Corte di Cassazione sentenza n. 29991 depositata il 13 ottobre 2022
valutazione delle prove – è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento – Ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l”ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria – in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi
FATTI DI CAUSA
Alla società ricorrente fu notificato l’avviso d’accertamento con cui, relativamente all’anno d’imposta 2010, oltre alla rideterminazione dell’imponibile ai fini Ires ed Irap, fu contestata l’indebita detrazione di € 354.490,00 ai fini Iva. Per quanto qui di interesse le contestazioni relative alle detrazioni Iva erano riconducibili all’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
La società impugnò l’atto impositivo dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che con sentenza n. 6669/24/2017 rigettò il ricorso. La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettò l’appello della contribuente con sentenza n. 4088/05/2019. Il giudice regionale ha ribadito la validità dell’avviso d’accertamento, fondato sul richiamo dei punti più salienti e significativi dei processi verbali di constatazione elevati nei confronti delle ditte fornitrici della società ricorrente. Ha sostenuto che le modalità d’accertamento non avessero limitato il diritto di difesa della contribuente, ciò che trovava conferma nell’articolata difesa predisposta dalla società con il ricorso introduttivo. Tenendo conto delle regole di distribuzione dell’onere probatorio, e vagliando le prove addotte a conferma del compimento di operazioni soggettivamente inesistenti, ha ritenuto che la contribuente non avesse reso adeguata prova contraria del proprio coinvolgimento, senza che potesse assumere rilievo la regolarità formale della documentazione contabile.
La società ha censurato la decisione con due motivi, chiedendone l’annullamento, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Con ordinanza interlocutoria del 31 marzo 2022, n. 10435, la sezione sesta civile – Tributaria ha disposto la rimessione del giudizio alla Quinta Sezione civile con particolare riguardo alla circostanza che nel primo motivo si afferma che l’accertamento induttivo sarebbe fondato su processi verbali di constatazione relativi ad altri soggetti «mai entrati a far parte né dell’accertamento né del processo», questione da esaminare alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia C-189/2018, Glencore.
All’esito della udienza pubblica del 9 giugno 2022, celebrata ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni in I. 18 dicembre 2020, n. 176, la causa è stata riservata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2967 e 2929 e segg. cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto al malgoverno delle regole sul riparto dell’onere probatorio e sulle prove presuntive. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
Per quanto evincibile dalla sua confusa formulazione, il motivo indirizza prevalentemente le critiche all’avviso d’accertamento ed ai supposti vizi del procedimento amministrativo, denunciando che l’Amministrazione finanziaria non ha fornito la prova dei fatti addebitati 2illa contribuente. Quanto alla pronuncia, nei cui riguardi avrebbero dovuto concentrarsi le censure, si sostiene sinteticamente che il giudice abbia malgovernato la prova presuntiva. Ciò perché l’Ufficio aveva fondato le contestazioni richiamando per relationem i verbali d’accertamento, elevati però nei confronti di altri soggetti e non allegati, e valorizzando la circostanza che gli ordini delle forniture di merce erano stati fatti esclusivamente per via telefonica, circostanza che, secondo le prospettazioni difensive della ricorrente, doveva reputarsi del tutto irrilevante.
Sennonché in ordine al primo rilievo la decisione appare corretta, perché il giudice regionale, nel solco di una giurisprudenza consolidata, ha rilevato che dei processi verbali richiamati l’atto impositivo aveva riprodotto i passaggi più significativi ed essenziali, circostanza che soddisfaceva la prescrizione dell’art. 42, comma 2, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 56, comma 5, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Ne discende che sotto questo profilo il motivo è infondato.
Quanto alla supposta irrilevanza delle modalità con cui erano state ordinate le forniture, cioè solo telefonicamente, ciò attiene a giudizi sui fatti, riservati al giudice di merito, di cui la ricorrente non può sollecitare una nuova valutazione in sede di legittimità. Tanto più che nella sentenza la singolarità di ordini esclusivamente inoltrati telefonicamente si coniuga all’altrettanto singolare modalità di consegna della merce, ossia sempre ad opera diretta dei titolari delle due ditte fornitrici coinvolte nelle operazioni soggettivamente inesistenti.
D’altronde, quanto al governo delle regole su cui si fonda la prova presuntiva anche in riferimento alla distribuzione dell’onere della prova, deve rammentarsi che compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 cod. civ. alla fattispecie concreta, poiché se è devoluto al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (cfr. Cass., 26 gennaio 2007, n. 1715; 5 maggio 2017, n. 10973).
La giurisprudenza di legittimità ha tracciato il corretto procedimento logico del giudice di merito nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (ex plurimis cfr. Cass., 16 maggio 2017, n.. 12002; 2 marzo 2017, n. 5374; 12 arile 2018, n. 9059). Ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l”ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria.
La sentenza gravata ha fatto buon uso di tali principi, perché, sia pur concisamente, si è concentrata consapevolmente sugli elementi presuntivi fondanti l’accertamento impugnato, senza che possano ritenersi violate le regole di governo delle prove presuntive.
Le osservazioni appena svolte, con cui si riconosce la correttezza del ragionamento giuridico del giudice d’appello, senza che possa dirsi minimamente intaccato il diritto di difesa della contribuente tanto nella fase endoprocedimentale, quanto nel processo, escludono che la fattispecie per cui è causa debba confrontarsi con la giurisprudenza euro-unitaria e in particolare con la sentenza 16 ottobre 2019, C-189/2018, che ha ad oggetto la più complessa vicenda di un accertamento fiscale fondato su atti amministrativi ed indagini relative a soggetti terzi rispetto a colui nei cui confronti erano state rivolte le contestazioni.
Nella citata sentenza della CGUE si afferma in particolare il principio secondo cui «La direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, il principio del rispetto dei diritti della difesa e l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che essi non ostano, in linea di principio, a una normativa o a una prassi di uno Stato membro secondo la quale, in occasione di una verifica del diritto a detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) esercitato da un soggetto passivo, l’amministrazione finanziaria è vincolata dalle constatazioni di fatto e dalle qualificazioni giuridiche, da essa già effettuate nell’ambito di procedimenti amministrativi connessi avviati nei confronti dei fornitori di tale soggetto passivo, sulle quali si basano le decisioni divenute definitive che accertano l’esistenza di una frode relativa all’IVA commessa da tali fornitori, a condizione che, in primo luogo, essa non esoneri l’amministrazione finanziaria dal far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova, ivi compresi quelli risultanti da tali procedimenti amministrativi connessi, sui quali essa intende fondare la propria decisione, e che tale soggetto passivo non sia in tal modo privato del diritto di contestare utilmente, nel corso del procedimento di cui è oggetto, tali constatazioni di fatto e tali qualificazioni giuridiche; in secondo luogo, che detto soggetto passivo possa avere accesso durante tale procedimento a tutti gli elementi raccolti nel corso di detti procedimenti amministrativi connessi o di ogni altro procedimento sul quale l’amministrazione intende fondare la sua decisione o che possono essere utili per l’esercizio dei diritti della difesa, a meno che obiettivi di interesse generale giustifichino la restrizione di tale accesso e, in terzo luogo, che il giudice adito con un ricorso avverso la decisione di cui trattasi possa verificare la legittimità dell’ottenimento e dell’utilizzo di tali elementi nonché le constatazioni effettuate nelle decisioni amministrative adottate nei confronti di detti fornitori, che sono decisive per l’esito del ricorso».
Si tratta di un’ipotesi che esula dal caso qui al vaglio della Corte, perché il giudice d’appello ha in concreto verificato che nell’atto d’accertamento erano stati riportati i passaggi significativi ed essenziali dei processi verbali d’accertamento relativi ad altri soggetti, che poi erano i fornitori della odierna ricorrente; né rispetto a tale considerazione la difesa della contribuente si è premunita di contestare e confutare tale affermazione, così che neppure astrattamente nel caso di specie può prospettarsi una limitazione del diritto di difesa, anche in rapporto al principio di diritto affermato dalla giurisprudenza della CGUE da ultimo citata, che peraltro afferma, o riafferma, principi condivisi da questo collegio e già enucleabili dalla giurisprudenza di questa Corte.
Questa Corte ha d’altronde già rilevato il perimetro applicativo della sentenza Glencore Agriculture Hungary Kft, in C-189/2018, avvertendo che essa si inserisce «in un contesto in cui lo stesso diritto di difesa era negato dalla disciplina nazionale in discussione, intesa a tutelare, ma con una latitudine estrema, le esigenze di certezza del diritto. La normativa ivi in giudizio (e la relativa prassi amministrativa), infatti, da un lato, vincolava l’Amministrazione finanziaria alle constatazioni di fatto e alle qualificazioni giuridiche già effettuate nell’ambito di procedimenti amministrativi connessi avviati nei confronti dei fornitori del soggetto passivo; dall’altro, esonerava la stessa dal far conoscere al soggetto passivo gli elementi di prova a suo carico, inclusi quelli tratti dai procedimenti connessi a causa del carattere definitivo delle decisioni così adottate; escludeva, infine, la possibilità per il giudice di riesaminare e mettere in discussione le prove e gli accertamenti già eseguiti» (Così Cass., 19 luglio 2021, n. 20436, in motivazione).
Con evidenza si tratta di un contesto estraneo al caso oggetto della presente controversia, nel quale, per le emergenze documentali, non è possibile porre in discussione la conoscenza degli atti ed il pieno rispetto del diritto di difesa.
È invece inammissibile il secondo motivo, con il quale la ricorrente si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
La società denuncia che la decisione avrebbe condiviso l’operato dell’Amministrazione finanziaria, che aveva proceduto ad un accertamento induttivo sulla base di segnalazioni a carico dei due fornitori della ricorrente. Nonostante la ricorrente avesse esibito nella sua completezza la documentazione contabile richiesta, né l’Ufficio, né il giudice d’appello hanno mai chiarito quali fossero gli elementi fattuali e l’iter logico seguito per qualificare inattendibile la contabilità, giustificando l’accertamento. A parte le considerazioni già sviluppate in riferimento al primo motivo sulla esaustività delle ragioni esplicitate dalla Commissione regionale, il motivo è inammissibile perché del tutto privo di autosufficienza per la sua genericità. È peraltro inammissibile perché, tenendo conto della data di pubblicazione della sentenza, il 4 luglio 2019, ad essa trova applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla I. 7 agosto 2012, n. 134. Lo specifico vizio di motivazione denunciabile per cassazione deve essere riferibile all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia. E dunque l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Il ricorso va dunque rigettato.
All’esito del giudizio segue la soccombenza della ricorrente nelle spese processuali, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dall’Agenzia delle entrate, da liquidarsi in € 6.000,00 per competenze, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto dell21 sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.