Corte di Cassazione sentenza n. 30372 depositata il 21 novembre 2019
canoni di locazione – risoluzione – morosità
Rilevato che:
1. S. Sri impugnò innanzi alla CTP di Roma l’avviso di accertamento che recuperava a tassazione IRPEG, IRAP, per l’annualità 2002, i ricavi di competenza relativi a canoni di locazione non dichiarati, adducendo che il rapporto negoziale sottostante, concluso con E. Spa, non era inquadrabile come un contratto di locazione, ma come un mutuo di scopo, esente da imposizione fiscale e, comunque, che il contratto, seppure qualificato come contratto di locazione, era cessato di fatto già nel 2001, a causa dell’inadempimento della conduttrice, secondo quanto stabilito dalla convalida di sfratto per morosità pronunciata dal Tribunale di Roma il 15/10/2002;
2. la CTP di Roma, con sentenza 306/59/2010, accolse parzialmente il ricorso in quanto, esclusa la natura di mutuo di scopo del contratto in esame, lo aveva qualificato come contratto di locazione, i cui effetti erano cessati, anticipatamente, in forza della convalida di sfratto pronunciata dal giudice civile in data 15/10/2002, sicché da quel giorno le imposte sui canoni non erano più dovute;
3. l’Ufficio ha interposto appello (principale) contestando la decisione di primo grado che, in violazione dell’art. 109, TUIR, ha escluso il debito d’imposta a partire dal 15/10/2002; la contribuente, invece, con appello incidentale, ha insistito per l’integrale annullamento della pretesa tributaria, sul presupposto del riconoscimento della morosità della conduttrice a far data dal maggio 2002;
la CTR, con la sentenza trascritta in epigrafe, ha accolto l’appello principale dell’Ufficio e ha rigettato quello incidentale della società, rilevando che:
a) i canoni di locazione, relativi all’attività d’impresa della società, non costituivano redditi fondiari ex art. 26, TUIR, che si riferisce ai canoni di locazione di immobili ad uso abitativo, mentre, nella specie, essi rappresentavano “una componente attiva” del reddito di impresa, da iscrivere in bilancio ai sensi dell’art. 109, TUIR, i quali, in base al secondo comma, lett. b, dello stesso articolo, si considerano conseguiti “alla data di maturazione dei corrispettivi”;
b) i canoni di locazione, da considerare alla stregua dell’art. 821, terzo comma, cod. civ., dovevano essere iscritti in bilancio alla loro maturazione annuale, indipendentemente dagli accordi intercorsi tra le parti per un pagamento anticipato o posticipato;
c) il mancato conseguimento dei detti ricavi, per effetto della risoluzione anticipata del contratto di locazione, poteva essere dedotto come sopravvenienza passiva, ex art. 101, comma 4, TUIR, o come perdita su crediti, ai sensi del comma 5, della stessa norma, ferma la considerazione che, vista la particolarità della fattispecie concreta, non si poteva sostenere che fosse stata raggiunta la prova della “effettività” della perdita;
d) i rapporti negoziali tra le parti erano più complessi di quelli risultanti dalla sequenza degli “atti civili”; e) la decorrenza della morosità, quale unico motivo di censura rivolto dalla contribuente alla sentenza di primo grado, era irrilevante, donde il rigetto dell’appello incidentale della società;
3. la contribuente propone ricorso per la cassazione della sentenza della CTR, sulla base di un unico motivo, illustrato con memoria; l’Agenzia resiste con controricorso;
Considerato che:
a. preliminarmente si rileva che è inammissibile l’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla contribuente con la memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale;
con essa si assume, tra l’altro, che, per effetto della sentenza di questa Corte n. 24202/2016 che “[…] ha rigettato il ricorso proposto dalla S.C. […] è coperto da giudicato che essa avesse ricevuto una anticipazione parziale dei canoni, che sono stati tassati nell’anno di erogazione del finanziamento (riqualificato appunto come anticipo canoni […]).” (cfr. pag. 2 della memoria cit.);
trattandosi di una pronuncia d’inammissibilità del ricorso per cassazione della contribuente, è il caso di ribadire l’orientamento della Corte, per il quale, quando (come nella specie) il giudicato esterno si forma per effetto di una pronuncia della Corte di cassazione successiva alla proposizione del ricorso e, per il fatto che tale pronuncia è stata di inammissibilità, l’oggetto della cosa giudicata deve desumersi dalla sentenza di merito la cui impugnazione è stata dichiarata inammissibile, con conseguente sua consolidazione come regola del caso concreto, la parte interessata, per documentare la formazione del giudicato, se essa non emerga dal tenore della decisione della Corte (ed è quanto è accaduto nel caso in esame, non potendosi desumere dalla citata sentenza di questa Corte l’esatto tenore del cfictum della CTR), è tenuta a produrre la sentenza di merito prima dell’adunanza camerale (Cass. 27/01/2011, n. 1883);
sicché, ove tale produzione documentale sia stata omessa, l’eccezione di giudicato esterno va dichiarata inammissibile;
per di più, la pronuncia della Corte n. 24202/2016 riguarda riprese fiscali ai soli fini IVA, relative a un diverso periodo d’imposta (anno 2000);
1. con l’unico motivo del ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 26, 109, TUIR, 821, cod. civ., e di ogni altra norma o principio in materia di risoluzione del contratto di locazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata, che avrebbe trascurato che la convalida di sfratto del 15/10/2002, riguardante i mesi a partire da maggio 2002, aveva risolto il contratto di locazione con effetto dal mese di maggio 2012 o, al massimo, a partire da agosto 2012, data in cui “venne notificato lo sfratto” (cfr. pag. 7 del ricorso per cassazione);
rimarca che, per effetto della retrodatazione della pronuncia giudiziale al tempo dell’inadempimento, il rapporto contrattuale era cessato nel maggio 2002 (o, al più, nell’agosto 2002) e, da allora, la contribuente non poteva essere obbligata a iscrivere in bilancio e a dichiarare poste non più dovute, per essersi il contratto di locazione risolto per inadempimento della conduttrice;
assume che, anche ponendosi nell’ottica della decisione della CTR, per la quale la contribuente avrebbe dovuto iscrivere in bilancio i canoni e le corrispondenti passività per inadempimento, il risultato finale sarebbe stato in ogni caso l’inesistenza del debito fiscale, il che avrebbe consentito all’Amministrazione finanziaria di contestare un’irregolarità delle scritture, ma non di effettuare il recupero fiscale di un reddito che la contribuente non aveva mai incassato;
1.1. il motivo è fondato nei limiti di seguito illustrati; in tema di redditi di impresa, i ricavi derivanti dai canoni di locazione devono considerarsi conseguiti, ai sensi dell’art. 109, comma 2, lett. b), TUIR, alla data di maturazione dei medesimi, in quanto, fino all’eventuale risoluzione del contratto, non possono essere qualificati come componenti positivi dei quali non sia certa l’esistenza o la determinazione dell’ammontare, a prescindere dalla concreta corresponsione (Cass.11/05/2018, n. 11556; in senso conforme, con riferimento al reddito fondiario derivante dalla locazione di immobili ad uso commerciale: Cass.18/01/2012, n. 651; 28/09/2016, n. 19240);
nel caso di specie, la risoluzione del contratto di locazione è stata dichiarata con l’ordinanza di convalida del 15/10/2002, quale provvedimento avente una natura mista, perché rivolto sia alla risoluzione del rapporto (con efficacia costitutiva) che al rilascio del bene immobile;
ciò comporta che, fino a quella data (15/10/2002), i canoni dovevano essere iscritti nel bilancio della contribuente (locatrice) e dichiarati, salva la loro deduzione come “sopravvenienze passive” o, in caso di ricorrenza dei relativi presupposti, come “perdite su crediti”;
la decisione impugnata si è discostata da tali principi e, accogliendo l’appello dell’Ufficio, ha erroneamente riconosciuto la legittimità della ripresa fiscale dei canoni di locazione relativi all’intera annualità 2002, senza considerare che – come suaccennato – il 15/10/2002 vi era stata la convalida di sfratto per morosità;
2. ne consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, che, nel riesaminare la controversia, si atterrà al seguente principio di diritto: «in tema di redditi di impresa, i ricavi derivanti dai canoni di locazione devono considerarsi percepiti e costituiscono reddito tassabile, ai sensi dell’art. 109, comma 2, lett. b), del d.P.R. n. 917 del 1986, alla data di maturazione dei medesimi e fino alla risoluzione del contratto o fino alla convalida di sfratto per morosità.», e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità;
PQM
la Corte accoglie il ricorso, nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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