Corte di Cassazione sentenza n. 29126 depositata il 6 ottobre 2022
emendabilità della dichiarazione fiscale – limiti
FATTI DI CAUSA
1. La A. s.r.l., in qualità di società incorporante la L. s.r.l., ricorre con un unico motivo nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza in epigrafe di accoglimento dell’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza della C.t.p. di Padova che aveva accolto il ricorso spiegato dalla contribuente avverso la cartella di pagamento, emessa ex art. 36-bis, d.P.R. 29 settembre1973, n. 600, in ragione del disconoscimento del credito di imposta concesso alla ricorrente ex art. 1, comma 280, legge 27 dicembre 2006, n. 296, stante la mancata indicazione del medesimo nel modello unico 2010.
2. La C.t.p. accoglieva il ricorso sul presupposto che l’errore fosse stato corretto mediante presentazione di dichiarazione integrativa.
3. La C.t.r., con la sentenza impugnata, accoglieva l’appello dell’Ufficio ritenendo che il credito di imposta dovesse essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio era stato concesso.
4. Con ordinanza del 9 settembre 2020,la sesta sezione di questa Corte, rimetteva la causa alla sezione quinta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione dell’ art. 2, comma 8-bis, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322.
In particolare, ritiene che il giudice di appello non avrebbe correttamente interpretato la disposizione di legge richiamata; assume in proposito che qualsiasi errore commesso dal contribuente nella redazione della dichiarazione tributaria può essere fatto valere nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo, anche ove la dichiarazione non risulti più emendabile.
2. Il motivo non è fondato.
2.1 L’articolo 1, comma 280, legge 296 del 2006, prevede che «A decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2006 e fino alla chiusura del periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2009, alle imprese è attribuito un credito d’imposta nella misura del 10% dei costi sostenuti per attività di ricerca industriale e di sviluppo pre competitivo, in conformità alla vigente disciplina comunitaria degli aiuti di Stato in materia, secondo le modalità dei commi da 281 a 285». Ai sensi del comma 282, poi, «il credito d’imposta deve essere indicato nella relativa dichiarazione dei redditi. Esso non concorre alla formazione del reddito né della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive, non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 96 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, ed è utilizzabile ai fini dei versamenti delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive dovute per il periodo d’imposta in cui le spese di cui al comma 280 sono state sostenute; l’eventuale eccedenza è utilizzabile in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, a decorrere dal mese successivo al termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta con riferimento al quale il credito è concesso».
2.3 La decadenza è, dunque, connaturata alla struttura dell’istituto, in quanto è coerente con la scelta di accordare il beneficio in relazione all’esercizio fiscale nel corso del quale si siano sostenuti costi per ricerca e La mancata indicazione del credito, nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta nel corso del quale è concesso, ne impedisce il riconoscimento in diminuzione dell’imposta altrimenti dovuta.
Il credito in questione non deriva dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo, ma da un beneficio appositamente accordato a fronte di precise scelte politiche, finalizzate a incentivare la ricerca e lo sviluppo; la mancata indicazione del credito nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta nel corso del quale esso è concesso, dunque, non determina una decadenza formale. Una tale qualificazione, riferita alla decadenza, può riguardare le dichiarazioni di scienza; sicché non può essere riferita a quella in esame (nello stesso senso Cass. 30/11/2018, n. 31052; Cass. 22 gennaio 2013, n. 1427).
L’indicazione nel quadro Ru della dichiarazione annuale del credito di imposta in questione è, difatti, atto negoziale e non di scienza, in quanto è volta a mutare (con rettifica in aumento) la base imponibile, e contestualmente ad inserirvi il credito di imposta. Il contribuente al quale sia stato concesso il beneficio può decidere di usufruirne o no; ma, per farlo, deve esprimere la propria volontà all’interno della dichiarazione dei redditi mediante la compilazione del quadro appositamente predisposto dall’Amministrazione.
2.3 Le manifestazioni di volontà aventi valore negoziale sono irretrattabili anche in caso di errore, salvo che il contribuente non ne dimostri, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui agli art. 1427 e ss. cod. civ., l’essenzialità ed obiettiva riconoscibilità da parte dell’amministrazione finanziaria.
Questa Corte, con consolidato orientamento, ha affermato che, sebbene le denunce dei redditi costituiscano di norma delle dichiarazioni di scienza, e possano quindi essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno, quando il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall’erario, la dichiarazione assume per questa parte il valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile, anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’amministrazione (tra le più recenti, Cass. 16/07/2020, n. 15241; Cass. 29/11/2019, n. 31237; Cass. 22/10/2019, n. 26992; Cass. 21/02/2019, n. 5105; Cass. 12/10/2018, n. 25596; Cass. 21/01/2018, n. 610).
2.4 La tesi qui sostenuta, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, non si pone in contrasto con l’arresto delle Sezioni Unite secondo cui «in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’art. 43 del P.R. n. 600 del 1973 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8-bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (Cass., Sez. U, 30/06/2016, n. 13378). Le stesse Sezioni Unite, infatti, con la pronuncia indicata, hanno ribadito che «il principio della generale e illimitata emendabilità della dichiarazione fiscale incontra il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze».
2.5 A diversa conclusione non può condurre l’introduzione del l. 30 dicembre 2016, n. 244 convertito con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, che ha modificato l’art. 2, commi 8 e 8-bis, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322. Tale nuova normativa, in particolare, ha unificato il termine per le dichiarazioni integrative, – sia quelle a favore, sia quelle a sfavore del contribuente – e previsto l’applicazione del termine generale di accertamento di cui all’art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ovvero nel quarto anno successivo alla dichiarazione. In quanto innovativa, perché introdotta a seguito della richiamata pronuncia delle Sezioni Unite, essa opera solo per il futuro (Cass. n. 31052 del 2018).
3. Il ricorso va, dunque, complessivamente rigettato.
4. Non deve procedersi alla liquidazione delle spese in assenza di costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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