Corte di Cassazione sentenza n. 31407 depositata il 24 ottobre 2022

cessione di credito pro soluto e periodo d’imposta di competenza della relativa plusvalenza – principi contabili nazionali ed internazionali – ricorso per la revocazione

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per la revocazione, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’ordinanza di questa Corte 20642/2021, depositata in data 19 luglio 2021.

Come si legge in quest’ultima decisione, « La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (CTR), con la sentenza n. 1796/14/17, depositata il 21/4/2017, accoglieva l’appello proposto dalla società̀ S.H.T.F. S.r.l. e, per l’effetto, riformava la sentenza di primo grado che aveva dichiarato legittimo l’avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione finanziaria aveva proceduto a recuperare a tassazione una maggiore IRES per il periodo di imposta 2006 e 2008.

2. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

3. La contribuente ha depositato controricorso.

4. Con istanza depositata in prossimità della camera di consiglio l’Agenzia delle entrate formulava, ex 6, del d.l. n. 119 del 2018, conv. in l. n. 136 del 2018, istanza di estinzione del giudizio, avendo la Direzione Provinciale II di Milano comunicato che la contribuente aveva presentato domanda di definizione della controversia ai sensi dell’indicato art. 6, e che la stessa «risulta regolare».

5. In prossimità della camera di consiglio la contribuente depositava memoria.

[…] In via preliminare il Collegio rileva che la contribuente, con tale memoria, chiede la definizione, con cessazione della materia del contendere, della controversia per l’anno 2008 «mentre si insiste per l’accoglimento della domanda formulata nel controricorso (…)». Ebbene, tale ultimo petitum risulta del tutto estraneo ai principi che governano il processo dinnanzi alla Corte di Cassazione in quanto non tengono conto del fatto che la contribuente, odierna controricorrente, risulta essere parte totalmente vittoriosa dinnanzi alla CTR che ha concluso, in riforma della sentenza di primo grado, annullando in toto gli avvisi di accertamento impugnati. Ancora, proprio in ragione del suindicato esito processuale, la contribuente risulta costituita nel presente giudizio con controricorso (senza proposizione di ricorso incidentale), di talché il petitum sopra riportato risulta del tutto incompatibile con tale atto di costituzione il quale assolve, esclusivamente, alla funzione di contrastare l’impugnazione altrui. Ed invero, il controricorso ben può valere come ricorso incidentale, ma, a tal fine, per il principio della strumentalità delle forme – secondo cui ciascun atto deve avere quel contenuto minimo sufficiente al raggiungimento dello scopo – occorre che esso contenga i requisiti prescritti dall’art. 371 c.p.c. in relazione ai precedenti artt. 365, 366 e 369 c.p.c. e, in particolare, la richiesta, anche implicita, di cassazione della sentenza, specificamente previ- sta dal n. 4 dell’art. 366 c.p.c.. Tali requisiti, anche in ragione di quanto disposto dalla sentenza impugnata, risultano del tutto carenti nella presente fattispecie, che ha visto la società̀, come detto, totalmente vittoriosa.

Fatte tali necessarie premesse, concorrendo tutti i presupposti di cui all’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018, è possibile dunque pervenire, come richiesto dalla ricorrente, ad una pronuncia di estinzione del giudizio per totale cessazione della materia del contendere in seguito alla definizione della lite ed alla sopravvenuta carenza di inte- resse delle parti ad una decisione di merito.

2. Le spese vanno compensate avuto riguardo all’esito della controversia, chiusasi con la definizione agevolata.».

La Corte ha quindi così provveduto: « dichiara l’estinzione del giudizio per intervenuta cessazione della materia del contendere e compensa le spese processuali.».

1.1 Deduce l’Ufficio di aver allegato, dandone contestualmente atto, all’istanza di cessazione della materia del contendere menzionata nell’ordinanza, la nota della Direzione Provinciale II di Milano della stessa Agenzia, datata 21/11/2019, nella quale era specificato che la lite la cui definizione agevolata era “risultata regolare” era soltanto quella riguardante l’avviso  di  accertamento  “AA99  ACC  T9D032L02442  (2008)”, ovvero l’impugnazione dell’avviso di accertamento relativo all’anno 2008.

Nulla veniva invece detto, nella nota erariale, relativamente all’avviso di accertamento riguardante il 2006, anch’esso oggetto di causa.

Ed invero, aggiunge la ricorrente, la stessa ordinanza qui impugnata ha rilevato che anche la contribuente, nella memoria, aveva chiesto di limitare la dichiarazione di cessazione della materia del contendere all’anno 2008, in quanto oggetto di definizione agevolata, e aveva invece chiesto che il ricorso dell’Agenzia venisse deciso e rigettato per quanto riguardava il 2006, come chiesto nel controricorso.

Pertanto, secondo la ricorrente, era pacifico tra le parti, e comunque risultava dagli atti, che l’unica definizione agevolata richiesta e ottenuta dalla contribuente, ed oggetto della richiesta di cessazione della materia del contendere depositata dall’Agenzia, con allegata la predetta nota, riguardava esclusivamente l’accertamento relativo all’anno d’imposta 2008.

Pertanto, la ricorrente imputa all’ordinanza impugnata di fondarsi sull’asserito errore percettivo caduto sull’oggetto dell’istanza di dichiarazione della cessazione della materia del contendere e, comunque, sui limiti nei quali quest’ultima risultava perfezionata, secondo gli atti di causa.

Tanto premesso, l’Ufficio ricorrente chiede, nella fase rescindente, di revocare parzialmente l’impugnata ordinanza, nella parte in cui ha dichiarato cessata la materia del contendere ed estinto il giudizio per l’intervenuta definizione agevolata anche relativamente alla controversia sull’accertamento di cui al 2006; e , nella conseguente fase rescissoria, di accogliere, sempre in parte qua, il ricorso erariale per la cassazione della sentenza d’appello.

2. La curatela si è costituita con controricorso ed ha prodotto memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per revocazione, sostenuta dalla controricorrente sul presupposto della genericità dello stesso atto, che invece è specifico ed autosufficiente nell’individuazione della decisione impugnata, della censura proposta e degli atti rilevanti per la decisione rescindente, riprodotti ed allegati e, comunque, localizzati con riferimento al giudizio di legittimità che ha prodotto l’ordinanza impugnata.

2. E’ opportuno dare atto, sempre preliminarmente, che la limitazione sostanziale della definizione agevolata de qua all’accertamento relativo all’anno d’imposta 2008 risultava pacifica tra le parti del giudizio a quo. Infatti la stessa curatela controricorrente, nella memoria (con relativi allegati) depositata il 2 luglio 2021, quindi successivamente all’istanza di « estinzione del giudizio per cessazione della   materia   del contendere», prodotta dall’Agenzia il 30 aprile 2020, dava atto che era stata « definita la controversia per l’anno 2008 [enfatizzazione nel testo originale], con conseguente cessazione della materia del contendere», che « resta così confinata alle plusvalenze e surplus maturati secondo l’Agenzia nel 2006, secondo il Fallimento nel 2005.».

Sull’effettiva portata sostanziale dell’intervenuta definizione, quindi, erano concordi le parti, in coerenza con la documentazione prodotta dalla stessa curatela in allegato alla memoria e con l’oggetto della nota allegata dalla ricorrente alla propria istanza di « estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.».

3. Tanto premesso, deve rilevarsi che, sulla base dei predetti atti del relativo giudizio di legittimità, ed in considerazione delle stesse difese ed allegazioni di ambedue le parti, risulta inequivocabilmente escluso il fatto oggettivo dell’intervenuta definizione agevolata (anche) della parte della controversia avente ad oggetto l’accertamento relativo all’anno d’imposta 2006. Fatto invece erroneamente supposto dall’ordinanza qui impugnata, che ha dichiarato non solo, in rito, l’estinzione del giudizio, ma anche la cessazione della materia del contendere, con accertamento di merito.

L’errore denunciato, pertanto, non attinge meramente l’individuazione del contenuto dell’istanza dell’Agenzia (che pure, per relationem all’allegata nota contestualmente prodotta, individuava l’atto impositivo definito con quello relativo al 2008), ma anche il presupposto sostanziale della dichiarata cessazione della materia del contendere, concordemente escluso dalla stessa contribuente. Né, peraltro, la stessa istanza erariale avrebbe potuto, di per sé sola, determinare comunque la sostanziale cessazione della materia del contendere anche con riferimento all’accertamento relativo all’anno d’imposta 2006, pur se non oggetto di definizione, attesa l’indisponibilità del relativo credito erariale oggetto di tale atto impositivo.

4. Ritenuta pertanto la sussistenza dell’errore di fatto risultante dagli atti e dai documenti della causa, deve rilevarsi che esso è stato determinante ai fini della decisione impugnata, avendo comportato la declaratoria di estinzione per cessata materia del contendere anche con riferimento a quella parte della controversia, relativa all’ accertamento per il 2006, rispetto alla quale risultava invece insussistente il presupposto dell’intervenuta definizione agevolata. 

Deve peraltro escludersi che, ai fini dell’art. 395, primo comma, n. 4, ultimo periodo, cod. proc. civ., il fatto su cui è caduto l’errore abbia costituito un «punto controverso» sul quale l’ordinanza impugnata si sia pronunciata, innanzitutto perché, per quanto già argomentato, la limitazione della definizione al solo accertamento relativo al 2008 non era affatto “controversa” tra le parti, risultando per tabulas pacifica.

Inoltre, dal complesso della motivazione dell’ordinanza non si evince uno specifico accertamento in fatto che abbia investito il dato sostanziale della intervenuta definizione dell’accertamento di cui all’anno d’imposta 2006, circostanza quindi meramente, ed erroneamente, presupposta nella decisione sulle istanze processuali delle parti relative all’individuazione di una parte residuale della materia del contendere.

Infine, deve escludersi che, come sostenuto dal P.G., nel caso di specie l’errore di fatto sia opinabile, non avendo natura oggettiva e non essendo rilevabile ictu oculi. Infatti la stessa curatela controricorrente (ovvero la parte necessariamente a conoscenza dell’eventuale definizione ed interessata a farla valere), nella memoria depositata successivamente all’istanza erariale di estinzione, aveva inequivocabilmente dedotto la limitazione della definizione agevolata all’accertamento per il 2008 e la prosecuzione del giudizio relativamente all’atto impositivo per il 2006, dimostrando quindi che si trattava di un dato di fatto palese.

3. Va quindi accolto il ricorso per revocazione dell’ordinanza impugnata, nei limiti della dichiarata estinzione per cessata materia del contendere anche con riferimento all’atto impositivo relativo al 2006, con conseguente passaggio alla fase rescissoria, ovvero alla decisione sui due motivi di ricorso proposti dall’Amministrazione per la cassazione della sentenza della CTR della Lombardia, nella parte in cui quest’ultima ha deciso sulle plusvalenze maturate, secondo l’Agenzia, proprio nell’anno d’imposta 2006.

5. Con il primo motivo di ricorso avverso la sentenza d’appello, l’Agenzia ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 86, comma 1, e 109, comma 1, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; nonché degli artt. 1264 e 1266 cod. civ.

Il mezzo attinge il capo della sentenza in cui la CTR, accogliendo l’appello della contribuente SHTF s.r.l. (allora in bonis), ha ritenuto che non fosse di competenza dell’anno d’imposta 2006, oggetto del relativo accertamento, la plusvalenza che Parmafactor s.p.a. ( successivamente incorporata dalla SHTF in liquidazione, che le succedeva nei rapporti fiscali anteriori) aveva complessivamente realizzato cedendo a JP Morgan Chase Bank N.A. ed a Fidital s.r.l. i crediti ceduti, in precedenza, da creditori del Gruppo Parmalat alla stessa Parmafactor s.p.a., che si era insinuata pertanto al passivo dell’amministrazione straordinaria delle società debitrici.

Inoltre, la censura investe la sentenza anche relativamente all’ ulteriore differenza positiva (“c.d. surplus azioni Parmalat”) realizzata dalla Parmafactor s.p.a. quando, ricevute il 12 ottobre 2005 n. 22.946.553 azioni (del valore nominale di 1,00 euro ciascuna) della Nuova Parmalat, a titolo di pagamento dei crediti ammessi in chirografo dall’amministrazione straordinaria delle società del Gruppo Parmalat, ne aveva trasferite, il giorno immediatamente successivo, alla sua cessionaria JP Morgan Chase Bank N.A. n. 22.336.069, trattenendone 610.483. Anche tale rilievo trova quindi fonte nel negozio di cessione di crediti, titolo della plusvalenza contestata. Secondo la CTR, premesso che, come è pacifico, le cessioni di credito a favore delle cessionarie JP Morgan Chase Bank N.A. e Fidital s.r.l. si sono perfezionate nel 2005 con la formula pro soluto, le relative plusvalenze andavano imputate, ai fini fiscali, all’anno d’imposta 2005, e non al 2006, come pretenderebbe l’Agenzia, essendo irrilevante che solo nel 2006 sia intervenuto il pagamento da parte della debitrice ceduta alle cessionarie del credito.

Egualmente, a proposito del c.d. “surplus azioni Parmalat”, la CTR ha ritenuto che fosse rilevante, ai fini della determinazione dell’anno d’imposta di competenza fiscale della plusvalenza, la ricezione a titolo di pagamento delle azioni da parte della Parmafactor ed il pressoché contestuale trasferimento di parte degli stessi titoli alla cessionaria pro soluto JP Morgan Chase Bank N.A., eventi avvenuti nel 2005. Pertanto, la sentenza impugnata non ha condiviso la tesi dell’Agenzia, tesa a collocare anche tale aspetto della plusvalenza nell’anno d’imposta accertato 2006, in concomitanza con i pagamenti dei ceduti alle cessionarie.

5.1 Ha premesso la ricorrente Agenzia che l’assoggettamento all’imposizione fiscale delle plusvalenze tutte di cui si discute deve essere individuato, ai sensi degli 86, comma 1, e 109, comma 1, d.P.R. n. 917 del 1986, secondo il principio di competenza, e non di cassa, essendo quindi rilevante non la data nella quale le cessionarie hanno versato alla cedente i corrispettivi delle cessioni dei crediti, ma la data nella quale sono stati stipulati i relativi negozi di cessione. Dato atto espressamente che comunque anche i contratti di cessione del credito si sono perfezionati, tra cedente e cessionarie, nell’anno 2005, la ricorrente ha assunto che tuttavia i relativi corrispettivi, e le conseguenti plusvalenze, sarebbero divenuti certi, ovvero definitivamente acquisiti al patrimonio della contribuente, solo nel 2006, quando i debitori ceduti hanno adempiuto nei confronti dei cessionari. Infatti, pur essendo le cessioni pacificamente pro soluto – e quindi non avendo la cedente garantito (con l’apposita clausola di cui all’art, 1267 cod, civ.) il pagamento alla scadenza da parte dei debitori ceduti- comunque, per effetto naturale dei medesimi titoli traslativi onerosi, la stessa cedente era tenuta a garantire, ai sensi dell’art. 1267, primo comma, cod. civ., quanto meno l’esistenza del credito al tempo della cessione.

Per effetto dell’ esposizione, sino al pagamento dei debitori ceduti alle cessionarie, della contribuente cedente alla garanzia di esistenza, in tutto o in parte, del credito ceduto, la realizzazione del corrispettivo della cessione, e quindi della plusvalenza che ne è derivata, sarebbe allora rimasta incerta dal momento del perfezionamento, nel 2005, dei contratti di cessione a titolo oneroso, sino all’adempimento, nel 2006, eseguito dai debitori ceduti. Pertanto solo nel 2006, anno d’imposta accertato, la plusvalenza sarebbe diventata certa e potrebbe considerarsi realizzata, ai sensi dei predetti artt. 86, comma 1, e 109, comma 1, d.P.R. n. 917 del 1986.

6. Con il secondo motivo di ricorso avverso la sentenza d’appello, l’Agenzia ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di fatti decisivi e controversi tra le parti.

L’Agenzia ha infatti lamentato che il giudice a quo non avrebbe preso in considerazione la circostanza che i pagamenti dei debitori ceduti ai cessionari del credito erano avvenuti solo nell’anno d’imposta 2006.

Inoltre, la CTR neppure avrebbe considerato che nella nota integrativa al bilancio del 2005 della Parmafactor s.r.l. si dava atto che le operazioni di cessione si sarebbero svolte « senza criteri predefiniti e, spesso, occasionalmente a cavallo degli esercizi 2005 e 2006» e che vi era incertezza circa le erogazioni delle Amministrazioni Straordinarie, « che si sarebbero concluse nel primo quadrimestre 2006».

Secondo la ricorrente, la situazione fattuale descritta nella relazione integrativa, se esaminata dalla CTR, sarebbe stata decisiva al fine di accertare che, sebbene le cessioni in questioni fossero pro soluto, sino all’adempimento dei debitori ceduti ai cessionari dei crediti, ovvero sino al 2006, l’esposizione della cedente all’eventuale azione di garanzia di cui all’art. 1266, primo comma, cod. civ. avrebbe comunque escluso l’imputabilità delle plusvalenze in questione all’esercizio di competenza 2005, come preteso dalla contribuente e ritenuto corretto dalla CTR.

In sintesi, secondo la ricorrente Amministrazione, « Prima della definizione, con i pagamenti, delle potenziali contestazioni da parte dei debitori ceduti, nessun redattore del bilancio del cedente avrebbe infatti considerato definitivamente acquisito il differenziale positivo convenuto con i negozi di cessione pro soluto del 2005.».

7. I due motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, sono infondati, dovendo applicarsi il seguente principio, le cui ragioni saranno di seguito illustrate: « In tema di determinazione dell’esercizio di competenza dei componenti positivi del reddito d’impresa, ai sensi degli artt. 109 ed 86 t.u.i.r. e dei principi contabili nazionali ed internazionali, la plusvalenza derivante dalla cessione, a titolo oneroso e pro soluto, di un credito si realizza con il perfezionamento, tra cedente e cessionario, del negozio che trasferisce il diritto, con i connessi benefici e con il rischio d’insolvenza del debitore ceduto, non rilevando in contrario né il momento successivo nel quale il cessionario riceva il pagamento dal ceduto; né, di per sé solo, l’ obbligo legale del cedente di garantire l’esistenza del credito ex art. 1266, co.1, c.c.».

Per sgombrare il campo da equivoci, è bene sottolineare che la ricorrente non discute sostanzialmente che le cessioni di credito, onerose, si siano perfezionate, ai fini civilistici, tra le contraenti nel corso del 2005; che esse siano state concluse pro soluto; e che, per effetto dell’applicazione del principio di competenza “astratto”, ovvero al netto della valutazione delle potenziali contestazioni da parte dei debitori ceduti, i corrispettivi spettanti alla contribuente abbiano generato plusvalenze teoricamente imputabili all’anno d’imposta di conclusione dei relativi negozi (cfr. pag. 14 s. del ricorso).

Nella tesi della ricorrente, piuttosto, sarebbe la possibile successiva attivazione, da parte delle cessionarie, della garanzia di esistenza dei crediti ceduti di cui all’art. 1266 cod. civ.( operativa ex lege , se non esclusa dalle parti, anche nelle cessioni pro soluto) che giustificherebbe l’allocazione delle plusvalenze nell’esercizio d’imposta 2006, nel quale, soddisfatte le cessionarie, ogni incertezza sulla stabilità delle attribuzioni patrimoniali conseguite, ed i conseguenti rischi di subire azioni di rivalsa, sarebbero definitivamente cessati.

Sintomatica e probante della sostanziale incertezza, nell’anno d’imposta 2005, delle plusvalenze in questione, sarebbe, secondo la ricorrente, la ridetta nota integrativa al bilancio del 2005 della Parmafactor s.r.l., che la CTR non ha esaminato specificamente nella motivazione.

La tesi erariale sollecita pertanto l’applicazione dell’art. art. 109, primo comma, d.P.R. n. 917 del 1986, secondo cui « tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono  a  formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.».

7.1 E’ opportuno considerare i principi contabili in materia di crediti, vigenti ratione temporis, sebbene elaborati con precipuo riferimento alla (diversa, ma correlata) questione dell’eliminazione del credito ceduto dal bilancio della cedente.

Invero il principio contabile nazionale OIC. n. 15, in materia di crediti, (al paragrafo D.VII.a)), prevede che « I crediti ceduti in modo definitivo (pro soluto) senza azione di regresso, e per i quali il rischio d’insolvenza è trasferito al cessionario nella sostanza, ancorché diversamente qualificati (vedere secondo capoverso successivo), devono essere rimossi dal bilancio e l’utile o la perdita devono essere riconosciuti per la differenza tra il valore ricevuto ed il valore cui erano iscritti in bilancio.

Qualora contrattualmente siano previste clausole miranti a frazionare il rischio d’insolvenza tra il cedente e il cessionario, con la previsione di un incremento o di un decremento dell’importo ricevuto dal cedente in relazione al mancato incasso, entro le scadenze previste, di parte dei crediti ceduti, si dovrà mettere in evidenza nei conti d’ordine l’ammontare degli eventuali rischi, fornendo, ove necessario, ulteriori informazioni in nota integrativa.

Alle cessioni ancorché qualificate pro soluto, che prevedono la possibilità di un’azione di regresso, qualora il “factor” non incassi dal debitore l’importo del credito ceduto alla scadenza prevista, si applica la metodologia di contabilizzazione delle cessioni pro solvendo.».

Il successivo paragrafo (D.VII.b)), in materia di crediti ceduti con azione di regresso (pro solvendo), dispone a sua volta che « I crediti ceduti con azione di regresso (pro solvendo) vanno normalmente rimossi dallo stato patrimoniale e sostituiti con l’ammontare dell’anticipazione ricevuta e col credito nei confronti del “factor” per la differenza tra il valore nominale del credito ceduto e l’anticipazione ricevuta (quest’ultimo ammontare sarà restituito dal “factor” al cedente al momento dell’incasso dal debitore ceduto), mettendo in evidenza l’ammontare del rischio di regresso nei conti d’ordine, fornendo ove necessario, ulteriori informazioni nella nota integrativa e iscrivendo l’eventuale fondo rischi nel passivo di stato patrimoniale. Le commissioni passive che il cedente riconosce al “factor” andranno imputate a conto economico.

Alternativamente è consentito considerare i crediti come dati in garanzia a fronte dei prestiti ricevuti e pertanto mantenere in bilancio tali crediti, iscrivendo nelle apposite voci dell’attivo di stato patrimoniale l’ammontare dell’anticipazione ricevuta (al netto delle commissioni) e nel passivo il debito verso il “factor” per uguale ammontare, mettendo inoltre in evidenza nella nota integrativa l’importo nominale dei crediti ceduti.

Gli interessi dovuti al “factor” sugli ammontari anticipati vanno imputati a conto economico nel rispetto dei principio della competenza.»

A sua volta, disciplinando il contenuto della nota integrativa in materia, il principio (al paragrafo E) stabilisce che essa « deve fornire, quando applicabile, le seguenti informazioni sui crediti:

[…] a) il principio di valutazione dei crediti ed i criteri di determinazione della rettifica per svalutazione crediti, nonché l’ammontare di questa, se non già eventualmente evidenziata nello stato patrimoniale;

[…] h) per i crediti per i quali permane un’obbligazione di regresso, l’importo dei crediti ceduti, se rilevante, anche se già rilevato nei conti d’ordine;

[…] p) ogni altro fatto di rilievo la cui conoscenza sia necessaria per la corretta e completa interpretazione del valore dei crediti in bilancio.».

Tanto premesso, deve rilevarsi che, nel caso di specie, è incontestata la natura pro soluto delle cessioni in questione e non è stata dedotta la sussistenza di alcuna clausola che imputasse alla cedente, anche solo parzialmente, il rischio di insolvenza dei debitori ceduti.

Pertanto, in conformità del predetto principio, venuti meno i crediti ceduti, la cedente ha riconosciuto l’utile – per la differenza tra il valore ricevuto a titolo di corrispettivo della cessione ed il valore cui erano iscritti in bilancio- nel caso di specie integrante la plusvalenza contestata.

La redazione di una nota integrativa al bilancio del 2005 nella quale ( pur in assenza della permanenza della potenziale “azione di regresso” riconnessa alle cessioni pro solvendo, ai sensi dei paragrafi D.VII.b) ed E h) del principio O.I.C. 15), la contribuente ha comunque dato conto ( ai sensi del paragrafo E p) ), nei termini già riportati, di « ogni altro fatto di rilievo la cui conoscenza sia necessaria per la corretta e completa interpretazione del valore dei crediti in bilancio», costituisce pertanto adempimento delle prescrizioni contabili in materia e non è, di per sé sola, sintomatica, al fine che qui rileva, della natura incerta e non definitiva delle cessioni pro soluto dei crediti e dell’instabilità dell’attribuzione patrimoniale consistente nel corrispettivo del trasferimento spettante alla cedente.

Peraltro anche il principio contabile internazionale IAS 39, in materia di rilevazione e valutazione degli strumenti finanziari (compresi i crediti), nella versione vigente ratione temporis, disciplina il trattamento della cessione dei crediti,  definendo  i  presupposti  e  le  modalità  della  cancellazione ( “derecognition”) delle attività finanziarie dal bilancio del cedente, per cui ciò̀ che rileva è se, insieme al trasferimento del diritto di credito, la cessione ha come conseguenza anche quella del trasferimento dei rischi e dei benefici, ovvero, il venir meno del controllo sul credito ( “continuing involvment”).

In applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, il principio non considera infatti sufficiente, ai fini della cancellazione di un credito, che lo stesso sia ceduto a terzi, essendo necessario che, oltre alla titolarità del relativo diritto, siano trasferiti al cessionario anche tutti i rischi e benefici associati al credito. Se tale trasferimento integrale si è realizzato, il cedente deve procedere alla cancellazione dei crediti dal proprio bilancio. Viceversa, ovvero se continuano a ricadere sullo stesso cedente i rischi e i benefici connessi al credito trasferito, si configura una divergenza tra forma giuridica del contratto e sostanza economica dello stesso ed il credito, sebbene ceduto, continua ad essere rilevato nell’attivo dello stato patrimoniale del cedente . Ove poi la verifica del trasferimento di tutti i rischi e benefici connessi al credito ceduto non conduca ad un risultato univoco, il principio richiede l’ ulteriore verifica del trasferimento, o meno, al cessionario del controllo dell’attività finanziaria (credito) ceduta. Se l’esito è positivo, il credito va eliminato dallo stato patrimoniale del cedente, altrimenti lo IAS 39 prevede una modalità di contabilizzazione (“continuing involvement”) per cui il cedente mantiene nel proprio bilancio l’attività finanziaria nel limite del valore dell’esposizione che rimane in capo ad esso.

Ebbene, nel caso di specie non è in contestazione che la contribuente abbia effettivamente trasferito alle cessionarie, pro soluto, i crediti con i connessi benefici e con il rischio d’insolvenza dei debitori ceduti. E comunque non è contestato che sia stato trasferito alle cessionarie il controllo dei crediti ceduti, non essendo stato dedotto che la cedente, nonostante la cessione, avesse mantenuto la possibilità sostanziale di disporre in alcun modo dei relativi diritti.

Non emergono, pertanto, quelle divergenze, tra forma dei contratti di cessione ed effetti sostanziali degli stessi, che potrebbero in ipotesi condurre ad una soluzione contabile diversa dall’attribuzione di un’efficacia definitiva immediata agli atti traslativi dei crediti pro soluto, con conseguente stabilità dei corrispettivi pagati dalle cessionarie alla cedente.

Deve pertanto ritenersi che, anche alla stregua dei principi contabili nazionali ed internazionali, come già della disciplina civilistica di cui agli artt. 1267 cod. civ., nel caso di specie le cessioni di credito onerose pro soluto abbiano generato, a favore della cedente contribuente, plusvalenze realizzatesi (ai sensi degli artt. 86, comma 1, e 109, comma 1, d.P.R. n. 917 del 1986) nell’esercizio di competenza, ovvero nel 2005, quando si sono perfezionati, tra la stessa cedente ed i cessionari, i relativi contratti traslativi, senza che rilevino, al fine di posticipare l’anno d’imposta in cui si siano realizzate le medesime plusvalenze, la persistenza dell’obbligo del cedente di garanzia dell’esistenza del credito ex art. 1266 cod. civ. o le date dei successivi adempimenti dei debitori ceduti a favore dei cessionari dei crediti.

Va pertanto rigettato il primo motivo del ricorso per cassazione erariale.

Per le medesime ragioni va altresì rigettato il secondo motivo, non risultando, come già argomentato, decisivo il fatto del quale si lamenta l’omesso esame.

8. Le spese del giudizio di revocazione e quelle del giudizio rescissorio si compensano, tenuto conto della reciproca soccombenza.

9. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 .

P.Q.M.

Pronunziando in sede rescindente, accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione e revoca parzialmente l’ordinanza di questa Corte n. 20642/2021, depositata in data 19 luglio 2021; per l’effetto, pronunziando in sede rescissoria, rigetta, il ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1796/14/2017, depositata il 21 aprile 2017, compensando le spese tutte del giudizio di legittimità.