Corte di Cassazione sentenza n. 29990 depositata il 12 ottobre 2022
IVA – contraddittorio endoprocedimentale – le ragioni che il contribuente lamenta di non aver fatto valere in occasione di un contraddittorio endoprocedimentale non debbono consistere in allegazioni documentali pari a quelle demandate all’organo giudiziario ma solo che la serietà e pertinenza delle allegazioni del contribuente, qualora vagliate dall’Amministrazione finanziaria all’esito della verifica e prima della notificazione dell’atto impositivo, avrebbero potuto incidere sul se e sul contenuto di questo se celebrato il contraddittorio. Ciò che infatti rileva è la prova che la celebrazione del contraddittorio “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” – operazioni oggettivamente inesistenti
FATTI DI CAUSA
All’esito di un controllo sulla documentazione richiesta a mezzo di questionario alla V.P. s.r.l. (ora S.P. s.r.l.) e delle precisazioni sui rapporti tenuti dalla società con altri operatori commerciali, l’Agenzia delle entrate notificò gli avvisi d’accertamento con cui rettificò il reddito d’impresa dichiarato dalla contribuente per gli anni d’imposta 2010 e 2011, accertando maggiori tributi ai fini Iva, Irap e Ires. Nello specifico fu contestata la contabilizzazione di operazioni oggettiva mente inesistenti.
La società impugnò gli atti impositivi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pavia, che con sentenza n. 163/02/2017 accolse in parte le ragioni rappresentate. Entrambe le parti, ciascuna per quanto soccombente, impugnarono la decisione dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, la quale con sentenza n. 2181/12/2019 accolse le ragioni della contribuente, annullando integralmente gli atti impositivi. A fronte della eccepita violazione del contraddittorio preventivo il giudice regionale ha ritenuto che per le imposte armonizzate dovesse trovare applicazione il principio secondo cui il suo mancato rispetto comporta l’invalidità dell’atto, a condizione che il contribuente abbia assolto l’onere di enunciare le ragioni che avrebbe potuto far valere ove attivato il contraddittorio. Nel caso di specie ha valutato assolto tale obbligo, dimostrando il regolare pagamento delle prestazioni ritenute inesistenti.
L’Amministrazione finanziaria ha censur-ato la sentenza con due motivi, chiedendone la cassazione. La società, cui risulta ritualmente notificato il ricorso, è rimasta intimata.
Con ordinanza interlocutoria n. 10434 del 31 marzo 2022 la sezione sesta civile – Tributaria ha disposto la rimessione del giudizio alla Quinta Sezione civile con particolare riguardo alla correlazione tra valutazione della fondatezza della pretesa erariale e oggetto e criteri della cd. prova di resistenza per l’ipotesi di violazione del contraddittorio.
All’esito della udienza pubblica del 9 giugno 2022, celebrata ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni in I. 18 dicembre 2020, n. 176, la causa è stata riservata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della I. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto all’erronea interpretazione della disciplina che presidia le garanzie del contraddittorio endoprocedimentale;
con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., nonché degli artt. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 19, 21 e 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto al governo delle prove.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente perché connessi, afferendo alla medesima questione, la denunciata violazione del contraddittorio endo-procedimentale e l’idoneità delle allegazioni documentali della società a superare la cd. prova di resistenza.
La decisione impugnata, integralmente favorevole alla contribuente tanto in merito alle imposte non armonizzate quanto in riferimento all’Iva, ha risolto la controversia riconoscendo il mancato rispetto del contraddittorio. A tal fine ha rilevato che «in tema di tri.buti armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, visto l’orientamento giurisprudenziale [.…] la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell mministrazione, comporta in ogni caso la invalidità dell’atto, purché in giudizio il contribuente assolva l’onere di enunciare le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato regolarmente attivato. Nel caso de quo, il contribuente, con produzione documentale ha potuto provare al Giudice l’effettivo pagamento delle prestazioni effettuate dal DGR Giaquinto, tanto è vero che su questa circostanza il Giudice ha accolto le ragioni del contribuente. Il Giudice aggiunge che:”Certo è che l’Ufficio avrebbe potuto meglio approfondire l’indagine nella fase accertativa”. Per questi motivi parte contribuente ha fornito prova che se fosse stata avviata la procedura del contraddittorio preventivo come di norma, avrebbe potuto provare le proprie ragioni e si sarebbe potuto evitare il giudizio. Inoltre il Giudice di prime cure non ha dato una adeguata motivazione del perché ha ritenuto valida solo una parte della documentazione, documentazione che, si presume, se fosse stata esaminata in contraddittorio preventivo, avrebbe potuto certamente evitare il giudizio. E non solo, ma il contraddittorio preventivo avrebbe rispettato il principio di correttezza, buona fede e lealtà processuale». Con questa motivazione la Commissione tributaria regionale ha annullato integralmente gli avvisi di accertamento impugnati.
Con i motivi di ricorso l’Ufficio evidenzia che la decisione è affetta da un triplice errore: a) il ritenere sussistente un obbligo cli contraddittorio endoprocedimentale; b) il ritenere operante l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale senza distinguere tra tributi armonizzati e non; c) a fronte della contestazione di operazioni oggettivamente inesistenti, il ritenere la documentazione allegata, comprovante i pagamenti delle fatture, idonea a superare la cd. prova di resistenza.
Perimetrato l’oggetto della controversia e riportata la sintetica motivazione della pronuncia ora al vaglio della Corte, va rammentato che secondo la giurisprudenza di legittimità solo per i tributi “armonizzati” -in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa. Per quelli “non armonizzati”, non è invece rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, che pertanto sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Sez. U, 9 dicembre 2015, n. 24823). Si tratta di un orientamento ormai consolidato, ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, e al quale anche questo collegio intende dare continuità.
Dal perimetro dell’obbligo del contraddittorio restano dunque fuori le imposte non armonizzate, quando non espressamente prescritto dalla specifica legislazione e, quanto all’iva e a quelle armonizzate, le fattispecie in cui il contribuente non superi la prova di resistenza, cioè l’ipotesi in cui le ragioni che il contribuente lamenta di non aver fatto valere in occasione di un contraddittorio endoprocedimentale -qualora attuato.. non avrebbero comunque determinato l’annullamento dell’atto adottato al termine del procedimento amministrativo, rivelandosi meramente dilatorie. Il che, può aggiungersi, non vuol significare che alle parti del procedimento amministrativo (Amministrazione e contribuente) debba richiedersi nella fase endoprocedimentale capacità di critica e valutazione delle complessive allegazioni documentali pari a quelle demandate all’organo giudiziario in sede processuale, ma che la serietà e pertinenza delle allegazioni del contribuente, qualora vagliate dall’Amministrazione finanziaria all’esito della verifica e prima della notificazione dell’atto impositivo, avrebbero potuto incidere sul se e sul contenuto di questo se celebrato il contraddittorio. Ciò che infatti rileva è la prova che la celebrazione del contraddittorio “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” (cfr. Corte di Giustizia UE, 3 luglio 2014, in causa C-129 e C-130/13, Kamino lnternational Logistics). Da ciò trova conferma che quanto alle imposte armonizzate il principio del contraddittorio non può escludersi per il sol fatto che l’accertamento sia stato fondato solo su indagini eseguite “a tavolino”, senza accessi o ispezioni nella sede del contribuente. Ma ciò, appunto, afferisce ai soli tributi armonizzati.
Tenendo conto dei principi enunciati dalla giurisprudenza, si palesa allora con immediatezza l’erroneità della sentenza della commissione lombarda, nella parte in cui ha annullato gli avvisi d’accertamento con riguardo all’Ires e all’Irap, tributi per i quali non sussiste comunque un obbligo di contraddittorio, e rispetto ai quali la sentenza è logicamente incomprensibile perché essa stessa richiama e si fonda sulla interpretazione giurisprudenziale che distingue chiaramente le conseguenze dell’omesso contraddittorio endoprocedimentale tra imposte armonizzate e non.
Né il testo della pronuncia può far intendere che il giudice d’appello abbia svolto un esame dettagliato delle prove allegate dalla società, così escludendo nel merito le operazioni oggettivamente inesistenti. Dalla lettura della sentenza si evince che la commissione regionale si è limitata a rilevare semplicemente la carenza del contraddittorio endoprocedirnentale, traendo come conseguenza la nullità degli avvisi di accertamento, emessi all’esito di un procedimento viziato dal mancato rispetto delle garanzie del contribuente. Ne è riprova il contenuto della pronuncia, laddove, nel criticare la sentenza di prime cure per la parte in cui aveva rigettato le ragioni della società e confermato gli atti impugnati, si limita a considerare che la motivazione non era adeguata, precisando che, laddove quella stessa documentazione fosse stata esaminata in sede di contraddittorio endoprocedimentale, “si presume” che avrebbe potuto evitare il giudizio. Gli esiti “presuntivamente” pronosticati dell’esame della documentazione escludono la formulazione di un giudizio pieno sul merito, diversamente ricadendo in una motivazione apparente e contraddittoria.
La sentenza è errata anche con riferimento all’Iva, perché, a fronte della incontestata circostanza che le prove fornite dalla contribuente sono consistite nell’allegazione di documentazione attestante l’effettivo pagamento delle prestazioni, ritenute invece inesistenti dall’Ufficio, e a fronte del dettagliato esame che di quella medesima documentazione risulta eseguito dall’Agenzia delle entrate -come emerge dagli ampi stralci della motivazione degli avvisi di accertamento, che in osservanza del principio di autosufficienza risultano riportati in ricorso-, non si comprende neppure in cosa sarebbe consistito l’omesso contraddittorio.
Se infatti il contraddittorio endoprocedimentale è obbligatorio per le imposte armonizzate, ciò tuttavia non implica l’insorgenza di un obbligo dell’Agenzia delle entrate di “audizione” del contribuente, cioè un obbligo di convocazione, soprattutto se mancano del tutto i presupposti da cui l’organo accertatore possa evincere l’intenzione del contribuente di contraddire sugli esiti della verifica. Il momento di attuazione del contraddittorio trova più facile identificazione nel realizzarsi della fattispecie prevista dall’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, ossia nel diritto del contribuente, entro sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, di comunicare osservazioni e richieste che sono valutate dall’ufficio impositore. Con quelle osservazioni, eventualmente, il contribuente può anche chiedere di essere sentito, ciò che peraltro non costituisce un obbligo per l’Amministrazione finanziaria, ma solo una sollecitazione che l’organo accertatore è libero di accogliere, non essendovi alcun principio da cui si evinca che il contraddittorio trovi attuazione esclusivamente con l’audizione, né dalla giurisprudenza euro unitaria è dato evincere un obbligo assoluto di audizione (ad es. cfr. Corte di Giustizia, 22.10.13, in causa C-276/12, Jirl Sabou). Ciò perché anche l’interlocuzione scritta assicura il rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente.
Nelle ipotesi di accertamento cd. a tavolino manca invece l’identificazione di uno specifico “momento”, quale frazione temporale, entro cui celebrare il contraddittorio, il che non significa che le considerazioni appena sviluppate non siano altrettanto pertinenti.
Nel caso di specie, come si evince dalla motivazione degli avvisi di accertamento, emerge che l’Ufficio aveva analiticamente esaminato, oltre che le fatture, anche gli strumenti di pagamento -bonifici e assegni- emessi dalla società, giungendo tuttavia alla conclusione che mancavano elementi per porre in relazione quei pagamenti alle fatture delle operazioni contestate. Il fatto che di quegli strumenti di pagamento l’Agenzia delle entrate abbia tenuto conto nella motivazione degli atti impositivi prova che tale documentazione fosse stata già acquisita perché inviata dal contribuente, che ha potuto così interloquire con l’Ufficio. Né d’altronde risulta che il contribuente abbia mai formalizzato una richiesta di audizione diretta con funzionari dell’Amministrazione finanziaria, ricevendone un rifiuto.
Ne discende che manca il presupposto stesso delle doqlianze formulate dalla contribuente.
D’altronde, per quanto ancora utile e comunque così integrando le ragioni sinora esposte, con particolare riferimento al secondo motivo di ricorso, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., 5 luglio 2018, n. 17619; 30 ottobre 2018, n. 27554; 18 ottobre 2021, n. 28628). Trattasi di una interpretazione ormai consolidata, cui questo collegio intende dare continuità, così che la cd. prova di resistenza può dirsi conseguita solo ove, rispetto alle ragioni poste dall’Amministrazione a fondamento delle contestazioni (e, per tener conto del caso di specie, la genericità delle descrizioni indicate nelle fatture, l’assenza di personale dipendente delle ditte destinatarie delle fatture, l’assenza di strutture e di sedi adeguate, l’assenza di versamenti d’imposta e di contributi previdenziali, l’estraneità dei codici attività delle società commissionarie delle prestazioni eseguite nei confronti della odierna ricorrente), il contribuente abbia offerto elementi atti a contestare adeguatamente le ragioni che supportano i rilievi dell’Ufficio.
Il giudice d’appello non si è attenuto ai principi di diritto enunciati da questa Corte, così violando la disciplina in tema di contraddittorio endoprocedimentale. Il ricorso va pertanto accolto.
La sentenza va dunque cassata e il giudizio va rinviato alla Commissione tributaria regionale della Lombardia che, in altra composizione, oltre che liquidare le spese processuali del giudizio di legittimità, dovrà rivalutare i motivi d’appello tenendo conto dei principi di diritto dispensati in sentenza.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Lombardia, a cui demanda, in diversa composizione, a delle spese di legittimità.