Corte di Cassazione sentenza n. 27813 depositata il 22 settembre 2022

IVA – principio fondamentale di neutralità – detraibilità su spese per lavori di ristrutturazione o manutenzione su beni immobili di proprietà di terzi

FATTI DI CAUSA

Alla ricorrente fu notificato l’avviso d’accertamento con cui l’Agenzia delle entrate pretese il recupero del rimborso di € 480.000,00, richiesto ai sensi dell’art. 30, comma 3, lett. c), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, relativamente all’anno d’imposta 2005.

La società aveva eseguito opere edilizie presso un villaggio turistico insistente su terreno a lei concesso in comodato da un terzo proprietario. Erogato il rimborso del credito iva, con successivo accertamento l’Agenzia delle entrate ritenne che non spettasse, per non essere comprese quelle opere tra i beni ammortizzabili. Nello specifico l’Ufficio ritenne che i suddetti interventi edilizi costituivano spese incrementative su beni di terzi, da iscrivere alla voce “altre immobilizzazioni immateriali”, non separabili né suscettibili di autonoma utilizzabilità.

Nel contenzioso seguitone la Commissione tributaria provinciale di Crotone, con sentenza n. 134/01/2012, e la Commissione tributaria Regionale della Calabria, con sentenza n. 154/04/2013, rigettarono il ricorso della contribuente. Il giudice regionale ha ritenuto che la fattispecie non rientrasse tra ipotesi previste dall’art. 30, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 per le quali è possibile richiedere il rimborso. Per quanto qui di interesse, ha condiviso infatti la prospettazione difensiva dell’Amministrazione finanziaria, secondo cui va esclusa la riconducibilità ai beni ammortizzabili delle opere -come quelle eseguite sulla struttura alberghiera insistente su terreno altrui- che configurano miglioramenti o ampliamenti di immobili concessi da terzi in uso o in comodato.

La società ha censurato la sentenza con due motivi, chiedendone la cassazione, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Rimessa la trattazione della causa all’udienza pubblica, all’esito della discussione le parti hanno concluso e la causa è stata riservata per la decisione.

Le parti hanno depositato memorie difensive.

RAGIONI DELLA DECISIONE

La ricorrente ha proposto ricorso dolendosi:

con il primo motivo della violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 3, lett. c) del d.P.R. n. 633 del 1972, nonché degli artt. 102 e 103 del d.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto all’erronea esclusione della ammortizzabilità delle opere eseguite su terreno concesso in comodato, per trattarsi di spese incrementative su beni di terzi.

Con il secondo motivo della violazione e falsa applicazione dell’art. 113 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per aver fondato la decisione sull’interpretazione del concetto di bene ammortizzabile, resa dalle Circolari dell’Agenzia delle entrate (27/E del 31 maggio 2005) e delle Risoluzioni interpretative dell’art. 30 cit. (179/E del 27 dicembre 2005).

I due motivi possono trovare trattazione congiunta perché connessi dal comune filo conduttore della presente controversia, la riconducibilità o meno delle opere eseguite su terreno di terzi nella categoria dei beni ammortizzabili, da cui dipenderebbe la riconoscibilità o meno del diritto alla detrazione dell’Iva, ai sensi dell’art. 30, comma 3, lett. c), d.P.R. n. 633 del 1972, corrisposta per l’acquisto dei beni strumentali all’attività di impresa.

Il tema è stato oggetto di opposte interpretazioni nella giurisprudenza di questa Corte, negandosene la detraibilità in alcuni arresti (Cass., 4 dicembre 2015, n. 24779; 28 ottobre 2020, n. 23667), riconosciuta, al contrario, in altri, in verità ben più numerosi (Cass., 5 aprile 2013, n. 8389; 27 marzo 2015, n. 6200; 27 settembre 2018, n. 23278; 4 marzo 2020, n. 6022; 23 dicembre 2019, n. 34291; 11 gennaio 2021, n. 215).

La questione di fondo è se si tratti di beni ammortizzabili, posto che la prospettazione difensiva dell’Agenzia delle entrate, non priva di taluni riscontri giurisprudenziali, è che presupposto della nozione di ammortamento sia il conseguimento della proprietà o di un diritto reale di godimento, che ne consenta la qualificazione di bene ad uso durevole, costituente parte dell’organizzazione permanente dell’impresa, e che, pur tenendo conto della strumentalità e inerenza, in senso qualitativo, del bene all’attività d’impresa, non esiste una coincidenza tra strumentalità e ammortizzabilità.

Sennonché,  nel solco  dell’orientamento ermeneutico  di gran lunga prevalente, si era già avvertito che in materia d’IVA, in virtù del principio fondamentale di neutralità, il contribuente può portare in detrazione l’imposta assolta sulle spese di ristrutturazione dell’immobile destinato all’esercizio dell’attività d’impresa, anche se non ne è proprietario, ma conduttore o comodatario, essendo irrilevanti la disciplina civilistica e gli accordi intercorsi tra le parti (cfr. 6200 del 2015 cit.). E tenendo conto del carattere tendenzialmente assoluto del principio di neutralità, come costantemente affermato dalla Corte di Giustizia (CGUE 28 febbraio 2018 C672/16; 14 settembre 2017 C-132/16; 18 luglio 2013 C-124/12; 29 ottobre 2009 C-29/08), è stato riconosciuto il diritto alla detrazione in caso di esecuzione di lavori di ristrutturazione o manutenzione su beni immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale, anche se quest’ultima sia potenziale o di prospettiva (cfr. Sez. U, 11 maggio 2018, n. 11533, per una ipotesi, pienamente assimilabile al caso di specie, di lavori di ristrutturazione e manutenzione eseguiti su bene concesso in locazione).

L’orientamento interpretativo, pressoché  costantemente  ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, è d’altronde coerente con la natura stessa del concetto di ammortamento e con la funzione del bene ammortizzabile. Sotto il primo profilo va solo ribadito che l’ammortamento è il processo tecnico contabile diretto a calcolare il consumo subito dai beni strumentali destinati all’esercizio dell’impresa, i cui costi vanno pertanto ripartiti in quote pluriennali. Il presupposto dell’ammortamento, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, è dunque la suscettibilità del bene al deperimento e al consumo dopo un certo numero di anni, che comporta conseguenzialmente la necessità della sua sostituzione quando non più funzionale allo scopo per il quale è stato acquistato. Le quote di ammortamento sono pertanto rapportate al logorio fisico o anche solo economico del bene, perché utilizzabile per un limitato periodo di tempo, tant’è che la disciplina fiscale dei diversi coefficienti di ammortamento tiene espressamente conto dell’effettivo tasso di usura al quale sono soggetti i beni strumentali in relazione all’impiego cui vengono singolarmente destinati (Cass. 13 ottobre 2006, n. 22021; 22 gennaio 2013, n. 1404; cfr. anche 14 ottobre 2021, n. 27952). Ciò è peraltro coerente con il sistema civilistico, laddove  l’art.  2426  cod.  civ.,  a  proposito  dei  criteri  di  valutazione dell’ammortamento dispone che «il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo  deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione» (art. 2426, primo comma, n. 2, cod. civ.). Quando poi si consideri il profilo della funzione del suddetto bene, tenendo conto della deperibilità del bene ammortizzabile, deve osservarsi come  l’ostacolo che -nella    prospettazione difensiva dell’Agenzia delle entrate- vuole identificarsi “nella non suscettibilità della sua autonoma utilizzabilità al termine del periodo di utilizzo del bene altrui”, è superato se si tiene conto, per un verso che non deve neppure interessare se in concreto l’attività economica, in funzione della quale quel bene è stato acquistato o realizzato, non venga più esercitata (cfr. Sez. U, 11533 del 2018 cit.); inoltre, sotto un profilo funzionale ed economico, che i beni strumentali ammortizzabili, non durano in eterno, così che non risponde neppure al vero che di essi ne possa beneficiare il proprietario del bene ( come nel caso di specie  il    terreno),     quando    di    esso   torni    in possesso.  Questi beni, consumandosi o deperendo, ancorché sul piano economico, hanno un “ciclo” di durata che può esaurirsi del tutto nel periodo di durata del comodato o dell’altro  diritto di  godimento di    cui l’impresa    sia   titolare. Pertanto quand’anche il bene strumentale manchi di autonoma funzionalità e non possa essere rimosso dal comodatario, prospettare che il trasferimento ad altro soggetto (al comodante del terreno) dei benefici derivanti dal bene strumentale esclude la natura di bene ammortizzabile costituisce un erroneo presupposto logico, che non risponde neppure al concreto atteggiarsi del rapporto tra la “vita” del bene stesso e la durata dell’attività d’impresa esercitata su un immobile appartenente ad un terzo. In altri termini la circostanza che di esso possa beneficiarne il terzo proprietario del bene costituisce una mera eventualità, e quando si pretende di escludere la detraibilità o la rimborsabilità dell’iva a credito in forza di una regola fondata su una “eventualità” si utilizza una regola non logica.

D’altronde, come opportunamente evidenziato nella memoria da ultimo depositata dalla ricorrente, la giurisprudenza eurounitaria, dopo aver chiarito che «Il diritto a detrazione è tuttavia ammesso a beneficio del soggetto passivo anche in mancanza di un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che conferiscono un diritto a detrazione, qualora i costi dei servizi in questione facciano parte delle spese generali del soggetto passivo e, in quanto tali, siano elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce. Spese di tal genere presentano, infatti, un nesso diretto e immediato con il complesso delle attività economiche del soggetto passivo (v., in particolare, sentenze del 29 ottobre 2009, SKF, C-29/08, EU:C:2009:665, punto 58, e del 18 luglio 2013, AES-3C Maritza East 1, C-124/12, EU:C:2013:488, punto 28)», ha affermato che «l’articolo 168, lettera a), della direttiva 2006/112 dev’essere interpretato nel senso che il soggetto passivo ha diritto a detrarre l’IVA assolta a monte per la prestazione di servizi, consistenti nella costruzione o nella ristrutturazione di un bene immobile di cui un terzo sia proprietario, qualora quest’ultimo benefici a titolo gratuito del risultato di tali servizi e questi ultimi siano utilizzati tanto dal soggetto passivo medesimo, quanto dal terzo nell’ambito delle loro attività economiche, nei limiti in cui detti servizi non vadano oltre quanto necessario per consentire al soggetto passivo medesimo di effettuare a valle operazioni soggette ad imposta e il loro costo sia incluso nel prezzo di tali operazioni»(CGUE, in causa C- 132/16).

Nel caso di specie risulta incontestato che le opere edilizie eseguite per l’adeguamento del villaggio turistico gestito dalla ricorrente su terreno di un terzo proprietario fossero strumentali e inerenti all’attività economica esercitata dalla società stessa. Esisteva pertanto il diritto al rimborso dell’Iva sulle spese sostenute, dovendosi ribadire il principio secondo cui «ai fini del diritto al rimborso dell’Iva, ai sensi dell’art. 30, comma 3, lett. c), d.P.R. n. 633 del 1972, corrisposta per l’acquisto dei beni strumentali all’attività di impresa, è irrilevante se i relativi costi ammortizzabili siano stati sostenuti per opere eseguite su terreno concesso in comodato da terzi, non autonomamente funzionali o asportabili al termine del periodo contrattualmente stabilito, per essere al contrario decisivo che si tratti di spese per opere destinate all’esercizio dell’attività d’impresa».

Il ricorso va dunque accolto e la sentenza va cassata.

Non essendovi necessità di accertamenti in fatto, la causa può anche essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. A tal fine la pacifica esecuzione di spese per opere edilizie, di cui è altrettanto incontestata la sussistenza  della  strumentalità  all’attività dell’impresa, comporta l’accoglimento del ricorso introduttivo della società. 

L’incertezza nell’interpretazione della disciplina, al cui superamento è risultata decisiva la dirimente citata giurisprudenza delle sezioni unite, intervenuta però solo successivamente all’insorgere della controversia, giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità nonché di quelle dei gradi di merito.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della società. Compensa tutte le spese processuali.