Corte di Cassazione sentenza n. 30798 depositata il 19 ottobre 2022 

nuove deduzioni in appello – l’art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, infatti, si riferisce a qualsiasi ipotesi di interposizione, anche a quella reale, ed anche ad un uso improprio di un legittimo strumento giuridico. Il suesposto fondamento giustificativo della responsabilità del soggetto che abbia gestito uti dominus una società di capitali non perde la sua validità in tema di v.a., risultando convergente con la disciplina unionale

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. dist. di Brescia, depositata il 15 marzo 2016, che, in accoglimento dell’appello di T.G.,  ha  annullato  l’atto  di contestazione, notificatogli quale amministratore di fatto della Sistema Lavoro Società Cooperativa, con cui gli erano state irrogate sanzioni per violazioni di obblighi tributari gravanti su quest’ultima.

2. Il giudice di appello ha accolto il gravame sul fondamento dell’operatività del principio della personalità delle sanzioni tributarie, previsto dall’art. 7, primo comma, d.l. 30 settembre 2003, n. 269.

3. Il ricorso è affidato a tre motivi.

4. Resiste con controricorso T.G., che deposita memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Agenzia denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, 4, c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., 118, disp,, att., c.p.c., 18, 36, secondo

comma, n. 4, 53, 57 e 61, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per aver la sentenza impugnata annullato l’atto impositivo in ragione di un vizio del medesimo non sollevato con i motivi cui era stato diffidato il ricorso introduttivo e prospettato solo con i motivi di appello.

Censura, altresì, la decisione di appello per aver ritenuto in modo apodittico che il ricorrente avesse eccepito tale vizio (anche) con il ricorso originario

1.1 Il motivo è infondato. 

Dall’esame  del ricorso  introduttivo  emerge  che  il  ricorrente ha negato la sua qualità di amministratore di fatto, contestando in tale modo l’elemento posto dall’Amministrazione a fondamento della sua responsabilità, pur non facendo menzione della previsione di cui all’art. 7, d.l. n. 269 del 2003.

Pertanto, deve escludersi che con l’appello interposto il contribuente abbia introdotto nuovi motivi di illegittimità dell’atto impugnato e che la Commissione regionale si sia pronunciata su una questione nuova.

Si osserva, in ogni caso, che il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto all’art. 57, secondo comma, d.lgs. n. 546 del 1992, non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario, che restano sempre deducibili, anche con nuove argomentazioni giuridiche (cfr. Cass., ord., 23 maggio 2018, n. 12651; Cass., ord., 29 dicembre 2017, n. 31224; Cass., ord., 22 settembre 2017, n. 22105).

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 7, d.l. 269 del 2003, conv., con modif., nella l. 24 novembre 2003, n. 326, e 9 e 11, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, per aver la Commissione regionale omesso di considerare che le sanzioni erano state irrogate a titolo di concorso nell’illecito ed escluso la responsabilità del contribuente, amministratore di fatto della società, senza valutare se lo stesso, come contestato nell’atto impositivo, fosse l’esclusivo beneficiario delle violazioni rilevate e avesse utilizzato la società quale schermo per i suoi comportamenti illeciti.

2.1 Il motivo è fondato. 

Giova osservare che in materia di sanzioni amministrative tributarie l’art. 7, d.l. n. 269 del 2003, conv., con modif., nella l.n. 326 del 2003, in deroga al principio generale della responsabilità personale dell’autore, nonché in deroga all’art. 11, d.lgs. 18 dicembre 1997, n.

472 (che prevede la responsabilità solidale delle società nel cui interesse ha agito la persona fisica autrice della violazione), ha stabilito che «le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società od enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica».

E’ stato ripetutamente affermato da questa Corte che l’applicazione di tale disposizione presuppone che la persona fisica, autrice della violazione, abbia agito nell’interesse e a beneficio della società rappresentata o amministrata, dotata di personalità giuridica, poiché solo la ricorrenza di tale condizione giustifica il fatto che la sanzione pecuniaria non colpisca l’autore materiale della violazione, ma sia posta in via esclusiva a carico del diverso soggetto giuridico quale effettivo beneficiario delle violazioni tributarie commesse dal proprio rappresentante o amministratore (cfr. Cass. 1° aprile 2022, n. 10651; Cass. 22 novembre 2021, n. 36037; Cass. 10 ottobre 2021, n. 29038; Cass. 13 novembre 2020, n. 25757).

L’art. 7, infatti, intenderebbe regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente, e, in particolare, l’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima, ma non nel caso in cui la persona fisica sia «esclusivo beneficiario delle violazioni contestate», in quanto in tale caso non sussiste detta differenza, atteso che quest’ultimo è, al tempo stesso, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera fictio, creata nell’esclusivo interesse della persona fisica (cfr., altresì, Cass. 18 aprile 2019, n. 10975; Cass. 8 marzo 2017, n. 5924; Cass. 28 agosto 2013, n. 19716).

2.2 Come evidenziato nella pronuncia di questa Corte 23231 del 25 luglio 2022, tale approdo ermeneutico, «pur cogliendo un dato innegabile, ossia che, in tali ipotesi, esiste un soggetto che governa uti dominus la società di capitali, il quale fa proprie le attività, i redditi e i proventi dell’ente, cui lascia la formale responsabilità e l’onere delle imposte, non assolte, non appare pienamente soddisfacente dove sembra prefigurare che la società costituisca una mera fictio, dunque priva di realtà giuridica».

Ferma, dunque, l’effettività della società di capitali deve ritenersi che l’imputabilità ad un diverso soggetto dei redditi maturati dall’ente e delle relative imposte possa realizzarsi mediante ricorso alla presunzione di interposizione prevista dall’art. 37, terzo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, secondo cui in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona.

Tale disposizione normativa costituisce espressione del principio generale della capacità contributiva e consente di traslare l’eventuale risultato reddituale della società interposta nei confronti del soggetto interponente.

2.3 Il riferito percorso argomentativo non è limitato dalla tipologia di reddito oggetto di accertamento, ma si estende – come recentemente precisato da questa Corte (cfr. 17 febbraio 2022, n. 5276) – anche al reddito d’impresa e all’ipotesi in cui l’interposto sia una società di capitali, laddove sia accertata la relazione di fatto tra contribuente e reddito, necessaria per operare la traslazione del reddito d’impresa prodotto all’effettivo titolare.

L’interponente, infatti, non è un mero gestore dell’ente collettivo ma di soggetto che disponga uti dominus delle risorse del soggetto interposto.

In questo caso, sarà onere dell’Amministrazione finanziaria dimostrare la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte del reddito del soggetto imprenditoriale interposto e l’effettivo possesso dell’interponente medesimo dei redditi formalmente intestati alla società.

Non ha rilievo, invece, la dimostrazione che l’interposizione sia reale o fittizia: l’art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, infatti, si riferisce a qualsiasi ipotesi di interposizione, anche a quella reale, ed anche ad un uso improprio di un legittimo strumento giuridico (cfr., ex multis, Cass. 27 aprile 2021, n. 11055; Cass. 28 giugno 2017, n. 17128; Cass. 3 marzo 2017, n. 5408).

La compiuta traslazione del reddito, del resto, è coerente con il diritto al rimborso dell’interposto, ai sensi dell’art. 37, quinto comma, d.P.R. n. 600 del 1973, per quelle imposte che abbia pagato per redditi imputati all’interponente, condizione che legittima il riconoscimento, ove ne sussistano i presupposti formali e sostanziali, anche del diritto alla detrazione ex art. 19, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (cfr. Cass. 30 dicembre 2009, n. 27964.

2.4 Il suesposto fondamento giustificativo della responsabilità del soggetto che abbia gestito uti dominus una società di capitali non perde la sua validità in tema di v.a., risultando convergente con la disciplina unionale.

Infatti, come evidenziato nella richiama sentenza di questa Corte n. 23231 del 2022, nel caso in cui un soggetto gestisca uti dominus la società si configura un rapporto riconducibile al mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore e il mandante è la società, disciplinato dall’art. 6, par. 4, della Sesta direttiva, corrispondente all’art. 3, terzo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, per effetto del quale si deve ritenere che il gestore abbia ricevuto o fornito i detti servizi a titolo personale.

Chiarisce tale pronuncia che in questo caso «Si realizza, in altri termini, la finzione giuridica di due prestazioni di servizi identiche fornite consecutivamente sull’assunto che l’operatore che partecipa alla prestazione di servizi – il commissionario – abbia in un primo tempo ricevuto i servizi in questione da prestatori specializzati prima di fornire, in un secondo tempo, gli stessi servizi all’operatore per conto del quale agisce (v., tra le varie, Corte di giustizia, 4 maggio 2017, in C-274/15, Commissione c/ Lussemburgo; nella giurisprudenza interna, v., ex multis, Cass. 29 settembre 2020, n. 20591; Cass. 23 novembre 2018, n. 30360): il mandatario, quindi, assume e acquista in nome proprio, rispettivamente, gli obblighi e i diritti derivanti dal compimento dell’affare trattato per conto del mandante»;

Conclude che «se la prestazione di servizi a cui l’operatore partecipa è soggetta all’Iva, pure il rapporto giuridico tra costui e la parte per conto della quale agisce è soggetto all’Iva».

2.5 Quanto all’aspetto sanzionatorio, l’elemento costitutivo della fattispecie è caratterizzato dall’avvenuta traslazione ciel reddito e dei relativi tributi dell’ente collettivo, con conseguente imputazione anche delle condotte evasive.

La situazione esula dall’ambito di applicazione dell’art. 7, d.l. n. 269 del 2003, in quanto il rapporto fiscale che viene in considerazione non è quello, previsto dalla citata norma, «proprio di società o enti con personalità giuridica» ma, in conseguenza della traslazione del reddito all’effettivo possessore ex art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1970, quello specifico e proprio dell’interponente (così, la più volte richiamata sentenza n. 23231 del 2022).

2.6 Pertanto, la Commissione regionale, nell’escludere la responsabilità del controricorrente, cui era imputata la qualità di amministratore di fatto della Sistema Lavoro Società Cooperativa, in ragione del principio della responsabilità personale dell’autore della violazione, non ha fatto corretta applicazione delle regole di diritto, applicando tale principio automaticamente pur in presenza di una contestazione di utilizzo strumentale della società per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio del loro autore.

3. All’accoglimento del secondo motivo di ricorso segue l’assorbimento del terzo, con cui l’Agenzia si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione alla mancata considerazione del fatto che le sanzioni erano state irrogate a titolo di concorso nell’illecito, nonché, quanto alla contestata qualità di amministratore di fatto, del contenuto delle dichiarazioni rese dai dipendenti della società e dal sig. Luongo Donato, e del versamento di assegni intestati alla società sul suo conto corrente personale

4. La sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento al motivo accolto e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lombardia, sez. dist. di Brescia, in diversa composizione

P.Q.M.

la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza  impugnata  con rifermento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Lombardia, sez. dist. di Brescia, in diversa composizione.