita con il giudicato, non potendo essere attribuiti alle parti diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire (cd. «carattere chiuso del giudizio di ottemperanza»), dall’altro lato, può – e deve – essere enucleato e precisato da quel giudice il contenuto degli obblighi scaturenti dalla sentenza da eseguire, chiarendosene il reale significato (Cass. n. 22188 del 24/11/2004; n. 28944 del 10/12/2008; Cass. n. 11450 del 25/5/2011; Cass. n. 15827 del 29/7/2016).

5.6 La sentenza e gli obblighi che da essa scaturiscono segnano, dunque, il limite dell’oggetto del giudizio in questione, potendo il ricorso per ottemperanza essere proposto solo per far valere le statuizioni che sono contenute nel giudicato o, comunque, per conseguire posizioni giuridiche che dallo stesso discendono come autonoma conseguenza di legge, ma non per trattare questioni nuove o indipendenti rispetto al giudizio conclusosi con la sentenza di cui si chiede la esecuzione; il giudice dell’ottemperanza, tuttavia, al fine di assicurare la piena attuazione del giudicato, può enucleare e precisare il contenuto degli obblighi nascenti dalla sentenza passata in giudicato (come, ad esempio, può avvenire con riguardo agli accessori del credito consacrato nel decisum che, per loro natura, devono essere considerati ricompresi nella pronuncia da eseguire).

In  sostanza,  anche quando il  comando  non risulta ben definito, il giudice   dell’ottemperanza   può   compiere   un’attività    cognitiva e ricostruttiva degli obblighi sanciti dalla sentenza ormai definitiva, che non è, invece, consentita nel giudizio esecutivo civile.».

E’ dunque in tale contesto dell’attività co9nitiva e ricostruttiva degli obblighi  sanciti  dalla  sentenza  ormai  definitiva  che  il  giudice  dell’ottemperanza ha in ogni caso il potere ed il dovere di compiere gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della decisione da attuare, che nel caso di specie si estendono alla verifica di tutti i presupposti e di tutte le condizioni che determinano, nel senso sinora precisato, il rimborso da erogare, in considerazione delle risorse disponibili, ai sensi dell’art. 16-octies d.l. n. 91 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 123 del 2017, e del conseguente provvedimento direttoriale.

Si tratta del resto, della medesima verifica che dovrebbe inderogabilmente compiere ex lege l’Amministrazione in sede di effettuazione del rimborso accertato dalla sentenza de qua, nella quale si sostituisce quindi il giudice dell’ottemperanza, servendosi, se necessario, del commissario ad acta.

Peraltro, proprio l’esigenza che, in sede di ottemperanza, vengano adottati – in luogo dell’ufficio che li ha omessi e nelle forme amministrative per essi prescritti dalla legge- tutti quei provvedimenti indispensabili per l’attuazione effettiva del comando giudiziale reso nei confronti dell’Amministrazione, rende necessario che il giudice dell’ottemperanza non si limiti, nella sentenza, a riprodurre genericamente il testo di cui all’art. 70, comma 7, d.lgs. n. 546 del 1992, o altra formula generica e di stile ad essa equivalente, ma, ove necessario, disponga specificamente anche in ordine al quomodo della stessa attuazione.

9. L’eventuale verificata incapienza, con riferimento al momento dell’ effettiva attuazione, delle risorse stanziate sugli ordinari capitoli di spesa utilizzati per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi, nel limite di cui all’art. 1, comma 665, legge n. 190 del 2014, n. 190 (come, da ultimo, modificato dal d.l. n. 162 del 2019) e di eventuali successivi ulteriori stanziamenti, se preclude, in tutto o in parte, I’ “effettuazione” del rimborso ai sensi della medesima norma e del relativo provvedimento direttoriale che l’ha integrata, non determina, per quanto già argomentato, l’estinzione, parziale o integrale, del relativo diritto sostanziale del contribuente, e non preclude quindi definitivamente, né procrastina sine die, la sua integrale attuazione, secondo gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione e, dunque, del commissario ad acta nominato dal giudice dell’ottemperanza, che nella relativa sentenza deve precisare il quomodo dell’intervento sostitutivo.

A tal fine, va considerato che secondo la stessa prassi amministrativa (nota n. 32882 del 25 marzo 2002 del Dipartimento clella Ragioneria Generale dello Stato del Ministero dell’Economia e delle Finanze; nota n. 2002/81152 del 11 aprile 2002 della Direzione Centrale Amministrativa dell’Agenzia delle Entrate; circolare dell’Agenzia delle entrate 4 febbraio 2003, n. 5/E, § 4; circolare della Ragioneria generale dello Stato n. 24/2014, § 6 e 7, con specifico riferimento alle Agenzie fiscali ed al giudizio di ottemperanza tributario; cfr. altresì circolare della Ragioneria generale dello Stato n. 24/2015, con riferimento alla dematerializzazione dello speciale ordine di pagamento), l’Agenzia delle entrate, ed in sostituzione di quest’ultima il commissario ad acta, allo scopo di consentire che il giudicato trovi attuazione, sono eventualmente legittimati anche all’emanazione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso di cui all’art. 14, comma 2, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 convertito nella legge 28 dicembre 1997, n. 30 ( ed integrato dai d.m. 1 ottobre 2002 e 24 giugno 2015, relativamente  alle  modalità  ed  alle  caratteristiche  dell’ordine  di pagamento), con il quale l’Amministrazione dello Stato può eseguire comunque il pagamento mediante emissione di uno speciale ordine rivolto    all’istituto tesoriere (Banca d’Italia),  al quale  chiede i “anticipare” le somme necessarie ad effettuarlo, registrandolo in conto sospeso, in attesa della regolarizzazione contabile, che avverrà non appena saranno rese disponibili le necessarie risorse sul pertinente capitolo, con conseguente ripianamento dell’anticipazione.

L’ordine può essere emesso in presenza di due presupposti: la sussistenza di provvedimenti giurisdizionali o lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva, e l’assenza di disponibilità finanziaria nel pertinente capitolo di spesa. La ratio del relativo procedimento contabile è quella di evitare gli aggravi di spesa, inerenti la procedura esecutiva, e di consentire alla PA di provvedere al pagamento spontaneo per limitare il più possibile i danni al pubblico erario, derivanti dall’effettivo azionamento della procedura esecutiva e dal conseguente possibile blocco dell’attività’ amministrativa, contemperando in tal modo l’interesse del singolo alla realizzazione del suo diritto con quello generale ad un’ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche.

La procedura in parola può quindi essere esperita nell’ipotesi di concreta impossibilità, nei termini consentiti, di effettuare i pagamenti a carico dei pertinenti capitoli ordinari di spesa, compreso dunque quello utilizzato per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi.

In  dottrina,  peraltro,  è  stato  anche  affermato  che  l’adozione  del procedimento in conto sospeso, qualora ne ricorrano i presupposti di legge, costituisce un atto dovuto, finalizzato a superare la mancanza di fondi, e che l’inerzia può comportare per l’Amministrazione maggiori oneri patrimoniali, per effetto del ritardo nell’adempimento, e la conseguente eventuale responsabilità del funzionario preposto all’esecuzione concreta della sentenza di condanna al rimborso a favore del contribuente.

10. Può quindi concludersi rilevando che la soluzione 1interpretativa prospettata, escludendo la falcidia del credito accertato, cosi come la sua incerta dilazione, non solo è costituzionalmente orientata, per quanto già rilevato, ma è pure conforme ai precetti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, rispetto alla quale il largo margine di apprezzamento pur riconosciuto agli Stati nel regolare la materia fiscale (art. l, comma 2, Protocollo n.1) va letto alla luce del principio del “giusto equilibrio” (comma 1), in termini di giustificazione e proporzione (CEDU, 03/07/2003, Buffalo S.r.l. vs. Italia), non diversamente dalle fattispecie espropriaitive (CEDU, 16/03/2010, Di Be/monte vs. Italia).

11. Va quindi formulato il seguente principio di diritto: « Nel giudizio tributario di ottemperanza di cui all’art. 70 d.lg. n. 546 del 1992, il giudice dell’ottemperanza, adito dal contribuente per l’esecuzione del giudicato scaturente da decisione ricognitiva del diritto al rimborso d’imposte per effetto di benefici fiscali accordati in conseguenza di eventi calamitosi, deve accertare la disponibilità degli appositi fondi stanziati ai sensi dell’art. 1, comma 665, legge n. 190 del 2014 – come modificato dall’art. 16-octies d.l. n.  11 del 2017, e dall’art.  29 d.l. n. 162 del 2019- e, in caso di verificata incapienza, deve attivare, con determinazioni specifiche anche tramite la nomina di un commissario ad acta, le procedure partici()lari previste dalla normativa di contabilità pubblica per dare completa esecuzione alla decisione del giudice di merito, compresa l’emissione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso, non essendo desumibile dalla normativa di riferimento, interpretata alla luce de i principi costituzionali e convenzionali, alcuna possibile falcidia di diritti patrimoniali del contribuente giudizialmente accertati.».

12. Tanto premesso, nel caso di specie la CTR non ha fatto buon governo dei principi sinora illustrati, avendo erroneamente negato l’applicabilità dell’art. 16-octies l. 20 giugno 2017, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123; mentre avrebbe dovuto ritenere la stessa disposizione applicabile in quanto vigente, dal 13 agosto 2017, nella fase di esecuzione ed attuazione del rimborso, che è diretta a disciplinare, e dunque nella pendenza del giudizio di ottemperanza (che, come risulta dalla sentenza impugnata, è stato introdotto dopo l’entrata in vigore della ridetta normativa).

Il giudice dell’ottemperanza avrebbe pertanto dovuto verificare l’effetto, nel senso già precisato, della disposizione in questione sulle modalità di attuazione del rimborso nel caso di specie, adottando di conseguenza i provvedimenti indispensalbili all’ottemperanza, ovvero determinando il quomodo dell’attuazione stessa, a seconda della capienza o meno delle risorse stanziate, applicando il principio appena illustrato.

Il ricorso va quindi accolto nei termini sinora precisati e la sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio al giudice a quo affinché provveda in conformità al predetto principio (previo eventuale accertamento in fatto dell’effettività dei pagamenti ulteriori, per lo stesso titolo, che I’ Amministrazione deduce di aver “predisposto” in corso di giudizio).

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia-sezione staccata di Catania, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.