Corte di Cassazione sentenza n. 31412 depositata il 24 ottobre 2022
principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – revocazione di sentenza di appello
RLEVATO CHE
1. La società F. s.r.l. ed il socio maggioritario, N.F., impugnarono, per revocazione, ex art. 64 d.lgs. n. 546 del 1992 e ex 395, n. 4) cod. proc civ., la sentenza n. 870/27/2015 della Commissione tributaria regionale della Puglia, deducendo l’errore di fatto per non aver la CTR rilevato che, per ciascuna delle movimentazioni bancarie oggetto di ripresa a tassazione i contribuenti avevano prodotto puntuale ed esauriente giustificazione documentale.
2. La CTR adita in revocazione, con sentenza n.2075/26/15 del 5 ottobre 2015, accolse il ricorso confermando la sentenza di primo grado che aveva annullato gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società e del suo socio maggioritario.
3. Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidandosi a quattro motivi.
4. La società F. s.r.l. ed il socio di maggioranza, N.F., hanno resistito con controricorso.
5. l’Agenzia delle entrate ha presentato memoria ex 380-bis.1 cod. proc. civ.
CONSIDERATO CHE
1. L’Agenzia delle entrate, con il primo mezzo, ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, 4), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non aver la CTR considerato che, nell’atto di appello (cfr. punto 3. doc. 11), l’Ufficio aveva sollevato una preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso per revocazione per assenza dei presupposti di cui all’articolo 64 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, con la quale aveva rilevato che il rimedio della revocazione nel processo tributario è ammesso limitatamente a questioni attinente ad accertamenti di fatto relativi a sentenze che non sono ulteriormente impugnabili mentre, nel caso che ci occupa, la sentenza n. 870/27/13 non era passata in giudicato al momento della presentazione del ricorso per revocazione per cui, pendendo i termini per ricorrere in Cassazione, era quest’ultimo l’unico rimedio esperibile dalla F. s.r.l.
1.2 Con il secondo mezzo ha censurato la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli 64 e 65 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n.546, e 395 cod. proc. civ., in quanto il ricorso per revocazione era chiaramente finalizzato ad ottenere un nuovo esame della statuizione di merito compiuta dalla CTR mancando, nella sostanza, l’errore di fatto o comunque la svista percettiva per la quale azionare il rimedio.
1.3 Con il terzo mezzo ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, 4), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per aver la CTR giudicato nel merito della questione senza comprendere le ragioni poste affondamento dell’atto di appello; in particolare, l’Amministrazione erariale deduce che la CTR aveva ritenuto rilevante, per l’errore percettivo, la documentazione prodotta dalla parte contribuente allegata alla memoria (in quanto documentazione atta a giustificare le movimentazioni bancarie che avevano portato alla determinazione dei ricavi occulti), senza considerare che tale documentazione non aveva alcuna specifica attinenza con le ragioni dell’impugnazione.
1.4 Con il quarto motivo di ricorso ha censurato la sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del lgs. 31 dicembre 1992, n.546, laddove non ha valutato le regole di riparto dell’onere probatorio stabilite dall’articolo 32 della citata normativa -secondo cui è onere del contribuente fornire la prova che le somme verificate in sede di accertamento non sono imputabili ai ricavi – così come evidenziato dall’Ufficio nelle deduzioni dell’atto di appello
2. Il primo mezzo è inammissibile.
2.1. Nessuna omessa pronuncia v’è stata sull’eccezione di inammissibilità del ricorso per revocazione sollevata dall’Agenzia avendo i giudici della CTR pronunziato – accogliendola- sulla domanda di revocazione dando così per implicitamente rigettata la relativa eccezione. Tale eccezione, peraltro, risulta del tutto destituita di fondamento considerata la chiara lettera del codice del processo tributario che, all’art. 64, primo comma, nella dizione ratione temporum vigente [prima delle modifiche apportate dall’art. 9, comma 2, lettera cc) d.lgs. 24 settembre 2015 n. 156], espressamente ammette, contro le sentenze delle commissioni tributarie, l’impugnazione per revocazione di cui all’art. 395, nn. 4) e 5), cod. proc. civ. (cd. revocazione ordinaria). Per le sentenze per le quali è scaduto il termine per la proposizione dell’appello, il secondo comma della stessa disposizione, prevede la cd. revocazione straordinaria, ovvero l’impugnazione per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 6) dell’art. 395 cod. proc. civ.
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
3.1. La sentenza qui impugnata, nel presupposto in fatto che «il giudice a quo non abbia tenuto conto della memoria depositata in data 16/02/2015 e della documentazione in essa allegata», ha ritenuto sussistente la svista percettiva (fase rescindente) pronunziando, poi, nel merito, proprio in base ai quei documenti prima non analizzati ( fase rescissoria) «dal momento che la documentazione in atti giustifica ampiamente le movimentazioni bancarie che hanno portato alla determinazione dei ricavi occulti».
4. Ritiene il Collegio che il giudizio rescindente formulato dalla CTR sia corretto in quanto si è fondato sulla svista percettiva dei giudici della sentenza revocata consistente nell’aver escluso l’esistenza di documenti invece esistenti agli atti di giudizio.
4.1 Tale svista sostanzia senz’altro l’errore revocatorio che, secondo la giurisprudenza indiscussa di questa Corte, consiste nell’affermazione o supposizione – decisiva per il giudizio – dell’esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece in modo indiscutibilmente esclusa o accertata in base al tenore degli atti e documenti di causa sì da sostanziare un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice, non essendo configurabile per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico (cfr. Cass., 30/11/2005, n.26074; Cass., 23/02/2006, n.4015; Cass. 05/03/015, n. 4456; 23/05/2018, n. 1284).
4.2 La sentenza qui impugnata ha centrato l’errore revocatorio nell’esclusione dell’esistenza dei documenti riguardanti il conti personali del socio di maggioranza ed amministratore, invece prodotti dalla società contribuente con la memoria depositata in data 16 febbraio 2015, il che ha determinato la svista tra le risultanze documentali che potevano essere utilizzate per dar modo al contribuente di superare la presunzione posta a favore dall’erario dall’art. 32 del P.R. n. 600 del 1973, e quelle che, in concreto, sono state utilizzate. Ed infatti, nei motivi della decisione, è riportato il passo della decisione oggetto di revocazione, contenuto a pag. 10 di essa, in cui è affermato che «(…) per quanto concerne i conti personali del socio di maggioranza ed amministratore per euro 113.626,00 il conto 732 e per euro 90 il conto 797812 l’unico documento prodotto in proposito dell’appellato peraltro nel corso del giudizio è il contratto di mutuo allegato sotto il numero 30, il che è del tutto insufficiente a superare la presunzione prevista dalla legge posto che non è stato allegato né l’estratto conto né la documentazione relativa alle varie operazioni transitate su tali conti.». L’aver riconosciuto la svista precettiva ha consentito ai giudici della fase di rescissoria di valutare, nel merito, l’estratto conto e la documentazione relativa alle varie operazioni transitate su tali conti, quali allegati alla memoria depositata in data 16 febbraio 2015.
4.3 In sintesi, ritiene il Collegio che la CTR ha correttamente ritenuto che l’affermazione contenuta nella sentenza revocata circa l’inesistenza di ulteriori documenti, oltre al contratto di mutuo, invece allegati dal contribuente, realizza una mera svista di carattere materiale, costituente errore di fatto e, quindi, motivo di revocazione a norma dell’art. 395, n. 4), cod. proc. civ. e non di ricorso per cassazione (cfr. Cass., 28/09/2016, n. 19174; Cass., 30/04/2019, n. 11437, non massimata; Cass., 26/01/2021, n. 1562).
5. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. Alcuna omissione di pronuncia v’è stata. Viceversa, è immediatamente percepibile, dalla lettura della censura, come, sotto l’apparente prospettazione di un error in procedendo, si vuole in realtà introdurre una richiesta di riesame del merito introducendo così «una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito», come tale inammissibile (così, Cass., 04/04/2017, n. 8758).
Ciò in disparte la considerazione che «il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 cod. proc. civ., non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o in applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante, purché restino immutati il petitum (nella specie l’annullamento dell’avviso di accertamento) e la causa petendi (nella specie il difetto di motivazione) e la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa e si basi su elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio ed oggetto di contraddittorio (Cass. 4 febbraio 2016, n. 2209)» (così, Cass. 11/05/2018, n. 11498). Nella specie, non v’è dubbio che la decisione dei giudici è rispondente al thema decidendum, e che i secondi giudici hanno dato risposte corrispondenti alle domande ed eccezioni oggetto di giudizio.
6. Il quarto motivo è inammissibile per le stesse considerazioni espresse sub 5, introducendosi con esso, sotto l’apparente prospettazione di un vizio di legge, un’inammissibile richiesta di riesame del merito (Cass., 04/04/2017, n. 8758 cit.).
7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza dell’Agenzia delle entrate e si liquidano come da dispositivo.
8. Non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo, trattandosi di amministrazione pubblica ammessa a prenotazione a debito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese dei giudizi riuniti che liquida in euro 7.500,00, oltre euro 200,00 per spese, oltre il 15% per accessori di legge.
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