Corte di Cassazione sentenza n. 28925 depositata il 5 ottobre 2022
vizio di motivazione – atto di rettifica va basato sul valore venale – il canone determinativo del classamento e della conseguente attribuzione della rendita catastale per gli immobili di categoria D deve basarsi, a norma del d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, e del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 34, sulla stima diretta
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La M. s.r.l. ha impugnato l’avviso di accertamento notificatole relativamente all’unità immobiliare iscritta nel Catasto Fabbricati del Comune di Salerno (foglio 14, 110, 273; sub. 3, 2), con cui l’Agenzia del Territorio ha rettificato la rendita proposta con la procedura Docfa, all’esito di una fusione.
2. Il ricorso è stato rigettato in primo grado, con sentenza confermata in appello.
3. All’esito del ricorso per cassazione, la Suprema Corte, con ordinanza della Sez. 5, n. 12790 del 2018, ha cassato con rinvio la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania – Sezione distaccata di Salerno, accogliendo entrambi i motivi formulati, con cui la contribuente ha censurato la sentenza di merito per aver ritenuto legittimo il ricorso al criterio del costo di costruzione anziché a quello del valore venale, in violazione sia dell’art. 28 del d.P.R. n. 1142 del 1949 sia dell’onere della prova che grava sull’Amministrazione. Nella sentenza di legittimità si legge che “ai sensi dell’art. 28 d.P.R. citato, il valore si determina, quindi, secondo i prezzi correnti per la vendita di unità immobiliari analoghe”: “criterio non eledubile per l’assenza di ipotetiche vendite di beni similari, atteso che i giudici di appello avevano a disposizione lo stesso atto di compravendita dell’opificio del 15.05.1996 (atto di trasferimento trascritto nel ricorso), successivo dunque all’epoca censuraria 1988-1989”. Partendo da tale premessa, la Corte ha, pertanto, concluso che “la sentenza … si è discostata dai principi giuridici enunciati, perché non ha applicato il principio di diritto, costante nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale il canone determinativo del classamento e della conseguente attribuzione della rendita catastale per gli immobili di categoria D deve basarsi, a norma del d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, e del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 34, sulla stima diretta (Cass. 3103/2015; Cass. 2017/5600) e, solo nell’ipotesi in cui ciò non sia possibile, può farsi ricorso al criterio di stima di cui al secondo comma di cui all’art. 28 cit. e non … ha accertato – come, in applicazione di tale principio, avrebbe dovuto fare per affermare la correttezza della procedura seguita dall’Ufficio – se sussistevano i presupposti per non seguire il criterio prioritario della stima diretta degli immobili la cui rendita era stata modificata rispetto alla proposta della contribuente”.
4. L’Agenzia delle Entrate ha impugnato ex art. 391-bis e 395, comma 1, n. 4, cod.proc.civ. l’ordinanza della Suprema Corte (ricorso r.g. 33416/2018).
5. All’esito del giudizio di rinvio, la Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello della M. s.r.l. ed il ricorso originario, compensando le spese di lite. Nella sentenza si legge che, “seguendo la disposizione dell’art. 28 del Regolamento del 1°/12/1949, n. 1142, il valore venale dell’unità immobiliare si determina di regola tenendo presenti i prezzi correnti per la vendita di unità immobiliare analoghe …in applicazione di tale criterio, … deve rilevarsi che l’Ufficio non ha proceduto alla stima diretta, pur avendo a disposizione la documentazione per procedere a tale valutazione dell’unità immobiliare della M. s.r.l; invero, il valore sui cui ancorare la stima diretta…poteva essere tratto almeno dal prezzo dell’atto di acquisto (atto del 5/5/1996) già successivo di otto anni all’anno censuario di riferimento 1988/89, e dalla relazione di stima del tecnico incaricato …..invece, l’Ufficio ha fatto riferimento ai costi di costruzione correnti sul mercato e riferiti al biennio 1988/89, considerando peraltro valori….afferenti a categorie di immobili diverse da quello oggetto di rettifica….ed ha applicato una percentuale del saggio di fruttuosità che presuppone, per contro, una redditività dell’immobile riferibile al suo valore attuale di mercato”. All’esito di tale percorso motivazionale, il giudice di merito ha ritenuto che l’errore di valutazione si traduca sia nel difetto motivazionale dell’avviso di accertamento sia nella violazione dei criteri di riparto dell’onere probatorio.
6. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la nuova sentenza di appello, formulando due motivi.
7. La contribuente ha resistito con contro–ricorso.
8. Fissata l’udienza pubblica del 22 settembre 2022, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal d.l. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, conv. in l. n. 176 del 2020, e dal sopravvenuto d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, c. 1, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale, che ha depositato le conclusioni scritte, e dei difensori delle parti, che non hanno fatto richiesta di discussione orale. La contribuente ha depositato successive memorie in cui ha chiesto di verificare la procedibilità del ricorso e di riunire la presenta causa a quella r.g. 33416/2018 – istanza che il Collegio non ritiene di accogliere, vertendo i giudizi su due provvedimenti diversi e non essendo la riunione necessaria al fine di assicurare maggiore speditezza o coordinamento delle decisioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cod.proc.civ., la violazione degli artt. 10 r.d.l. n. 652 del 1939, 8, 27, 28, 29 e 30 del Regolamento per la formazione del Catasto Edilizio Urbano, approvato con d.P.R. n. 1142 del 1949, atteso che la decisione si è fondata sull’erroneo presupposto che l’Amministrazione non abbia eseguito la stima diretta del bene, mentre, al contrario, il metodo di valutazione, fondato sul costo di costruzione deprezzato, consiste proprio nella stima diretta del bene, mentre l’atto di acquisto non può essere preso come unico elemento di comparazione, giacchè il principio di ordinarietà, che informa le stime catastali, esclude la possibilità di far riferimento ad un unico atto, stipulato proprio dalla ricorrente.
2. Con il secondo motivo si è lamentata, ai sensi dell’art. 360 1 n. 4 cod.proc.civ., la omessa o, comunque, solo apparente motivazione e la violazione degli artt. 112, 132 cod.proc.civ., 111 Cost. e 24 Cost., non essendo state trascritte ed esaminate nella sentenza tutte le argomentazioni difensive dell’Ufficio, che aveva ben spiegato perché, in virtù del principio dell’ordinarietà, l’atto di acquisto non poteva essere adottato quale unico parametro di riferimento per la stima dell’immobile, ed essendo fondata la decisione su rationes decidendi tra di loro contraddittorie.
3. La Procura Generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per l’infondatezza del ricorso, essendosi limitata la sentenza impugnata ad applicare l’ordinanza di rinvio della Suprema Corte.
4. In via preliminare va affermata la procedibilità del ricorso, in quanto risulta depositata dalla ricorrente la sentenza impugnata e notificatale dalla controricorrente, con relata di notifica che consente di verificare il rispetto del termine breve di impugnazione.
5. Il ricorso è infondato.
6. Il secondo motivo, pregiudiziale rispetto al primo, in quanto ha ad oggetto la asserita carenza, apparenza e contraddittorietà della motivazione, non merita accoglimento, atteso che la sentenza illustra esaustivamente tutto lo svolgimento del processo e sviluppa compiutamente un percorso logico, individuando in modo chiaro la ratio decidendi. Né la carenza/apparenza di motivazione o la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. può essere ridotta alla mancata trascrizione ed alla mancata risposta ad una delle difese della parte. Difatti, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste solo quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico- giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Sez. L, n. 3819 del 14/02/2020, Rv. 656925 – 02).
7. Pure il primo motivo è infondato, atteso che, a prescindere dalla corretta utilizzazione della terminologia e della qualificazione di stima diretta o indiretta del procedimento adottato, come evidenziato anche dalla Procura Generale, il giudice del rinvio si è limitato ad attenersi all’ordinanza di annullamento della Suprema Corte, che ha affermato che il criterio prioritario di stima, di cui all’art. 28, comma 1, d.P.R. n. 1142 del 1949, consistente nel prezzo corrente per la vendita di unità immobiliari analoghe, non avrebbe potuto essere disapplicato nel caso di specie per l’assenza di ipotetiche vendite di beni similari, “atteso che i giudici di appello avevano a disposizione lo stesso atto di compravendita dell’opificio del 15.5.1996 (atto di trasferimento trascritto nel ricorso), successivo dunque all’epoca censuaria 1988-1989 ai cui valori l’agenzia aveva fatto riferimento per la rettifica della rendita, superiori al corrispettivo indicato nell’atto di cessione nonché la perizia di stima depositata dalla parte”.
La Commissione Tributaria Regionale ha applicato il principio di diritto indicato dalla Corte di Cassazione ed ha annullato l’avviso di accertamento rilevando che esso si basa non già sulla stima diretta del valore venale desunto dall’atto di compravendita 15 maggio 1996 ed eventualmente dalla stima tecnica di parte, bensì sui costi di costruzione, considerando valori unitari per la determinazione delle tariffe d’estimo di immobili di categorie diverse da quella D (v.sent.pag.3 dove si illustra chiaramente il criterio seguito nell’avviso di accertamento in questione) e ritenendo illegittimo tale criterio perché subvalente rispetto a quello del valore venale. Invero, laddove la Commissione Tributaria Regionale ha affermato (pag.5) che l’ufficio ‘non ha proceduto alla stima diretta’, pur avendo a disposizione la documentazione per procedere, ha voluto, in realtà, significare che esso non ha proceduto alla ‘stima diretta in base al criterio del valore venale’ così come desumibile dall’atto di compravendita e dalle altre risultanze in atti. Quand’anche si ritenga che la nozione di stima diretta sia stata usata impropriamente dalla Commissione Tributaria Regionale, resta il fatto decisivo che il criterio valutativo da essa ritenuto legittimo (in conformità a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione) è nella specie appunto dato dal valore venale e non dal costo di costruzione. In definitiva, dall’ordinanza di rinvio si evince chiaramente che l’unicità dell’atto di compravendita dell’immobile in esame non ne esclude la rilevanza quale criterio di stima, contrariamente all’interpretazione del principio di ordinarietà sostenuta e riproposta nelle sue difese dall’Amministrazione finanziaria, ma incompatibile con la pronuncia di annullamento n. 12790 del 2018. Il rigetto del motivo in esame deriva, pertanto, dalla vincolatività, sancita dall’art. 384 cod.proc.civ., del principio di diritto enunciato in sede rescindente sia per il giudice del rinvio sia per la Corte di cassazione nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata in sede di rinvio: vincolatività che opera in ordine alle situazioni omogenee rispetto a quella già affrontata e decisa, come appunto quella posta nel presente giudizio.
9.In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento in favore della contro-ricorrente delle spese di lite, che liquida nella complessiva misura di euro 7.800,00, oltre 15% per le spese generali, euro 200,00 per esborsi ed accessori come per legge; ne dispone la distrazione a favore del difensore antistatario.
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