Corte di Cassazione sentenza n. 29344 depositata il 7 ottobre 2022 

costo una tantum per la costituzione di un diritto di superficie a tempo determinato

FATTI DI CAUSA

1.1 L’Agenzia delle Entrate notificò alla I. s.p.a. (di seguito “I.”) – aderente, quale consolidata, al consolidato fiscale nazionale facente capo alla consolidante R.F. s.p.a. (da ora in avanti “R.F.”)- ed alla R.F. l’avviso di accertamento di primo livello n.TMB084C00286/2010, relativo all’anno d’imposta 2005, con il quale veniva rettificato il reddito complessivo netto (trasferito al consolidato) della contribuente e recuperata una maggiore Ires teorica, a seguito di una serie di rilievi, derivati da precedenti processi verbali di constatazione.

In particolare, per quanto qui ancora d’interesse, l’Ufficio aveva formulato due rilievi.

1.1 Con un rilievo l’Amministrazione aveva accertato l’ indeducibilità di una sopravvenienza passiva e del conseguente ammortamento, avendo ritenuto illegittima l’iscrizione, operata dalla consolidata I., del corrispettivo pagato per l’acquisto del diritto di superficie (della durata convenuta di sessanta  anni)  sulle aree demaniali di Genova Cornigliano alla voce “immobilizzazioni materiali- terreni e fabbricati” (B.II.1).

L’Agenzia delle entrate aveva infatti ritenuto che il costo sostenuto per l’acquisto del diritto avrebbe dovuto essere iscritto in una nuova ed autonoma voce dello stato patrimoniale, ovvero tra le “immobilizzazioni immateriali” (B.I.7), con la conseguenza che il relativo importo avrebbe potuto essere ammortizzato autonomamente e sarebbe stato pertanto deducibile, ai sensi dell’art. 103, secondo comma, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in base ad un nuovo piano di ammortamento, secondo la durata (sessanta anni) della concessione del diritto reale parziario. Avrebbe pertanto errato la contribuente nell’iscrivere il costo in questione tra le “immobilizzazioni materiali” e nel cumularlo alla voce, già iscritta in bilancio, dei costi dei fabbricati in precedenza realizzati sulle medesime aree, partecipando al relativo processo di ammortamento, già avviato e di minore durata. Così operando, la contribuente si sarebbe infatti avvalsa, illegittimamente secondo l’Agenzia, della possibilità di ammortizzare, e conseguentemente dedurre, il corrispettivo pagato per l’acquisto del diritto di superficie in un numero di quote inferiore rispetto a quanto previsto, per le immobilizzazioni immateriali, dall’art. 103, secondo comma, d.P.R. n. 917 del 1986, a mente del quale « le quote di ammortamento del costo dei diritti di concessione e degli altri diritti iscritti nell’attivo del bilancio sono deducibili in misura corrispondente alla durata di utilizzazione prevista dal contratto«. Nella tesi prospettata dall’Ufficio il bene era dunque ammortizzabile in sessanta quote, una per ogni anno di utilizzazione del diritto di superficie previsto dal contratto, e non in base alle residue quote del piano di ammortamento, già in corso prima dell’acquisto del diritto di superficie, dei costi dei fabbricati, già realizzati sulle aree oggetto della successiva acquisizione del diritto superficiario. Lo stesso trattamento contabile e fiscale, secondo l’Ufficio, avrebbero dovuto avere le spese per le prestazioni professionali (legali e notarili) accessorie all’acquisto del diritto di superficie e da considerare pertanto, a loro volta, immobilizzazioni immateriali, ammortizzabili in relazione alla durata del diritto acquisito.

L’Amministrazione ha quindi disconosciuto la deducibilità della sopravvenienza passiva in questione e del relativo ammortamento, nella durata contabilizzata dalla contribuente.

1.2 Con altro rilievo, l’Ufficio aveva contestato la legittimità di alcune rettifiche di consolidamento. Infatti I., facente parte del gruppo “R.”, aveva esercitato l’opzione per la tassazione di gruppo, ai sensi dell’art. 117 d.P.R. n. 917 del 1986 n. 917, insieme a diverse altre società, tra cui R.F., quest’ultima in qualità di consolidante. Oggetto della contestazione operata dall’Ufficio era la rettifica di consolidamento avente ad oggetto i dividendi distribuiti ad I. dalle controllate I. S.M. s.p.a. e S. s.r.l.

I relativi importi avevano concorso a formare il reddito imponibile della contribuente solo nella misura del cinque per cento, ai sensi dell’art. 89, secondo comma, d.P.R. n. 917 del 1986. Tuttavia il reddito complessivo imponibile della consolidata I., comprendente anche la quota imponibile dei predetti dividendi, non era stato trasferito al consolidato nazionale, in quanto integralmente compensato da perdite pregresse della consolidata, antecedenti all’esercizio dell’opzione per la tassazione di gruppo. Successivamente R.F., nel determinare il reddito complessivo globale aveva indicato, alla voce “Rettifiche di consolidamento”, come variazione in diminuzione, la quota imponibile dei dividendi ricevuti da I., sulla scorta dell’art. 122, primo comma, lett. a), d.P.R. n. 917 del 1986, il quale permetteva, nella formulazione ratione temporis applicabile, alla consolidante di rettificare in negativo il reddito imponibile nella misura pari alla «quota imponibile dei dividendi distribuiti dalle società controllate di cui all’articolo 117, comma 1».

Secondo l’Ufficio, I. non avrebbe potuto compensare le perdite pregresse con la quota imponibile dei dividendi, in quanto, essendosi R.F. avvalsa del meccanismo di rettifica descritto nell’art. 122 primo comma,  lett. a), d.P.R. n. 917 del 1986, ne sarebbe altrimenti derivato l’indebita duplicazione degli effetti fiscalmente rilevanti dei dividendi ricevuti, i quali, in un primo momento, hanno concorso a determinare le perdite individuali della consolidata,  salvo  poi  essere  utilizzati,  grazie  alle  rettifiche  di consolidamento, nel consolidato nazionale anche per diminuire il reddito complessivo globale. Tale operazione, secondo i verificatori, avrebbe avuto l’effetto di trasferire, indirettamente, le perdite individuali di I., antecedenti all’esercizio dell’opzione di cui all’art. 117 d.P.R. n. 917 del 1986, al consolidato. Esito che si pone in aperto contrasto con quanto affermato dall’art. 118, secondo comma, d.P.R. n. 917 del 1986, secondo il quale « le perdite fiscali relative agli esercizi anteriori all’inizio della tassazione di gruppo di cui alla presente sezione possono essere utilizzate solo dalle società cui si riferiscono».

L’Ufficio ha quindi rettificato il reddito individuale di I. da trasferire al consolidato.

2. I risultati dell’accertamento di primo livello sono poi confluiti nell’avviso di accertamento di secondo livello n. TMB094C00526/2010, emesso nei confronti della consolidante R.F. ed oggetto del presente giudizio.

I. s.p.a. e R.F. hanno presentato, avverso quest’ultimo atto impositivo, distinti ricorsi, che la Commissione tributaria provinciale di Milano, previa riunione, ha parzialmente accolto.

Proposto appello dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza di cui all’epigrafe, lo ha accolto limitatamente al rilievo relativo alla contabilizzazione e deduzione del costo relativo al diritto di superficie, rigettandolo per i profili concernenti le rettifiche di consolidamento.

Per la cassazione della sentenza d’appello hanno proposto autonomi ricorsi, ciascuno affidato ad un unico motivo, l’Agenzia delle entrate, I. s.p.a. in amministrazione straordinaria e P.I. s.p.a. (già R.F. s.p.a.) in amministrazione straordinaria (d’ora in poi “P.I.”).

I. ha prodotto controricorso.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che si accolga il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e si rigetti il ricorso dell’I.. P.I. ha prodotto memoria; I. ha depositato sia memoria che brevi repliche alle conclusioni scritte del Procuratore Generale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va considerato che il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il Tuttavia, quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale (Cass. 12/10/2021, n. 27680; Cass. 02/08/2002, n. 11602). Pertanto, nel caso di specie, il ricorso dell’Ufficio deve ritenersi principale, mentre quelli di I. e di P.I. vanno considerati incidentali.

2. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia denuncia, ai sensi dell’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione o la falsa applicazione degli artt. 118, secondo comma, e 122, primo comma, lett. a), d.P.R. n. 917 del

Secondo l’Ufficio, benché il consolidato nazionale permetta di accedere a particolari benefici, tra i quali quello recato dall’art. 122, primo comma, lett. a), d.P.R. n. 917 del 1986, non si può tuttavia prescindere, in materia di perdite pregresse della consolidata, dalla posizione individuale di quest’ultima. Nel caso di specie ricomprendere la quota di dividendi imponibile all’interno del reddito della consolidata, poi compensato con perdite pregresse, per poi farla confluire nelle rettifiche di consolidamento, avrebbe avuto l’effetto sostanziale di traghettare, per la porzione corrispondente alla predetta quota, all’interno del consolidato le perdite della consolidata pregresse all’esercizio dell’opzione. Operando in tal modo infatti I. avrebbe ottenuto, a fronte della medesima attribuzione patrimoniale corrispondente alla quota di dividendi imponibile, un primo vantaggio nel momento in cui ha usato il relativo importo per compensare proprie perdite pregresse all’esercizio dell’opzione, ed un secondo ulteriore vantaggio nel momento in cui ha usato anche le rettifiche di consolidamento per diminuire il reddito del consolidato.

Il motivo è fondato. Infatti, come questa Corte ha recentemente avuto modo di chiarire, « In tema di disciplina fiscale del consolidato nazionale, le perdite pregresse possono essere utilizzate dalla società consolidata esclusivamente per una volta, per la compensazione con il reddito imponibile, ma non in relazione alla quota dei dividendi percepiti dalla società consolidata del gruppo, in quanto in tal caso la consolidante è portata ad effettuare una rettifica di consolidamento, escludendo il 100 per cento dei dividendi dalla tassazione, in luogo della percentuale del 95 per cento, così da impedire la corretta tassazione del residuo 5 per cento ed ottenere un doppio vantaggio che non è consentito alla società consolidata, né al consolidato stesso, in forza di un più generale principio antielusivo che caratterizza la disciplina del consolidato fiscale.» (Cass. 14/03/2022, n. 8251).

Come rilevato dall’Ufficio, dunque, le perdite maturate anteriormente alla tassazione di gruppo sono utilizzabili individualmente ed esclusivamente in compensazione da parte di ogni soggetto aderente al consolidato, sia in qualità di consolidante sia di consolidata, ma non possono confluire all’interno del bilancio consolidato. Ne consegue che il reddito imponibile trasferito al regime del consolidato fiscale, che va sommato algebricamente con i redditi e le perdite maturati dalle altre società aderenti, deve essere computato al netto delle perdite fiscali rimaste nella disponibilità della società che le ha maturate. Come questa Corte ha già precisato ( cfr. Cass. 20/02/ 2020, n. 4415, in motivazione) le uniche perdite utilizzabili nel consolidato sono quindi quelle maturate dalle società partecipanti in costanza di regime, mentre quelle anteriori all’esercizio dell’opzione sono sottratte al regime di circolazione delle perdite proprie del consolidamento. Le consolidate devono, dunque, dapprima compensare le perdite anteriori all’ingresso nel consolidato con il proprio reddito, per poi trasferire il “saldo”, se positivo, alla consolidante. Se le perdite sono superiori agli imponibili positivi, sarà trasferito alla consolidante un “reddito nullo”, mentre l’eccedenza di perdite verrà riportata nell’esercizio successivo per il recupero. Quindi se l’imponibile “individuale” di periodo si riduce per effetto di rettifiche che risultano formalmente apportate al risultato della somma algebrica dei redditi complessivi dei vari soggetti partecipanti al regime, anche l’ammontare delle perdite  pregresse  della  consolidata,  potenzialmente  computabili  in compensazione del relativo reddito, deve considerarsi, per principio generale, automaticamente ridotto fino alla misura di tale minore imponibile.

Pertanto, in ossequio al principio generale, secondo cui l’applicazione delle rettifiche di consolidamento non può modificare la posizione fiscale delle singole partecipanti al consolidato, I. S.p.a. non poteva compensare la quota di dividendi imponibile con le perdite antecedenti alla opzione per il consolidato. Solo così infatti si «evita una duplicazione dell’utilizzo delle medesime perdite pregresse: una prima volta, su base “individuale “ad opera della singola società consolidata, all’atto della determinazione del risultato individuale di periodo; una seconda volta, su base “aggregata “ad opera del soggetto consolidante, sotto forma di rettifiche di consolidamento ex art. 122 del d.P.R. n. 917 1986”» (Cass. 14/03/2022, n.8251, cit.). Diversamente argomentando la componente reddituale positiva, pari al 5% dei dividendi infragruppo, già compensato indirettamente in via autonoma da Iva s.p.a., per effetto dell’utilizzo in compensazione delle perdite pregresse all’atto della determinazione del proprio imponibile di periodo, andrebbe a concorrere ulteriormente alla formazione del reddito imponibile di gruppo, sotto forma di variazione in diminuzione effettuata dalla consolidante.

La CTR non ha fatto buon governo di tali principi, per cui va accolto il motivo e la sentenza impugnata va cassata in parte qua, con rinvio al giudice d’appello, per i necessari accertamenti e l’applicazione dei principi appena esposti.

3. Ciascuna con un proprio unico motivo di ricorso incidentale, di contenuto sostanzialmente sovrapponibile a quello dell’altra e pertanto da trattare congiuntamente, le amministrazioni straordinarie di I. e di P.I. lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 101, quarto comma, 102 e 103 d.P.R. n. 917 del 1986, nonché degli artt. 952, secondo comma, 2424 e 2426 cod. civ., per avere la CTR erroneamente interpretato le norme in materia di rilevazione contabile del corrispettivo pagato dalla consolidata I. per l’acquisto del diritto di superficie e , di conseguenza, le disposizioni relative all’ ammortamento deducibile.

Assumono le contribuenti che la CTR non avrebbe dato adeguata rilevanza alle vicende che hanno nel corso degli anni interessato le aree in cui sorge lo stabilimento di Genova Cornigliano, le quali, inizialmente utilizzate in forza di una concessione amministrativa, con possibilità di edificare sopra di esse edifici strumentali all’attività siderurgica svolta da I., erano state, a seguito di un processo di sdemanializzazione, conferite alla Società per Cornogliano s.p.a., che, pur essendo formalmente un ente di diritto privato, era partecipata dalla Regione Liguria, dalla Provincia di Genova, dal Comune di Genova e da altri enti pubblici. I. si era quindi vista costretta, per continuare ad utilizzare lo stabilimento di Cornigliano, a stipulare un contratto, facente parte di un più ampio accordo di programma di utilizzo dell’area, avente ad oggetto la costituzione di un diritto di superficie, che era, a detta delle contribuenti, in tutto e per tutto equivalente alla precedente concessione e intrinsecamente funzionale allo sfruttamento dei suddetti fabbricati. Aveva quindi errato, secondo le contribuenti, il giudice d’appello, nel considerare la spesa sostenuta per acquisire il diritto di superficie come un costo autonomo da indicare tra le immobilizzazioni immateriali, le quali, secondo l’art. 102 d.P.R. n. 917 del 1986, comprendono le quote di ammortamento del costo dei diritti di concessione e degli altri diritti iscritti nell’attivo del bilancio. Nella tesi prospettata dalle contribuenti, la CTR avrebbe invece dovuto invece considerare il costo del diritto di superficie come accessorio al costo di acquisto e costruzione dei fabbricati industriali, che, in quanto tale, ex art. 2426 cod.civ., segue il piano di ammortamento di questi ultimi e deve essere annotato tra le immobilizzazioni materiali.

L’ accessorietà ai fabbricati del corrispettivo del diritto di superficie emergerebbe altresì dalla circostanza che quest’ultimo non era stato trasferito con lo scopo di edificare nuove costruzioni, ma, come espressamente previsto dall’art. 952 , secondo comma, 2 cod. civ., di conservare costruzioni già edificate e quindi, in definitiva, di regolarizzare il regime di sfruttamento di queste ultime, altrimenti divenuto incerto a seguito della sdemanializzazione dell’area.

3.1 Il motivo è fondato, dovendo formularsi, per le ragioni che si esporranno, il seguente principio di diritto: « In materia di determinazione del reddito d’impresa ed in applicazione del principio di derivazione di cui all’art. 83 d.P.R. n. 917 del 1986, il costo una tantum per la costituzione di un diritto di superficie a tempo determinato che – ai sensi dell’art. 2426, comma, n.1, cod. civ. e dell’OIC n. 16 – possa ritenersi “accessorio” al costo del fabbricato, rientrando in sostanza tra gli oneri che l’impresa deve sostenere affinché l’immobilizzazione possa essere utilizzata, può essere iscritto nello stato patrimoniale tra le immobilizzazioni materiali, alla voce B.II. 1) “terreni e fabbricati” dell’art. 2424 c.c., e patrimonializzato unitamente al costo sostenuto per la realizzazione del fabbricato cui si riferisce, con ammortamento omogeneo a quest’ultimo ex art. 102 d.P.R. n. 917». Infatti l’articolo 952 cod. civ. individua sia la fattispecie della concessione, da parte del proprietario di un fondo, del diritto di erigere e mantenere una costruzione al di sopra di esso a favore del superficiario, che acquista la proprietà del manufatto, una volta completato; sia l’ipotesi del trasferimento della proprietà di un immobile separatamente dalla proprietà del suolo, che rimane in capo al concedente. Il contratto di superficie può interessare, dunque, oltre che il nudo suolo, anche una costruzione già edificata.

La costituzione del diritto di superficie, che produce l’effetto di sospendere l’efficacia del principio dell’accessione di cui all’articolo 934 cod. civ., può avvenire sia a tempo indeterminato che, come nel caso di specie, a tempo determinato. In quest’ultima ipotesi, alla scadenza del termine il diritto reale di godimento si estingue e riprende vigore il principio dell’accessione, con conseguente acquisto automatico della proprietà della costruzione (anche quella realizzata dal superficiario) a favore del proprietario del fondo.

Premesso pertanto che il diritto di superficie non incorpora il valore del terreno, deve rilevarsi che esso, acquistato a tempo determinato, costituisce per il superficiario un costo che deve concorrere al risultato di esercizio e, di conseguenza, risultare fiscalmente deducibile.

In questo senso ha infatti concluso la prassi dell’ Amministrazione finanziaria richiamata dalle stesse ricorrenti incidentali ( risoluzione n. 157/E del 5 luglio 2007; nello stesso senso cfr. risoluzione n. 192/E del 27 luglio 2007), apprezzando la relativa fattispecie anche in relazione all’art. 36 del d.l. 04 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 04/08/2006, n. 248, comunque non applicabile ratione temporis al periodo d’imposta qui sub iudice .

Ha infatti chiarito l’Agenzia che « la disposizione recata dall’articolo 36 del citato decreto legge n. 223 del 2006 è precipuamente finalizzata ad evitare la deducibilità del costo sostenuto dall’impresa per l’acquisto di un terreno di per sé non ammortizzabile, si ritiene che la norma in parola non trovi applicazione per l’eventuale diritto di superficie costituito a favore del superficiario. L’acquisto del diritto di superficie, invero, non è comprensivo del valore del terreno. […] Chiarito che il diritto di superficie non incorpora il valore del terreno […] Il diritto di superficie acquistato a tempo determinato costituisce un costo per il superficiario che, a differenza di quello sostenuto per l’acquisto del terreno, deve necessariamente concorrere al risultato di esercizio e, di conseguenza, risultare fiscalmente deducibile.» ( risoluzione n. 157/E del 5 luglio 2007, cit.).

Nei medesimi strumenti di prassi, l’Amministrazione finanziaria ha poi evidenziato che, sotto il profilo economico-fiscale, il costo del diritto di superficie potrebbe estrinsecarsi nelle seguenti ipotesi:

  • un canone annuale per tutta la durata del diritto di superficie;
  • una somma complessiva iniziale per la concessione del diritto di superficie;
  • un onere accessorio incluso nel costo della

Nel caso di specie è pacifico, quanto meno sotto il profilo contrattuale e civilistico, che ricorra la seconda ipotesi, risultando dalla stessa sentenza impugnata, senza contestazioni al riguardo, che era stato convenuto, e pagato da I., «l’unitario prezzo di 15 milioni», per una durata determinata del diritto superficiario. Si tratta, quindi, di un corrispettivo unitario (fattispecie quindi oggettivamente diversa da quella presa in considerazione dalla risposta dell’Agenzia ad interpello n. 435 del 2019, nella quale erano previsti altresì canoni periodici). Nell’ipotesi del corrispettivo una tantum la prassi invocata dalle stesse contribuenti ritiene che « Quando, diversamente, l’accordo con il proprietario del suolo prevede il pagamento di una somma complessiva per la concessione del diritto di superficie, il relativo costo iscritto tra le “Immobilizzazioni immateriali” alla voce B.I. 7) dell’attivo patrimoniale e civilisticamente ammortizzato secondo la durata del contratto, è fiscalmente deducibile ai sensi del comma 2 dell’articolo 103 del TUIR che, analogamente, dispone: “le quote di ammortamento del costo dei diritti di concessione e degli altri diritti iscritti nell’attivo di bilancio sono deducibili in misura corrispondente alla durata di utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge”.». Sarebbe quindi corretto, come ritenuto dalla CTR, il rilievo effettuato dall’Agenzia.

Tuttavia le ricorrenti incidentali evidenziano che la medesima circolare prevede, altresì, che « Viceversa, qualora risulti corretto – sul piano civilistico – allocare il diritto di superficie, quale onere accessorio, tra le “Immobilizzazioni materiali” nella voce B.II. 1) “Terreni e fabbricati” dello Stato patrimoniale, unitamente al costo sostenuto per la realizzazione del fabbricato cui si riferisce, il costo complessivo va dedotto, ai fini fiscali, a partire dall’esercizio di effettiva entrata in funzione del fabbricato, attraverso la procedura di ammortamento stabilita per i beni materiali dall’articolo 102 del TUIR.

In assenza, invece, dei presupposti per trattare quale onere accessorio e, quindi, per patrimonializzare il costo relativo allo ius aedificandi unitamente al fabbricato cui si riferisce, il predetto costo deve essere dedotto ai sensi dell’articolo 103, comma 2, del TUIR, vale a dire in base alla durata prevista dal contratto; il fabbricato ivi costruito andrà dedotto fiscalmente secondo la procedura di ammortamento stabilita per i beni materiali dall’articolo 102 del TUIR, a partire dall’esercizio della sua entrata in funzione.».

Nella sostanza, quindi, l’Amministrazione, con le citate risoluzioni del 2007, ha riconosciuto che, nel caso di acquisto del diritto di superficie a tempo determinato, il costo sostenuto è per intero deducibile dall’acquirente.

Il trattamento contabile utilizzato, nel caso in cui il corrispettivo del diritto di superficie sia pagato con soluzione una tantum, influisce, dunque, soltanto sul metodo di deduzione o, meglio ancora, sulla tempistica dell’ammortamento.

Infatti, sotto l’aspetto contabile, sono ipotizzabili due alternative:

  1. l’ iscrizione nello stato patrimoniale, alla voce II. 1) “terreni e fabbricati”, con costo capitalizzato in quello sostenuto per la realizzazione del fabbricato ed ammortamento omogeneo a quest’ultimo, a partire dall’esercizio di effettiva entrata in funzione del fabbricato, in ottemperanza a quanto previsto all’art.102 d.P.R. n. 917 del 1986. In questo caso il diritto di superficie è trattato quale onere accessorio del bene principale (l’immobile) e la sua capitalizzazione deriva dalla previsione legislativa di cui all’art.2426, primo comma, n.1, cod. civ.;
  2. l’ iscrizione nello stato patrimoniale, alla voce B.II.7) “immobilizzazioni immateriali”, con ammortamento per la durata della concessione del diritto di superficie. In questo caso il diritto di superficie è trattato quale onere di utilità pluriennale ed è prevista la possibilità di recuperare in futuro la spesa sostenuta. La deducibilità soggiace alle regole di cui all’art.103, comma 2, d.P.R. n. 917 del 1986, e quindi opera in misura corrispondente alla durata di utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge.

A differenza di quanto pare sostenere la CTR, non è quindi escluso, in radice, che il costo, unitario, del diritto di superficie, costituito a tempo determinato, possa essere inserito tra le “Immobilizzazioni materiali”, nella voce B.II. 1) “Terreni e fabbricati”, ove tale allocazione risulti corretta, sul piano civilistico, potendo considerarsi quale onere accessorio al costo di costruzione del fabbricato cui si riferisce, ciò che consentirebbe di patrimonializzare, unitamente a quest’ultimo, anche il costo relativo allo ius aedificandi .

Come affermano le stesse ricorrenti ( pag. 28 del ricorso di I. e 17 di quello di P.I.), la rilevanza fiscale del dato contabile presuppone quindi che i principi contabili di riferimento siano stati correttamente applicati (in questo senso cfr. la risposta dell’Agenzia delle entrate ad interpello n. 435/2019, che richiama altresì la circolare n. 7/E del 28 febbraio 2011, paragrafo 3.1).

Tanto premesso, l’inclusione del costo dello ius aedificandi tra le immobilizzazioni materiali di cui alla voce B.II.1 “terreni e fabbricati” dell’art. 2424 cod. civ. ( piuttosto che tra le immobilizzazioni immateriali “altre” di cui alla voce B.I.7) è allora ipotizzabile ove il medesimo corrispettivo possa ritenersi , ai sensi dell’art. 2426, primo comma, n.1, cod. civ., “costo accessorio”, computabile nel “costo di acquisto” dell’immobilizzazione.

Il principio contabile O.I.C. n. 16, in materia di immobilizzazioni materiali, nel paragrafo D.II.a) “Acquisto”, a proposito dell’ art. 2426 , primo comma, n. 1, cod. civ., invocato dalle contribuenti nella parte in cui dispone che «nel costo di acquisto si computano anche i costi accessori.», prevede che « 1. Il valore originario è comprensivo del costo di acquisto, degli oneri accessori d’acquisto e di tutti quegli eventuali altri oneri che l’impresa deve sostenere affinché l’immobilizzazione possa essere utilizzata.

2. Il costo di acquisto è rappresentato dal prezzo effettivo d’acquisto, di solito rilevato dal contratto o dalla fattura. […]

3. Gli oneri accessori d’acquisto comprendono tutti quegli eventuali altri oneri che l’impresa deve sostenere perché l’immobilizzazione    possa essere utilizzata, esclusi gli oneri finanziari (per i quali vedasi D.V .). […] ». Ebbene, in una prospettiva economica sostanziale, che tenda a privilegiare, nella rappresentazione del dato contabile, l’effettiva funzione delle relative poste, deve ritenersi plausibile la scelta della contribuente di considerare e contabilizzare il costo del diritto di superficie a tempo determinato come “accessorio” a quello dei fabbricati già realizzati sulle aree in precedenza demaniali ed oggetto di concessione, ma successivamente sdemanializzate, con conseguente costituzione dello ius aedificandi a favore dell’I..

Infatti, attraverso la sostituzione ( necessitata dagli interventi normativi descritti nel ricorso dell’I. e realizzata attraverso l’accordo modificativo dell’accordo di programma richiamato nello stesso atto) del precedente titolo concessorio sulle aree demaniali con il diritto reale superficiario sulle medesime aree sdemanializzate, la contribuente superficiaria ha evitato, in diritto ed in fatto, soluzioni di continuità nell’ utilizzo dei beni strumentali costituiti dai fabbricati già realizzati sui predetti fondi.

Pertanto, a mente del richiamato O.I.C. 16, nel caso di specie il costo del diritto di superficie può ritenersi accessorio a quello dei fabbricati, rientrando in sostanza tra « tutti quegli eventuali altri oneri che l’impresa deve sostenere affinché l’immobilizzazione possa essere utilizzata» (che il principio contabile non individua diversamente, se non a titolo meramente esemplificativo), giacché, in difetto, la contribuente non avrebbe mantenuto il titolo per poter continuare ad usare i fabbricati ai fini della produzione.

Peraltro tale soluzione, che recepisce la rilevanza, ai fini fiscali, dell’ allocazione (non dissonante, come si è visto, dalle opzioni consentite dai principi contabili interessati) della relativa posta operata dall’imprenditore contribuente, appare anche in linea con il principio di derivazione di cui all’art. 83 d.P.R. n. 917 del 1986, vigente ratione temporis, secondo cui « Il reddito complessivo è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, aumentato o diminuito dei componenti che per effetto dei principi contabili internazionali sono imputati direttamente a patrimonio le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni della presente sezione.».

Deve pertanto ritenersi che , come sostenuto dalle contribuenti ricorrenti incidentali, il costo del diritto di superficie poteva, nel caso di specie, essere legittimamente incluso tra le immobilizzazioni materiali ed assoggettato ad ammortamento omogeneo a quello di realizzazione del fabbricato, in ottemperanza a quanto previsto all’art. 102 d.P.R. n. 917 del 1986.

Vanno quindi accolti i ricorsi delle contribuenti e va cassata in parte qua la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR per gli accertamenti in fatto necessari ai fini dell’applicazione del principio di diritto già espresso.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale erariale ed i ricorsi incidentali delle contribuenti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai ricorsi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spesse del giudizio di legittimità.