Corte di Cassazione sentenza n. 28735 depositata il 4 ottobre 2022

IVAdetraibilità dell’iva presuppone l’emersione in fattura dei costi sostenuti e la inerenza dei costi medesimi – la mancata emissione di fatture con le altre consorziate non genera danno erariale, mentre la omessa fatturazione degli acconti è fiscalmente perseguibile

FATTI DI CAUSA

All’esito del processo verbale di constatazione, redatto a conclusione di una verifica fiscale eseguita dalla GdF, l’Agenzia delle entrate notificò al Consorzio Mz. per l’anno d’imposta 2001 l’avviso d’accertamento e l’avviso di irrogazione di sanzioni, contestando l’omessa fatturazione per operazioni imponibili in relazione a rapporti con le consorziate, l’illegittima detrazione di Iva per servizi forniti dalla consorziata Mx., l’infedele dichiarazione annuale per omesso rilascio di fatture verso le consorziate, l’omesso versamento dell’imposta annuale. Con il primo atto fu determinato un debito Iva pari ad€ 10.818.357,98 e sanzioni pari ad€ 5.028.889,25. Con l’atto di contestazione furono irrogate ulteriori sanzioni per l’importo di € 20.513.355,90. Gli esiti dell’attività accertativa erano stati fondati sul riscontro di risultati economici positivi dell’ente consortile, che pur per sua natura era privo di scopo di lucro; sull’accertato omesso “ribaltamento” alle consorziate di tutti i costi e gli utili, che non risultavano distribuiti a queste stesse secondo la quota di partecipazione al consorzio, come avrebbe dovuto essere, bensì indirizzati esclusivamente alle consorziate cui era stata affidata la singola operazione economica; erano inoltre emerse irregolarità contabili nei rapporti con la consorziata Mx., nonché sui compensi indirizzati al “socio direttore” e ad altri consulenti tecnici, tali da ipotizzare che i corrispettivi versati a costoro occultassero utili realizzati dalla società consortile.

Seguì il contenzioso che, incardinato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino, esitò nell’accoglimento dei ricorsi con sentenze n. 93/16/2006 e 96/16/2006. Gli appelli proposti dall’Amministrazione finanziaria, previa riunione, furono rigettati dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte con sentenza n. 31/01/2008. Adita la Corte di cassazione, con sentenza n. 13295/2011 il giudice di legittimità cassò la pronuncia d’appello, rinviando il processo alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, perché la controversia fosse decisa nel rispetto dei principi di diritto enunciati. Nello specifico la Corte dispose il rinnovo dell’esame  dell’appello  «facendo  applicazione  degli enunciati principi in ordine all’ obbligo del Consorzio costituito per gli scopi previsti dall’art. 2602 cod. civ. di ribaltare sulle imprese consorziate -secondo i criteri di leggi (specie quanto all”‘inerenza”) o quelli legittimamente fissati dallo statuto, se non elusivi (nel senso precisato al punto C.) delle norme fiscali – tutte le operazioni economiche da esso conseguite, che siano realizzate da una o più imprese consorziate oppure con strutture proprie o con impiego di imprese terze […]».

Con sentenza n. 63/36/2014, ora al vaglio della Corte, la Commissione tributaria regionale del Piemonte, in sede di rinvio, con riferimento alle modalità operative del consorzio ha riconosciuto la condotta lesiva della «neutralità della struttura consortile», che ha così perseguito fini di lucro, e nello specifico un proprio utile. Ha tuttavia ritenuto che, con riferimento al ribaltamento alle consorziate solo di parte dei costi e dei ricavi, e pur irregolarmente, tale modalità operativa non avesse comportato alcuna “evasione/elusione” dell’Iva, con conseguente assenza di danno all’Erario. Conclusioni diverse ha invece ritenuto di riconoscere nel rapporto con la consorziata società Mx. spa. Nello specifico ha affermato che la società consortile, perseguendo un proprio vantaggio economico, con la mancata contabilizzazione sufficiente e trasparente dei costi relativi alle operazioni realizzate con quest’ultima, ha impedito la verifica di quanta parte di essi fosse collegata al servizio svolto in favore dei consociati e quanta con terzi estranei all’organizzazione, così supportando la convinzione che quella pratica, attraverso la fatturazione di costi poco chiari e inesatti, nonché il ricorso sistematico ad anticipi, senza un’esatta corrispondenza all’operazione (per cui alla p. 10 della pronuncia erano richiamati stralci del pvc), fosse finalizzata all’occultamento di utili. A tal fine ha dettagliatamente elencato (pp. 10-11) le operazioni e le condotte anomale, sufficienti a riconoscere fondati i recuperi dei tributi e le conseguenti sanzioni. Ha quindi ritenuto che, trattandosi di costi non dichiarati o non documentati, fosse superata la questione del riscontro della loro inerenza, che la decisione della Corte di legittimità pur aveva invitato a riesaminare (in verità, come appresso sarà chiarito, con riguardo non solo ai rapporti con la Mx. ma con tutte le consorziate). Nell’esame dei rapporti con quest’ultima società ha inoltre riconosciuto l’illecita condotta della società consortile, evincendo dagli indizi

emersi nel corso della verifica, riprodotti nell’atto impositivo, la prova del mascheramento degli utili sotto la veste di anticipi corrisposti dal Consorzio per i servizi affidati alla Mx.. Ha infine riconosciuto il mascheramento di utili sotto forma di costi corrispondenti ai corrispettivi versati al socio “direttore” e ad altri “consulenti tecnici”. Ha concluso -per quanto qui di interesse- per la conseguente indetraibilità dell’Iva applicata ai suddetti costi. Nello specifico ha affermato che «per quanto riguarda questo tributo, occorre distinguere tra le somme trattenute dal Consorzio a copertura dei costi sostenuti in favore delle consociate e quelle che invece hanno rappresentato i costi ingiustificati attraverso i quali lo stesso ha “smaltito” gli utili conseguiti. Apparentemente le due tipologie di costi sono parte integrante dell’imponibile che dovrebbe essere soggetto ad IVA, trattandosi di un ente che ha operato anche per fini di lucro, ma risultando incontestabile che nella sostanza l’IVA è stata regolarmente e totalmente versata (non includendo la parte connessa ai rapporti con Mx. SPA e le varie consulenze), gli eventuali scostamenti algebrici dell’imposta tra la fattura emessa verso il committente e l’autofattura emessa dal Consorzio o la fattura emessa dal Consorzio nei confronti della consociata e la fattura emessa da quest’ultima per il corrispettivo ricevuto, sono da ritenersi ininfluenti e quindi ogni ulteriore pretesa da parte dell’Ufficio è infondata». All’esito di tale complesso, e per molti profili poco perspicuo ragionamento, il giudice del rinvio ha annullato i recuperi ad imposta relativi ai rapporti di ribaltamento tra Consorzio e consorziate (rilievi 1, 3 e 4), ad eccezione di quelli specifici relativi al rapporto con la Mx. (ricompresi dunque anch’essi nei rilievi 1, 3 e 4 e riferibili all’importo -complessivo- di € 8.304.263,97); ha confermato l’indetraibilità dell’iva relativa all’acquisto servizi (socio direttore e consulenti per l’importo di € 813.328,28, come specificamente indicato nel rilievo n. 2 descritto alla pag. 3 della sentenza ora impugnata). Ha infine disposto la rideterminazione delle sanzioni, in ragione del parziale annullamento dell’atto impositivo.

La ricorrente ha censurato la sentenza con otto motivi, chiedendone la cassazione, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate. Questa ha inoltre proposto ricorso incidentale, impugnando a sua volta la decisione con tre motivi, cui ha resistito la società con controricorso incidentale.

All’esito della udienza pubblica del 22 giugno 2022, celebrata ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni in I. 18 dicembre 2020, n. 176, la causa è stata riservata e decisa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essersi pronunciata sulla questione «relativa ai rapporti di consulenza e di direzione dei lavori tra Mz., società consortile, e Mx. e altri professionisti, mai ripresa dall’Agenzia delle entrate né nel precedente grado d’appello né in sede di legittimità;

con il secondo motivo, subordinato al rigetto del primo, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., perché erroneamente la sentenza avrebbe confermato una pretesa fiscale sulla scorta di indizi insignificanti;

con il terzo motivo ci si duole della nullità della sentenza, per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per aver trattato dei rapporti complessivi tra il consorzio e la società Mx., che l’Amministrazione finanziaria non aveva più ripreso nei precedenti gradi di merito;

con il quarto motivo, subordinato al rigetto del terzo, ci si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto alla erronea decisione assunta dal giudice del rinvio sulla base di indizi insignificanti;

con il quinto motivo, articolato in via “alternativa” ai precedenti, si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essersi pronunciata la sentenza sulla questione, relativa ai rapporti di consulenza e di direzione nello svolgimento degli appalti, già processualmente abbandonata dall’Agenzia delle entrate nei precedenti giudizi di merito e nel giudizio di rinvio;

con il sesto motivo, subordinato al quinto, si denuncia la violazione dell’art. 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto all’erronea decisione sul fondamento della pretesa fiscale, adottata dal giudice del rinvio sulla base di indizi insignificanti;

con il settimo motivo si denuncia l’insanabile contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., laddove con essa per un verso si sostiene che la mancata emissione di fatture con le altre consorziate non genera danno erariale, mentre la omessa fatturazione degli acconti tra Mz. e Mx. è fiscalmente perseguibile;

con l’ottavo motivo si denuncia la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118, primo e secondo comma, disp. att. cod. proc. civ., laddove con essa per un verso si sostiene che la mancata emissione di fatture con le altre consorziate non genera danno erariale, così annullando l’atto impositivo sui rilievi relativi all’asserita compensazione di costi e ricavi, mentre la omessa fatturazione degli acconti tra Mz. e Mx. è fiscalmente perseguibile, con conseguente riconoscimento della fondatezza della pretesa fiscale.

Quanto al ricorso incidentale della Agenzia delle entrate, con il primo motivo ci si duole della violazione dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., per mancata applicazione del principio di diritto dispensato dalla sentenza della Corte di legittimità, che ai fini della legittima detraibilità dell’iva aveva demandato al giudice del rinvio la verifica della elusività delle compensazioni tra costi e ricavi e la conseguente violazione dell’obbligo di fatturazione o autofatturazione per le operazioni tra consorzio e consorziate, laddove il giudice del rinvio ha giudicato i rapporti sulla base del criterio, mai indicato dalla Cassazione, dell’assenza di danno erariale;

con il secondo per violazione degli artt. 19, 53, 63 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere deciso sulla base del principio del danno erariale;

con il terzo per violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 17, comma 3, 19, 25, 26, 27, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’art. 10 della I. 27

luglio 2000, n. 212, nonché dell’art. 7 del d.lgs. 18 dicembre 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., quanto alle statuizioni adottate dal giudice del rinvio di annullamento (parziale) dell’avviso di accertamento.

Esaminando il primo dei motivi del ricorso principale, con il quale la società si duole del vizio della sentenza laddove ha deciso ultra petita, affrontando un profilo che, compreso nei rilievi elevati in sede d’accertamento, nel prosieguo del giudizio era stato tralasciato dall’Agenzia delle entrate -integralmente soccombente in primo grado-, esso trova fondamento e va pertanto accolto.

La questione afferisce a quelle specifiche operazioni poste in essere tra la Mz. e la consorziata Mx., aventi ad oggetto i corrispettivi versati per rapporti di consulenza e direzione lavori. Si tratta di uno specifico addebito, nel quale la principale delle contestazioni è quella di operazioni attraverso cui si sarebbero mascherati utili della medesima società consortile, così sottratti al fisco sia sotto il profilo delle imposte dirette (profilo che qui non interessa), sia in riferimento alla imponibilità ad iva. Ebbene, tanto dalla lettura degli atti d’impugnazione dell’Agenzia delle entrate, riportati per stralcio dalla ricorrente ma anche riprodotti nel controricorso dell’Amministrazione finanziaria, quanto dalla lettura della sentenza n. 13295 del 2011, con cui la Corte di cassazione aveva cassato con rinvio la precedente pronuncia della commissione regionale e indispensabile a questo collegio per comprendere le ragioni stesse del presente ricorso, la questione non era più oggetto d’esame. La tematica prevalentemente affrontata nella precedente sentenza di legittimità era stata quella della legittima o illegittima compensazione di costi e ricavi, con ribaltamento solo parziale delle medesime voci alle consorziate, che, come meglio sarà chiarito a breve, riguardava anche i rapporti con la consorziata Mx., ma non quelli relativi alle operazioni di consulenza e direzione lavori, esaminati sotto il distinto ed esclusivo profilo dell’occultamento di utili conseguiti dalla società consortile, in spregio, si affermava, della assenza di un scopo di lucro perseguibile mediante la struttura consortile.

Di contro il giudice del rinvio, pur espressamente consapevole che le suddette questioni non fossero state trattate dalla sentenza cassata né dalla “Suprema Corte”, ha ritenuto «che le medesime devono essere prese in considerazione». Decidendo sul punto la commissione regionale è pertanto incorsa in un error in procedendo, con violazione del divieto di decisione ultra petita e conseguente nullità della sentenza limitatamente al suddetto capo.

L’accoglimento del primo motivo assorbe il secondo. Parimenti assorbiti risultano i motivi quinto e sesto, relativi al medesimo oggetto.

Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia un vizio di ultrapetizione della sentenza per aver trattato dei rapporti complessivi tra il consorzio e la società Mx., che l’Amministrazione finanziaria, nella prospettazione della censura, non aveva più ripreso nei precedenti gradi di merito. Il motivo è infondato.

Dalla lettura degli atti difensivi delle fasi processuali anteriori, riportati nel ricorso e nel controricorso, si evince che la difesa dell’Ufficio ha sviluppato ampiamente la questione relativa alla differenza tra quanto fatturato dalla società consortile ai terzi committenti e quanto fatturato dal consorziato alla società consortile, ponendo quale questione centrale, in relazione ai lavori assegnati e ai servizi resi, il “ribaltamento” integrale o parziale dei costi e dei ricavi, rilevante ai fini della determinazione dell’imponibile iva. Ma proprio la specificità dell’oggetto centrale della controversia, vagliato nei vari gradi di giudizio, esclude che qualunque questione afferente alla consorziata Mx. s.p.a. esulasse dall’oggetto della lite. Ciò intanto perché emerge dai riscontri difensivi che l’Agenzia delle entrate, pur soccombente nel giudizio di primo grado, aveva proposto l’appello contestando nella sua integralità le modalità dei rapporti economici tra consorzio e consorziati, nonché la mancata corrispondenza tra valori economici delle operazioni, quanto fatturato con i terzi committenti e quanto diversamente oggetto di fatturazione con i consorziati stessi. E tra questi ultimi è incontestabile che trovi collocazione la stessa Mx..

Premesso che la sentenza ora impugnata è argomentata in modo poco perspicuo -ed errato per quanto si chiarirà appresso con l’esame del primo motivo del ricorso incidentale-, ciò nonostante dal suo contenuto si evince che le differenti conclusioni raggiunte dal giudice del rinvio nel vagliare i rapporti tra società consortile e consorziati, ad eccezione della Mx., non trovano ragione nella circostanza che per quest’ultima il rapporto sia stato esaminato sotto profili diversi rispetto alle altre società (ad eccezione dei profili attinenti ai servizi di direzione e consulenza), bensì nella considerazione degli ulteriori elementi raccolti su di essa in sede di verifica. Da tali ulteriori elementi, al contrario delle conclusioni cui la commissione regionale perviene quanto ai rapporti con le altre consorziate -l’assenza di danno erariale-, per la Mx.  ha ritenuto di identificare un danno erariale, riscontrando incongruenze contabili che mettono in discussione non già e non solo l’illegittimità del mancato ribaltamento di tutti i costi e ricavi, ma l’omessa contabilizzazione di operazioni. D’altronde la sentenza di legittimità ha rinviato il giudizio al giudice regionale per la rivalutazione di “tutte” le operazioni economiche alla luce degli obblighi dell’ente consortile. Sulla base di quanto appena chiarito, il quarto motivo, formulato in subordine al rigetto del terzo, è invece inammissibile. La società, quanto alla decisione assunta dal giudice del rinvio, lamenta un errore di interpretazione delle regole sulla prova indiziaria, perché fondata su indizi insignificanti. Premesso che il giudice del rinvio ha raggiunto tali conclusioni apprezzando gli elementi raccolti in sede di verifica e fatti propri dall’atto impositivo (corrispondenza quasi assoluta dei soci della società consortile con quelli della società consorziata, mascheramento di utili mediante versamento di anticipi con impossibilità di riscontro della corrispondenza tra prestazioni e versamenti), e rilevato che la critica sollevata dalla difesa della ricorrente si è limitata ad affermare che tali elementi fossero inidonei a fondare la prova, con il motivo la denuncia di un errar iuris in iudicando sottende al tentativo di rivalutare gli indizi medesimi. Ma tale rivalutazione è inibita in sede di legittimità, perché riservata al giudice di merito.

Inammissibile è anche il settimo motivo, con il quale si denuncia un vizio di motivazione per la sua contraddittorietà, laddove per un verso si sostiene che la mancata emissione di fatture con le altre consorziate non genera danno erariale, mentre la omessa fatturazione degli acconti tra Mz. e Mx. è fiscalmente perseguibile. Trattandosi di sentenza pubblicata il 17 gennaio 2014, ad essa trova applicazione la formulazione del vizio di motivazione introdotta con l’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in I. 7 agosto 2012, n. 134. Non esiste dunque più la denuncia della contraddittorietà della motivazione, residuando solo l’ipotesi dell’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione, ipotesi qui non riscontrabile perché la supposta contraddittorietà logica della motivazione nulla ha a che vedere con un “fatto decisivo” non esaminato.

Inammissibile infine è l’ottavo motivo, con cui si lamenta la nullità della decisione laddove con essa per un verso si sostiene che la mancata emissione di fatture con le altre consorziate non genera danno erariale, così annullando l’atto impositivo sui rilievi relativi all’asserita compensazione di costi e ricavi, mentre la omessa fatturazione degli acconti tra Mz. e Mx. è fiscalmente perseguibile, con conseguente riconoscimento della fondatezza della pretesa fiscale. Il motivo risulta infatti incomprensibile quando denuncia una assenza di concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto.

In definitiva, quanto al ricorso principale, la sentenza va cassata limitatamente alle questioni trattate con il primo motivo.

Esaminando ora il ricorso incidentale, i tre motivi possono essere trattati congiuntamente perché connessi dalla critica mossa dall’Agenzia delle entrate nei confronti della sentenza che, pur riconoscendo la violazione degli obblighi di fatturazione tra consorzio e consorziate, ha ritenuto di confermare l’annullamento dell’atto impositivo quanto al recupero dell’iva detratta, giudicando i rapporti sulla base del criterio, mai indicato dalla Cassazione, dell’assenza di danno erariale. Con ciò, si duole l’Amministrazione finanziaria, la pronuncia sarebbe incorsa in vizi processuali e di interpretazione delle norme sostanziali poste a presidio delle regole di detraibilità dell’Iva.

Il giudice regionale, come già accennato nell’esame dei motivi del ricorrente principale, ha riconosciuto che la modalità di fatturazione, riscontrata tra società consortile e società consorziate con riguardo al ribaltamento dei costi e dei ricavi, ha evidenziato la mancata osservanza della disciplina. Ha tuttavia ritenuto che la circostanza che il consorzio abbia perseguito un proprio utile «non comporta automaticamente che tutte le omissioni rilevate si traducano nel recupero fiscale determinato con i provvedimenti impugnati. Infatti, il vantaggio economico perseguito con un comportamento evasivo/elusivo non pone in discussione la corretta fatturazione delle imprese consociate e comporta un riallineamento del gravame con l’effettività delle irregolarità commesse. In particolare […. ] la mancata contabilizzazione dei costi sostenuti, come si rileva dal PVC della Guardia di Finanza, non ha comportato una evasione/elusione dell’IVA[…]». Ciò proprio in considerazione del mancato riscontro di un danno erariale (cfr. p. 10 e 14 della sentenza).

La ricorrente incidentale critica queste argomentazioni e le conclusioni cui perviene il giudice del rinvio, che sotto tale profilo annulla l’atto impositivo,  affermando  che  nella  rivalutazione  della  fattispecie  la commissione regionale non si sia attenuta al principio di diritto enunciato dal giudice di legittimità.

Ancora a tale decisione occorre pertanto indirizzare l’attenzione per verificare se le censure dell’Amministrazione finanziaria trovino riscontro.

Ebbene, cercando di sintetizzare il percorso interpretativo di tale pronuncia, in essa si è valorizzata la funzione mutualistica, evincibile dagli artt. 2602, primo comma, e 2614 cod. civ. Tale funzione non si esaurirebbe nell’oggetto o scopo della società consortile, informando invece la stessa causa del negozio consortile, con la conseguenza che l’eventuale violazione della stessa, anche e soprattutto nella forma elusiva, attraverso l’applicazione della disciplina normativa del tipo societario prescelto, può perfezionare la fattispecie dell’abuso del diritto in ambito tributario (a tal fine si richiama l’art. 1344 cod. civ., quanto all’imperatività delle norme fiscali). Secondo la pronuncia la predetta causa negoziale esclude che l’ente consortile possa conseguire un vantaggio economico, che invece deve appartenere, così come gli svantaggi, solo alle imprese consorziate. Pertanto, ancorché costituito in forma societaria, il consorzio non deve trattenere utili né costi derivanti dalla attività svolta nell’interesse delle consorziate, dovendo invece sempre e comunque ritrasferire alle consociate l’intero importo del corrispettivo ricavato dai contratti stipulati con i terzi committenti, così come riaddebitare (o ribaltare) i costi generali -concernenti le spese di funzionamento della organizzazione- e specifici -relativi alle spese sostenute per la stipula ed esecuzione dei singoli contratti- ripartendoli tra le consociate in proporzione alla quota di partecipazione detenuta da ciascuna impresa. Su tali premesse la sentenza fonda le conclusioni, secondo cui la riscontrata difformità tra il maggiore importo fatturato dal Consorzio e gli importi fatturati dalle singole conosciate occulterebbe una indebita compensazione tra i ricavi del Consorzio (da ribaltarsi invece per l’intero) ed il rimborso delle spese da esso sostenute. Ad ulteriore chiarimento sostiene che tale evenienza non può essere neppure giustificata dalla provvigione richiesta dal Consorzio-mandatario senza rappresentanza alle consociate imprese-mandanti in quanto, a parte la gratuità del mandato esplicato in assenza di finalità lucrativa, la richiesta di provvigione deve in ogni caso trovare corrispondente riscontro probatorio nelle scritture contabili sia del Consorzio che delle consorziate e, dunque, deve essere evidenziato nella determinazione della base imponibile indicata nelle fatture emesse dalle consorziate.

Nell’ulteriore sviluppo consequenziale del ragionamento, la Corte affermava ancora che «a fini fiscali, la misura del ribaltamento, come naturale, deve considerare non solo le peculiarità del tipo societario adottato e, conseguentemente, le afferenti previsioni statutarie, ma anche tenuto conto della indefettibilità della “connotazione di inerenza” richiamata al n. (2) del punto A la sua legittimità fiscale alla luce del principio di “inerenza” alla consorziata della operazione ribaltata, dovendosi, peraltro, ritenere (giusta le osservazioni che precedono) sempre sussistente tale requisito in ipotesi di operazioni economiche eseguite o direttamente dal Consorzio o con l’ausilio di imprese terze, essendo queste ultime evidentemente (sempre per lo scopo mutualistico perseguito) inerenti a tutte le consorziate, anche in considerazione del corrispondente obbligo legale di ognuno di sopportare i costi gestionali del Consorzio».

A conclusione del ragionamento demandava dunque al giudice del rinvio l’esame dell’appello, da eseguire sulla base dei principi di diritto enucleati in marito all’obbligo del ribaltamento e con specifica attenzione al principio di inerenza, con riferimento a tutte le operazioni economiche conseguite.

Per completezza d’indagine, va chiarito che la decisione si poneva nel solco di un orientamento non univoco all’epoca, a cui si contrapponeva una diversa ricostruzione esegetica che, partendo dalla non antiteticità e non incompatibilità tra scopo mutualistico e scopo di lucro, valorizzava l’autonoma soggettività giuridica e fiscale del Consorzio rispetto alle singole imprese consorziate, il che non escludeva lo svolgimento da parte dell’ente consortile di un’attività intrinsecamente commerciale, da ciò deducendo che, al pari di tutti i soggetti che svolgono attività commerciale, il Consorzio potesse trarre da essa ricavi, parte dei quali diretti a coprire i costi di gestione, come tali non obbligatoriamente da ribaltare alle consorziate (cfr. Cass., 23 ottobre 2013, n. 24014). Tale contrasto, insorto proprio per una pluralità di contenziosi coinvolgenti la Mz. e le sue consorziate, è stato successivamente risolto con l’affermazione del principio secondo cui «La causa consortile non è ostativa allo svolgimento, da parte della società consortile, di una distinta attività commerciale con scopo di lucro. Costituisce questione di merito l’accertamento in ordine ai rapporti intercorsi tra la società consortile e la consorziata nell’assegnazione dei lavori o servizi ai singoli consorziati e nella esecuzione delle commesse. Nel caso di differenza tra quanto fatturato dalla società consortile al terzo committente e quanto alla prima fatturato dal consorziato, nel rispetto dei principi certezza, effettività, inerenza e competenza, costituisce onere del consorziato fornire la prova che tale differenza non sia costituita da ricavi, o che la stessa corrisponda a provvigioni o servizi resi dal consorzio al terzo» (Sez. U, 14 giugno 2016, n. 12190, che nel concreto ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate, sull’assunto dell’inammissibilità di alcuna differenza tra importo fatturato dal mandatario al terzo e dal mandante al mandatario, e quindi, nella specie, dalla singola impresa al consorzio e quello fatturato dal consorzio al terzo, salva la rilevanza fiscale della provvigione laddove pattuita e formalizzata, per assenza di prove sul punto, con censura della decisione favorevole invece al “consorziato” che non aveva proceduto ad alcun concreto accertamento sul punto).

Ma a parte la composizione del contrasto, è evidente che nel caso di specie onere del giudice del rinvio sarebbe stato quello di decidere sulla base del principio di diritto dispensato dalla Corte di legittimità. La commissione regionale invece, senza alcun approfondimento di indagine su riscontri elusivi sottostanti la differenza tra le fatture emesse nel rapporto tra società consortile e terzo committente, e quelle emesse nel rapporto tra ente consortile e consorziata, ha ritenuto di decidere sulla considerazione che, pur nel riconoscimento delle irregolarità commesse, le riprese ad imponibile non erano fondate mancando un danno erariale.

Si tratta di una decisione del tutto eccentrica rispetto ai compiti demandati dal giudice di legittimità, e peraltro del tutto errata. A tal fine è sufficiente rammentare che la detraibilità dell’iva presuppone l’emersione in fattura dei costi sostenuti, e soprattutto presuppone, come correttamente richiesto dal giudice di legittimità, la inerenza dei costi medesimi (ex multis, cfr. Cass. 5 gennaio 2022, n. 140; 17 marzo 2021, n. 7440; 14 maggio 2020, n. 8919; 26 settembre 2018, n. 22940; 17 luglio 2018, n. 18904; 21 settembre 2016, n. 18475). Nessuna indagine risulta esplicata dalla commissione regionale, pur in tal senso indirizzata dalla sentenza che ne demandava i compiti.

I motivi dell’Ufficio vanno pertanto accolti e la sentenza va cassata anche sotto i profili ora spiegati. Il giudizio va reinviato alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, perché, in ulteriore diversa composizione, provveda, oltre che a liquidare le spese processuali del giudizio di legittimità, al riesame dell’appello alla luce dei principi di diritto già dispensati.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, il quinto e il sesto; dichiara inammissibili il quarto, il settimo e l’ottavo; rigetta il terzo. Accoglie i motivi del ricorso incidentale. Cassa la sentenza nei limiti dei motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese di legittimità.