CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 2852 depositata il 31 gennaio 2023
Tributi – Avviso di accertamento per maggiore imposta ICI – Revoca dell’agevolazione prima casa – Connotati dell’abitazione di lusso – Decadenza dell’amministrazione finanziaria dall’esercizio del potere impositivo – Rigetto
Ritenuto in fatto
1. C.L. e P.M.A. proponevano ricorso per revocazione, ex art. 395 n. 4 c.p.c., davanti alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio avverso la sentenza n. 154/28/12 con la quale la CTR Lazio aveva, in sede di rinvio a seguito della sentenza n, 2965/10 della Cassazione, accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, confermando l’avviso di accertamento per maggiore imposta Ici, in quanto relativa ad abitazione ritenuta casa di lusso e, come tale, esente dal beneficio prima casa. Deducevano a tal fine che vi era in atti la prova documentale, da essi prodotta, che l’abitazione in questione avesse una superficie inferiore ai 240 mq e non fosse, pertanto, di lusso.
2. La Commissione Tributaria Regionale dichiarava inammissibile il ricorso, evidenziando che la fattispecie non rientrava nei casi di cui agli artt. 64 d.l. n. 546/1992 e 395, nn. 2, 3, 4 e 5, c.p.c. e che risultava essere stato già rigettato un analogo ricorso per revocazione, anche se per motivi apparentemente diversi.
4. Avverso la sentenza della CTR hanno proposto ricorso per cassazione C.L. e P.M.A. sulla base di tre motivi. L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.
In prossimità dell’udienza pubblica i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
Il P.G. ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la “Violazione dell’art. 360 n. 3 del c.p.c. per violazione e falsa applicazione di legge”, per aver la CTR erroneamente ritenuto inammissibile il ricorso per revocazione da essi proposto, nonostante lo stesso non fosse stato proposto ai sensi dell’art. 395, n. 4 c.p.c., bensì ai sensi del n. 5 per denunciare la contraddittorietà della sentenza n. 154/28/12 emessa dalla CTR Roma sez. 28 con altra sentenza precedente n. 45/04/2009 emessa dalla sezione 4 della stessa commissione, nei confronti dei venditori dell’immobile per cui era causa (D.A., P. e T. ed avente tra le parti autorità di cosa giudicata.
1.1. Il motivo è prima di tutto ammissibile.
In primo luogo, per quanto privo della indicazione in rubrica delle norme che si asseriscono violate, va ricordato che “La mancata indicazione delle norme di diritto su cui il ricorso per cassazione si fonda non è idonea a determinarne l’inammissibilità allorchè le ragioni giuridiche della doglianza e le relative norme di riferimento siano desumibili dall’insieme degli argomenti addotti dal ricorrente” (Sez. 3, Sentenza n. 1606 del 26/01/2005; conf. Sez. L, Sentenza n. 526 del 13/01/2006).
Inoltre, nel processo tributario, i ricorsi per revocazione proposti ai sensi dell’art. 64, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 (nella formulazione, applicabile ratione temporis – ai ricorsi depositati, come quello in oggetto, fino al 31 dicembre 2015 -, anteriore all’entrata in vigore dell’art. 9, comma 1, lett. cc), del d.lgs. n. 156 del 2015), sono ammissibili solo nei confronti di sentenze che, involgendo accertamenti di fatto, non siano ulteriormente impugnabili sul punto controverso o non siano state impugnate nei termini con i mezzi ordinari di gravame, tra i quali rientra il ricorso per cassazione (Sez. 5, Ordinanza n. 12784 del 23/05/2018), con la conseguenza che la richiesta di revocazione è inammissibile allorché una sentenza, involgente accertamenti di fatto, sia impugnabile o sia stata impugnata coi mezzi ordinari di gravame (Sez. 5, Sentenza n. 5827 del 11/03/2011).
Anche se questa Corte ha altresì affermato che, in tema di contenzioso tributario, l’art. 64, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, nella parte in cui subordina l’ammissibilità della revocazione ordinaria alla non ulteriore impugnabilità della sentenza sul punto dell’accertamento in fatto, non si riferisce all’inoppugnabilità derivante dalla scadenza dei termini per l’impugnazione ma a quella derivante dalle preclusioni relative all’oggetto del giudizio, ovverosia, per le sentenze di secondo grado, all’impossibilità di contestare l’accertamento in fatto in sede di legittimità; ne consegue l’ammissibilità della revocazione ordinaria avverso una sentenza della commissione tributaria regionale inoppugnabile sotto il profilo dell’accertamento in fatto, ancorché non sia ancora scaduto il termine per la proposizione del ricorso per cassazione (Sez. 5, Sentenza n. 19522 del 16/07/2008; conf. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22385 del 26/09/2017).
In quest’ottica, la revocazione delle sentenze pronunciate dal giudice tributario è ammissibile anche nel caso di contrasto con un precedente giudicato, ai sensi dell’art. 395, numero 5, c.p.c., poiché, là dove l’art. 64, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, menziona gli accertamenti di fatto, intende riferirsi anche allo specifico motivo di revocazione costituito dall’errore (revocatorio) sul “fatto” dell’esistenza di un precedente giudicato esterno formatosi tra le stesse parti (Sez. 5, Sentenza n. 11596 del 18/05/2007; conf. Sez. 5, Sentenza n. 16014 del 08/07/2009).
1.2. Ciò debitamente premesso, il motivo è, comunque, infondato.
Invero, in tema di revocazione, perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che sussista un’ontologica e strutturale concordanza tra gli estremi su cui debba esprimersi il secondo giudizio e gli elementi distintivi della decisione emessa per prima (Sez. 2, Sentenza n. 12348 del 27/05/2009; Sez. 2, Sentenza n. 23815 del 21/12/2012). Nel caso di specie questo presupposto non ricorrerebbe, essendo state le due sentenze emesse tra soggetti differenti (da un lato, l’Agenzia ed i venditori e, dall’altro, l’Agenzia e gli acquirenti).
E’, invece, superabile l’altro ostacolo (in qualche modo esposto dalla CTR al punto 1° della motivazione) rappresentato, secondo una parte della giurisprudenza (in tal senso, oltre a Cass. 23815/2012 già citata, Sez. 1, Sentenza n. 8761 del 07/10/1996, secondo cui “Al fine dell’applicazione dell’art. 395, n. 5, c.p.c., perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente, occorre che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale concordanza degli estremi sui quali deve essere espresso il secondo giudizio, rispetto agli elementi distintivi della decisione emessa per prima, vale a dire che la precedente sentenza deve avere ad oggetto il medesimo fatto o un fatto ad esso antitetico, e non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico”; conf. Cass. n. 12348/2009, cit.), dalla necessità che il precedente giudicato abbia ad oggetto il medesimo fatto (nella specie, la qualificazione dell’immobile compravenduto come abitazione di lusso, ai sensi dell’art. 6 dm 2.8.1969) o un fatto ad esso antitetico, e non un fatto costituente un mero antecedente logico (nella specie, la decadenza dell’Ufficio dal potere impositivo, ai sensi dell’art. 67 dPR n. 131/1986). Invero, può aversi contrasto di giudicati non soltanto quando le due sentenze abbiano pronunciato sullo stesso oggetto, ma anche nel caso in cui la precedente sentenza abbia pronunciato su un rapporto (recte, su una questione) pregiudiziale a quello su cui ha pronunciato la seconda sentenza.
Di questo avviso sono altresì Sez. 5, Sentenza n. 13987 del 2019 e Cass. 15072/2016, la quale ultima afferma che <<Perché possa ravvisarsi una pronuncia avente autorità di cosa giudicata, con riguardo alla quale sia da confrontare la sentenza da revocare, è indispensabile che tra i due giudizi vi sia, quindi, identità di parti, essendo l’efficacia soggettiva ed oggettiva del giudicato circoscritta chiaramente dall’art. 2909 c.c. sulla base dei tradizionali comuni canoni di identificazione delle azioni (“persanae”, “petiturn” e “causa petendi”). Ai fini dell’applicazione dell’art. 395, n. 5, c.p.c., perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, e, quindi, essere oggetto di revocazione, occorre, piuttosto, che tra i due giudizi vi sia identità non solo di oggetto, ma anche di soggetti, tale che tra le due vicende sussista un’ontologica e strutturale […]>>.
1.3. In ogni caso, va evidenziato che il principio di diritto interno per il quale la sentenza resa tra creditore e condebitore solidale può essere opposta al creditore da altro condebitore solidale è applicabile, anche in materia tributaria, alle seguenti quattro condizioni: 1) che la sentenza sia passata in giudicato; 2) che non si sia già formato un giudicato nei rapporti tra il condebitore solidale che intende avvalersi del giudicato e il creditore (sia perché il condebitore abbia preso parte allo stesso giudizio e non abbia proposto impugnazione, sia perché il giudicato sia intervenuto in altro autonomo giudizio). In proposito il giudicato è opponibile sia se penda giudizio non ancora definito, sia se il condebitore sia rimasto inerte e non abbia impugnato l’atto impositivo; 3) che, ove si tratti di giudizio pendente, la relativa eccezione sia stata tempestivamente sollevata in giudizio, nel senso che il giudicato non deve essersi formato prima della scadenza del termine per l’ultima allegazione difensiva delle parti nel giudizio precedente a quello in cui viene dedotto (cfr. Cass. n. 14883 del 31/05/2019); 4) che il giudicato non si sia formato nei confronti del condebitore solidale in relazione a ragioni personali di quest’ultimo (Cass. n. 33095 del 2019; Cass. n. 40721/21 e 39815/21).
Orbene, nel caso di specie, avuto riguardo al secondo presupposto, occorre evidenziare che, nei rapporti tra gli acquirenti e l’Agenzia, si è formato il giudicato interno implicito con riferimento proprio alla questione della decadenza dell’amministrazione finanziaria dall’esercizio del potere impositivo. Invero, il ricorso originario riguardava un avviso di accertamento per maggiore imposta Ici, a seguito della revoca dell’agevolazione prima casa, in relazione ad un atto di compravendita del 2001.
I contribuenti, con il detto ricorso, eccepivano la decadenza ex art. 76 dPR 131/86, non ritenendo applicabile la proroga ex art. 11 l. 289/2002, e l’assenza nell’immobile in questione dei connotati dell’abitazione di lusso.
La CTR, riformando la prima sentenza, riteneva applicabile la proroga, escludendo la decadenza dell’Agenzia, laddove respingeva l’appello dell’Agenzia nel merito, in quanto riteneva che la superficie dell’immobile fosse inferiore ai 240 mq.
L’Agenzia ricorreva in cassazione che, con sentenza, annullava quella emessa dalla CTR, ritenendo che quest’ultima non avesse fatto riferimento alle stime UTE.
Riassunto il giudizio, la CTR accoglieva il gravame dell’Agenzia e confermava l’avviso per maggiore ICI.
Da ciò consegue che, avuto riguardo al profilo della decadenza, la pronuncia della CTR è passata in giudicato (implicito interno), non avendo la contribuente proposto sul punto ricorso per cassazione (incidentale), sicchè anche per tale motivo la revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c. si rivelava inammissibile.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., per essere la sentenza impugnata priva di una idonea motivazione.
Il motivo è infondato.
La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; conf. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014, Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018, Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Orbene, non è revocabile in dubbio che la sentenza impugnata sia connotata da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o, comunque, da una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, se solo si considera che: 1) ha erroneamente escluso che la fattispecie denunciata rientrasse nell’ambito dell’art. 395 n. 5 c.p.c., richiamando, peraltro, disposizioni (artt. 64 d.l. n. 546/1992 e 395 nn. 2, 3 e 4) che non hanno nulla a che vedere con il thema decidendum; 2) pur dando atto della circostanza che analogo ricorso per revocazione fosse stato rigettato “anche se per motivi apparentemente diversi”, non ha chiarito in che termini il ricorso fosse “analogo”, né su quali basi i motivi del rigetto fossero “apparentemente diversi”, né, tanto meno, quali fossero i corollari (id est, le ricadute sul piano processuale) da ricavarsi da tale affermazione; 3) ha ritenuto di condividere le asserzioni mosse dall’Ufficio con le controdeduzioni, senza esplicitarne le ragioni.
2.1. Tuttavia, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., ha il potere di correggere la motivazione ex art. 384, ultimo comma, c.p.c., anche in presenza di un error in procedendo, che ricorre anche nel caso di motivazione solo apparente (Sez. L, Sentenza n. 23989 del 11/11/2014; conf. Sez. 5, Sentenza n. 16157 del 03/08/2016).
Per le ragioni esposte nell’analizzare il primo motivo il dispositivo è, infatti, conforme a diritto, dovendosi nei termini in precedenza esposti correggere la motivazione.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., per non aver la Regionale esaminato la documentazione prodotta nel corso del giudizio d’appello, avuto particolare riguardo ad una perizia giurata dalla quale avrebbe evinto che la superficie dell’abitazione in esame era di mq 178,59, anziché, come sostenuto dall’Agenzia, di mq 240.
3.1. Il motivo è inammissibile, in quanto fa valere profili, attinenti alla qualificazione in termini di abitazione non di lusso dell’immobile acquistato, che, sulla base della stessa impostazione difensiva dei ricorrenti, non avrebbero avuto rilevanza nel presente giudizio, in cui la revocazione si fonda, ai sensi dell’art. 395 n. 5 c.p.c., sulla contraddittorietà della sentenza n. 154/28/12 emessa dalla CTR Roma sez. 28 con altra sentenza precedente n. 45/04/2009 emessa dalla stessa commissione, ma sez. 4, nei confronti dei venditori dell’immobile per cui era causa (D.A., P. e T. ed avente tra le parti autorità di cosa giudicata.
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in 3.500,00, oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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