Corte di Cassazione sentenza n. 28072 depositata il 27 settembre 2022
accertamento standardizzato – studi di settore – valutazione della prova – esplicitazione iter logico-deduttivi – vizio di omesso esame di un fatto storico – vizio di motivazione – doppia conforme
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate notificò alla F. s.r.l. l’avviso d’accertamento con cui, sulla base dello studio di settore applicato, rettificò i ricavi dell’anno d’imposta 2004, dichiarati in misura inferiore (€ 1.124.257,00), risultando uno scostamento di€ 137.139,00.
La società propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che con sentenza n. 180/01/2012 ne rigettò le ragioni.
L’appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia fu rigettato con sentenza n. 128/20/213, ora al vaglio della Corte. Il giudice regionale ha respinto l’impugnazione, reputando che l’atto impositivo e la sentenza di primo grado non fossero prive di motivazione. A tal fine ha affermato che «l’avviso di accertamento è legittimo in quanto rispecchia la metodologia degli studi di settore che hanno presunzione legale semplice come sancito dalla Corte di Cassazione […]. L’onere della prova contraria spetta al contribuente che, nel caso in esame, non ha prodotto una documentazione sufficiente né in sede di tentativo di contraddittorio né in sede di giudizio. Circa la sentenza di primo grado la motivazione è chiara laddove specifica che respinge il ricorso “valutando quanto risultante in atti da cui emerge la assoluta mancanza dell’essenziale requisito dell’assolvimento dell’onere probatorio da parte della società ricorrente per contrastare adeguatamente l’applicazione dello studio di settore da parte dell’Ufficio”. Viene respinta anche la richiesta da parte del contribuente di prendere in considerazione la nuova simulazione dello studio di settore, simulazione che ridurrebbe l’ammontare del maggior reddito da € 137.139,00 a€ 58.531,00 sia perché, come sostiene l’Agenzia delle entrate, la dichiarazione rettificativa andava presentata non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo sia perché tale richiesta non rientra nella parte conclusiva dell’appello ma soltanto nella memoria aggiuntiva».
La società ha censurato la pronuncia con quattordici motivi, chiedendone la cassazione. L’Agenzia delle entrate, nonostante la rituale e tempestiva notificazione dell’atto di impugnazione, è rimasta intimata.
All’esito della udienza pubblica del 22 giugno 2022, celebrata ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni in l. 18 dicembre 2020, n. 176, la causa è stata riservata e decisa. La contribuente ha depositato memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La società si duole:
con il primo motivo dell’omessa e insufficiente motivazione della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., quanto alla insufficiente motivazione dell’avviso d’accertamento, a fronte di quanto provato dal contribuente nella fase del contraddittorio endoprocedimentale a giustificazione delle discrepanze tra il reddito dichiarato e lo studio di settore applicato;
con il secondo motivo del vizio di motivazione per l’omesso esame del fatto controverso e decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., quanto alla insufficiente motivazione dell’avviso d’accertamento, a fronte di quanto provato dal contribuente nella fase del contraddittorio endoprocedimentale a giustificazione delle discrepanze tra il reddito dichiarato e lo studio di settore applicato;
con il terzo motivo della violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 7 della l. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto alla omessa motivazione dell’avviso d’accertamento, a fronte di quanto provato dal contribuente nella fase del contraddittorio endoprocedimentale a giustificazione delle discrepanze tra il reddito dichiarato e lo studio di settore applicato;
con il quarto motivo dell’omessa e insufficiente motivazione sul punto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella idoneità delle circostanze dedotte e dei documenti prodotti dal ricorrente a sostegno delle ragioni di scostamento tra quanto dichiarato e gli indici degli studi di settore; con il quinto dell’omesso esame del fatto controverso e decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nella idoneità delle circostanze dedotte e dei documenti prodotti dal ricorrente a sostegno delle ragioni di scostamento tra quanto dichiarato e gli indici degli studi di settore;
con il sesto motivo della violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., 2967 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per aver ritenuto che il contribuente non abbia provato le circostanze idonee a giustificare lo scostamento tra il dichiarato e le risultanze degli studi di settore;
con il settimo della violazione e falsa applicazione degli artt. 39, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 62 sexies, d.l. 30 agosto 1993, n. 331, 3 e 53 Costituzione, per aver ritenuto legittimo l’accertamento fondato sullo scostamento dagli studi di settore, senza considerare le specifiche concrete circostanze di fatto in cui è stata esercitata l’attività d’impresa, allegate già nella fase endoprocedimentale;
con l’ottavo motivo della violazione e falsa applicazione degli artt. 61 sexies, d.l. 331 del 1993, 2697 cod. civ., 1, commi 14 bis e 14 ter, l. 27 dicembre 2006, n. 296, perché la sentenza ha ritenuto che il mero scostamento del dichiarato dagli indici dello studio di settore -senza considerare le specifiche concrete circostanze di fatto in cui è stata esercitata l’attività d’impresa, allegate già nella fase endoprocedimentale- integrasse di per sé una presunzione legale con inversione sul contribuente dell’onere probatorio;
con il nono motivo dell’omessa e insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., consistente nell’assenza del presupposto delle gravi incongruenze tra ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e condizioni di esercizio della specifica attività svolta, di cui all’art. 62 sexies, comma 3, d.l. 331 del 1993;
con il decimo motivo dell’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., consistente all’assenza del presupposto delle gravi incongruenze tra ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e condizioni di esercizio della specifica attività svolta, di cui all’art. 62 sexies, comma 3, d.l. 331 del 1993;
con l’undicesimo motivo della violazione e falsa applicazione dell’art. 62 sexies, d.l. n. 331 del 1993, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché la sentenza impugnata ha riconosciuto la legittimità dell’avviso d’accertamento nonostante l’assenza del presupposto delle gravi incongruenze tra ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e condizioni di esercizio della specifica attività svolta, di cui all’art. 62 sexies, comma 3, d.l. 331 del 1993;
con il dodicesimo motivo della nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, quanto all’erroneo accertamento nel giudizio d’appello per quanto dedotto sull’erronea applicazione dello studio di settore, perché inidoneo ad accertare maggiori ricavi in capo al contribuente;
con il tredicesimo motivo per omessa e insufficiente motivazione “circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio” ovvero “circa il fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, consistente nell’erronea applicazione alla fattispecie dello studio di settore, risultato pertanto inidoneo ad accertare maggiori ricavi in capo al contribuente;
con il quattordicesimo motivo della violazione e falsa applicazione degli artt. 62 sexies, d.l. n. 331 del 1993, 1, commi 14 bis e 14 ter, I. 27 dicembre 206, n. 296, 2697, 115 e 167 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per aver confermato un avviso d’accertamento fondato unicamente su una erronea applicazione dello studio di settore.
Esaminando innanzitutto le ragioni di ricorso con le quali si denuncia un vizio di motivazione della sentenza, occorre osservare che essa è stata pubblicata il 19 giugno 2013, e dunque ad essa trova applicazione la nuova formulazione del vizio, introdotta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla I. 7 agosto 2012, n. 134. Il sindacato di legittimità sulla decisione resta pertanto circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, co. 6, Cast., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, ipotesi tutte riconducibili nella nullità della sentenza per vizio processuale, e dunque nell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. Al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053; vedi inoltre 20 novembre 2015, n. 23828; 12 ottobre 2017, n. 23940; 25 settembre 2018, n. 22598). Con la nuova formulazione del n. 5 lo specifico vizio denunciabile per cassazione deve essere pertanto relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia. Anche l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; 19 luglio 2021, n. 20553). Al fatto storico non sono assimilabili neppure le “questioni” o le “argomentazioni” o ancor meno le “interpretazioni della disciplina”, così che quando ad esse ci si riporta invocando il vizio motivazionale, il motivo è inammissibile. E non può neppure riguardare i singoli elementi di un accadimanto complesso, quest’ultimo comunque apprezzato (ex multis, da ultimo, cfr. Cass., 26 gennaio 2022, n. 2268; 31 marzo 2022, n. 10525).
Risultano pertanto inammissibili tutti i motivi con cui la ricorrente ha invocato il vizio di motivazione secondo la disciplina vigente in epoca anteriore alla riforma introdotta nel 2012 (primo, quarto, nono e tredicesimo motivo) e quelli che, pur nel riferimento ad un fatto controverso secondo la nuova perimetrazione del vizio motivazionale, esulano comunque dal riferimento al fatto storico (secondo, quinto e decimo motivo).
I suddetti motivi sono peraltro inammissibili anche in riferimento all’art. 348 ter, quarto e quinto comma, cod. civ., risultando che le due statuizioni di merito sono fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti oggetto di causa, corrispondendo peraltro la decisione di secondo grado a quella di primo e palesandosi pertanto una inammissibilità dei motivi riconducibili al vizio di motivazione per cd. doppia conforme.
È poi inammissibile il sesto motivo, la cui critica formulata sotto il profilo dell’errar iuris sottende la sollecitazione ad un giudizio di merito, che è inibito in sede di legittimità.
Parimenti inammissibile è poi il dodicesimo motivo, che invoca la nullità della sentenza per il giudizio del giudice d’appello sulla dedotta erroneità dello studio di settore applicato. Trattasi infatti di questione ignota in ordine alle modalità e tempestività con cui essa è stata sollevata, difettando l’autosufficienza del motivo, e comunque dovendosi escludere che una valutazione erronea sul punto importi la nullità della pronuncia.
I motivi tre, sette, otto, undici e quattordici possono essere invece trattati congiuntamente, per essere connessi dalla comune critica alla violazione delle regole interpretative della disciplina sull’accertamento a mezzo gli studi di settore. Essi sono fondati.
Con orientamento ormai consolidato la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, introdotto con l’art. 62 sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito con modificazioni in I. 29 ottobre 1993, n. 427, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività- ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento. In tale sede il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali non sono state ritenute attendibili le allegazioni del contribuente. L’esito del contraddittorio peraltro non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, il cui onere probatorio grava sull’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente (Sez. U, 18 dicembre 2009, n. 26635; 31 maggio 2018, n. 13908; 18 dicembre 2017, n. 30370; 12 aprile 2017, n. 9484; 07 giugno 2017, n. 14091, 20 settembre 2017, n. 21754; 20 giugno 2019, n. 16545). Attese quindi le conseguenze derivanti dalla ripartizione dell’onere probatorio, si è anche affermato che ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato e il contribuente abbia omesso di parteciparvi, oppure, anche partecipando, non abbia allegato alcunché per spiegare lo scostamento, l’Ufficio non è più tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (cfr. Cass., 15 luglio 2020, n. 14981 oltre la giurisprudenza già riportata). In questo caso infatti la rilevazione dello scostamento, a fronte dell’assenza di elementi con cui il contribuente ne spieghi la sussistenza, assume la dignità di indizio grave e preciso, idoneo, pur se unico, a supportare la dimostrazione del fatto ancora sconosciuto, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ. Tanto in ogni caso non pregiudica definitivamente la difesa del contribuente, cui resta sempre il diritto di allegazione e di prova in sede contenziosa, anche per la prima volta, degli elementi idonei a vincere le presunzioni su cui l’accertamento tributario si fonda (cfr. Cass., 30 settembre 2019, n. 24330; 9 ottobre 2020, n. 21824). A tal fine è tuttavia indispensabile che, come in tutte le ipotesi in cui sia attribuito valore presuntivo agli elementi addotti dall’Amministrazione finanziaria e si ponga a carico del contribuente l’inversione dell’onere della prova, alla prova contraria allegata da questi deve far seguito una valutazione del giudice altrettanto analitica di quanto dedotto e documentato (ex multis, Cass., 28 novembre 2018, n. 30786; 5 maggio 2021, n. 11696; 18 novembre 2021, n. 35258; cfr. anche 8 ottobre 2020, n. 21700).
Ebbene nel caso di specie dalla lettura della sintetica e poco perspicua sentenza del giudice d’appello non è dato evincere un analitico o quanto meno soddisfacente esame della documentazione prodotta dalla società, risolvendosi il giudizio in una affermazione assiomatica (“assoluta mancanza dell’essenziale requisito dell’assolvimento dell’onere probatorio da parte della società ricorrente”), priva come tale di ogni possibilità di controllo del percorso logico-argomentativo utilizzato per giungere a tali conclusioni. Occorreva al contrario evidenziare quale giudizio il giudice avesse formulato sulla documentazione allegata dalla contribuente in controprova, dando così conto della sua inidoneità a giustificare lo scostamento dal cluster dello studio di settore applicato.
La sentenza va in conclusione cassata per i motivi accolti e il processo va rinviato dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che in diversa composizione, oltre a liquidare le spese del giudizio di legittimità, provvederà a riesaminare l’appello, facendo applicazione dei principi di diritto dispensati da questa Corte.
P.Q.M.
Accoglie i motivi tre, sette, otto, undici e quattrodici, dichiara inammissibili gli altri. Cassa la sentenza in ragione dei motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, cui demanda in diversa composizione anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 20540 depositata il 17 luglio 2023 - La deduzione del vizio di falsa applicazione dell'art. 2729, primo comma, c.c., suppone allora un'attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 22449 depositata il 15 luglio 2022 - L'accertamento effettuato dall'Amministrazione finanziaria si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto, secondo l'art. 32 del…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 24396 depositata il 5 agosto 2022 - In tema di accertamenti fondati su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 aprile 2020, n. 7651 - A fronte del potere dell'Amministrazione finanziaria di effettuare accertamenti ed ipotesi deduttive e presuntive il contribuente, trattandosi di presunzioni relative, è ammesso a fornire prova contraria…
- Corte di Cassazione sentenza n. 22679 depositata il 20 luglio 2022 - In tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell'apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 26706 depositata il 12 settembre 2022 - In tema di prova per presunzioni, il giudice, deve rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il dipendente che effettua un furto di piccolo imp
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27353 depositata il 26 settembre…
- Processo tributario: onere della prova e responsab
La riforma del processo tributario ad opera della legge n. 130 del 2022 ha intro…
- E’ obbligo del collegio sindacale comunicare
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25336 del 28 agosto 2023, interv…
- Dimissioni del lavoratore efficace solo se effettu
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27331 depositata il 26 settembre…
- La restituzione ai soci dei versamenti in conto au
La Corte di cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 39139 depositata il 2…