Corte di Cassazione sentenza n. 31615 depositata il 25 ottobre 2022
elusione fiscale – omessa pronuncia
Rilevato che:
1. A seguito di una verifica effettuata relativamente agli anni 2002-2004, venivano evidenziate a carico dell’incorporata una serie di irregolarità correlate ad operazioni immobiliari, da cui scaturivano due avvisi portanti l’accertamento di maggior reddito complessivo. La contribuente impugnava tali avvisi e la CTP, riuniti i ricorsi, li accoglieva.
L’Agenzia proponeva allora appello, e il giudice di secondo grado riteneva il gravame fondato accogliendo i motivi spiegati dall’amministrazione.
Avverso tale decisione la contribuente incorporante propone ricorso in cassazione affidato a undici motivi. L’Agenzia si è costituita a mezzo di controricorso per resistere all’impugnativa.
Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ.
Osserva la contribuente come il giudice d’appello, pur essendogli stata devoluta la questione circa la rilevanza probatoria degli elementi fattuali acquisiti nel corso del processo penale, poi “cristallizzati” nella sentenza di assoluzione, non l’abbia affrontata, omettendo in particolare di valutare tali elementi. In particolare i giudici d’appello, anziché ragionare su fattispecie astratte, avrebbero dovuto stabilire se i fatti, accertati in sede penale, fossero significativi nell’interpretazione dell’art. 37-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n.600.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli 115 e 116, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. In effetti la contribuente evidenzia come a suo parere la CTR abbia negato rilevanza ai sensi dell’art.116, cod. proc. civ., agli elementi probatori acquisiti nel processo penale, omettendone così l’esame ai fini della decisione da assumere.
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis, P.R. n.600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. In proposito la contribuente premette come la CTR abbia ritenuto l’irrilevanza della sentenza penale, in quanto mentre la responsabilità penale presuppone che l’elusione sia inquadrabile in una delle ipotesi tipizzate, quella fiscale prescinde dalla tipizzazione. Ebbene la stessa CTR avrebbe però violato la disposizione epigrafata, non considerando che le contestate operazioni di scissione e il successivo conferimento, sono inquadrabili nella casistica elencata dall’art. 37-bis citato, e precisamente tra le ipotesi sub lett. a) e b) del relativo terzo comma.
4. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis, quinto comma, d.P.R. n.600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. In particolare la CTR non avrebbe rilevato la nullità dell’atto impositivo, in relazione al fatto che la norma epigrafata pone, in capo all’amministrazione, l’obbligo di motivare l’avviso di accertamento in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente.
5. Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis, P.R. n.600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
La CTR non avrebbe considerato che la disposizione, che si assume violata, prevede, come elemento costitutivo, sia l’ottenimento di riduzioni d’imposta o rimborsi, attraverso l’aggiramento di obblighi e divieti previsti dall’ordinamento tributario, sia l’assenza di valide ragioni economiche alla base del comportamento del contribuente, elementi che dunque devono ricorrere congiuntamente.
Nella specie invece, come risulterebbe dagli esiti del processo penale, non solo gli stessi accertatori, come emergeva dalle dichiarazioni rese a verbale dell’udienza penale, non avevano affatto calcolato quale imposta avrebbe pagato la contribuente in assenza delle operazioni poste in essere, ma risultava altresì – aspetto non considerato dalla CTR – che nel periodo in oggetto l’incorporata avrebbe in tal caso pagato € 1.036.125,80, e I.T. non avrebbe versato nulla, mentre a seguito delle prefate operazioni vennero versati € 2.297.904,00.
Né tantomeno erano state esaminate le prove e le giustificazioni circa le valide ragioni economiche delle operazioni, né ancora dimostrata dall’amministrazione finanziaria la sussistenza di fatti o negozi diretti ad aggirare obblighi o divieti.
6. Con il sesto motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo (sussistenza del risparmio d’imposta), in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ.
La CTR non avrebbe considerato che la contribuente aveva sottoposto elementi in base ai quali dalle contestate operazioni non emergeva alcun risparmio d’imposta. Con ciò la CTR avrebbe omesso una motivazione effettiva sul punto, laddove aveva ritenuto insufficienti gli elementi suddetti a giustificare la sentenza di primo grado.
7. Con il settimo motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo (esistenza di valide ragioni economiche), in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ.
La CTR non avrebbe considerato che la contribuente aveva sottoposto ai giudici, con dovizia di argomenti, le ragioni economiche della contestata operazione. La valutazione degli elementi in esame era stata fatta con considerazioni apodittiche e non adeguatamente motivate, privilegiando la ricostruzione offerta dall’amministrazione finanziaria.
8. Con l’ottavo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis, P.R. n.600/1973, nonché dell’art. 2697, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
LA CTR, nel ritenere che l’Ufficio avesse adempiuto al proprio onere probatorio esponendo come le operazioni negoziali abbiano dato luogo ad un beneficio fiscale, “scaricando” le plusvalenze imponibili, mentre sarebbe stato onere della contribuente dimostrare quali fossero i vantaggi non fiscali di siffatte operazioni, avrebbe trascurato che era invece compito dell’amministrazione di fornire la prova dell’esistenza di percorsi fisiologici alternativi, fiscalmente più onerosi, e di argomentare e sostenere il carattere elusivo delle operazioni, non potendosi essa limitare all’affermazione che lo stesso risultato poteva essere conseguito attraverso una diversa formula organizzativa. Solo a quel punto farebbe carico al contribuente di provare le ragioni economiche dell’operazione.
9. Con il nono motivo si denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.
Invero i secondi giudici avevano ritenuto l’applicabilità dell’art. 41- bis, d.P.R. n. 600/1973, che consente l’emissione dell’avviso di accertamento parziale qualora, dalle segnalazioni, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggior ammontare di questo, pur mancando nella specie i fattori di innesco, in quanto l’accertamento fiscale trae origine da elementi rinvenienti dalla risposta alla richiesta di chiarimenti fornita dalla società all’Ufficio.
10. Con il decimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis, P.R. n. 600/1973, nonché degli artt. 3, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, 23 e 53, Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
La CTR ha infatti sostenuto l’applicabilità delle sanzioni amministrative al caso dei comportamenti elusivi, rinvenendo il relativo fondamento nell’art.53 Cost.
A parere della contribuente invece non solo le sanzioni non sono previste in caso di comportamenti meramente elusivi, mancando qualsiasi previsione normativa espressa, e quindi in contrasto con il principio di legalità, ma lo stesso art. 53 Cost. potrebbe valere solo per la vigenza del principio, mentre il diretto ricorso alla norma sarebbe comunque insufficiente se rapportato agli aspetti sanzionatori connessi alle violazioni.
11. Con l’undecimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 6, comma 2, d.lgs. n. 472/1997, e 10, comma 3, l. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art.360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
Ritiene infatti la contribuente che la CTR non avrebbe tenuto conto del fatto che, in ogni caso, le sanzioni andrebbero disapplicate nella specie, per la presenza di obiettive condizioni di incertezza, dimostrata dal lungo iter che ha portato la S.C. a pronunciarsi per la sanzionabilità dell’elusione.
12. I motivi primo, secondo, quinto, sesto, settimo e ottavo possono essere esaminati congiuntamente, attesa la loro connessione.
In effetti con essi la contribuente intende censurare la sentenza di secondo grado laddove la stessa da un lato avrebbe trascurato gli elementi fattuali ritraibili dalla sentenza di assoluzione resa da Tribunale di Grosseto in data 3 maggio 2012; dall’altro censura sempre la sentenza impugnata, laddove la stessa avrebbe trascurato di esaminare gli elementi forniti dalla contribuente stessa e tesi a dimostrare sia l’insussistenza di un risparmio fiscale, sia l’esistenza di valide ragioni economiche a giustificazione delle operazioni intraprese.
Va premesso come effettivamente la natura elusiva (sotto il profilo fiscale) di operazioni poste in essere dal contribuente presuppone l’ottenimento di un risparmio fiscale, o di rimborsi, altrimenti indebito, e l’assenza di ragioni economiche valide, intese come apprezzabilità economico-gestionale dell’operazione (per cui l’operazione prescelta non è quella più economicamente vantaggiosa dal punto di vista economico gestionale, ma quella più complessa e meno remunerativa, ma che consente il perseguimento del suddetto vantaggio, che costituisce dell’operazione stessa se non l’unico, l’essenziale motivazione).
In definitiva l’abuso del diritto, che trova in materia fiscale la sua disciplina nel richiamato art. 37-bis d.P.R. n.600/1973, deve consistere nella strumentalizzazione di negozi leciti per finalità ultronee e non coerenti con il loro fondamento giuridico e quello del loro insieme, ma bensì volte al perseguimento (nel caso della materia fiscale) di benefici realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali (Cass. 30/12/2019, n.34595). Di talché è senz’altro compito del giudice tributario esaminare gli elementi che invece giustificherebbero sia l’assenza di un risparmio fiscale, sia la sussistenza di ragioni economicamente valide.
Orbene le operazioni poste in essere nella specie furono le seguenti: a) scissione 1 del 23.12.2002, società scissa Vignale Immobiliare, beneficiaria I.T.; trasferimento a quest’ultima di terreni in Livorno, Roma e del complesso immobiliare in Afragola; b) scissione 2 del 23.12.2002, società scissa Vignale Immobiliare, società beneficiaria I.T.; trasferimento a quest’ultima del complesso immobiliare in Roma- Casilino, oltre ai finanziamenti collegati; c) acquisizione del 3.2.2003 da Vignale Immobiliare a I.T. delle partecipazioni A. srl e V. srl, “contenitori” degli ipermercati di Livorno ed Aprilia; d) cessione il 23.12.2003 della partecipazione IGD da I.T. a C.L.; e) svalutazione delle partecipazioni in A. srl e V. srl da parte di I.T.; le due società nel corso del 2003 cedono in locazione alla I.T. gli ipermercati; l’esercizio per le due (interamente partecipate) chiude con perdite per oltre un milione di euro ciascuna; f) fusione per incorporazione del 27.12.2004 di A. in I.T., con effetto retrodatato al 1/1/2004; A. il 29/3/2004 aveva ceduto a IGD l’ipermercato di Livorno; g) fusione per incorporazione del 27/12/2004 di V. in I.T., con effetto retrodatato al 1/1/2004; V., il 17/12/2003, aveva ceduto l’ipermecato a LSGI srl.
A fronte delle stesse la sentenza d’appello, in effetti, ne indica l’effetto, consistente nell’aver il contribuente “scaricato” le plusvalenze imponibili su una società in perdita.
In proposito deve precisarsi che l’esame degli elementi probatori ritraibili dalla sentenza penale non va confuso con l’irrilevanza in sé dell’assoluzione emessa dal giudice penale in quanto, come si legge nella sentenza, non si verserebbe in ipotesi tipizzate di elusione, ma in un caso di applicazione della generale clausola antielusiva (aspetto di per sé oggetto di apposito motivo di ricorso).
Ebbene la pronuncia d’appello ritiene assolto l’onere probatorio da parte dell’ufficio.
Per vero che l’effetto delle operazioni sia stato quello di consentire l’annullamento fiscale delle plusvalenze è pacifico, ed a fronte di ciò sorgeva in capo alla società ricorrente l’onere di provare l’effettiva sussistenza di valide ragioni economiche extra-fiscali delle operazioni stesse.
Orbene la mera allegazione della volontà di concentrare l’indebitamento derivante dalle operazioni immobiliari sulle società che in effetti avrebbero utilizzato gli immobili commerciali, e che quindi avrebbero disposto di flussi finanziari idonei a farvi fronte, non pare in proposito sufficiente ad assolvere l’onere anzidetto, tanto più in quanto specificamente l’Agenzia aveva validamente sconfessato la sussistenza di tale finalità. Si legge infatti al § 7 dell’avviso di accertamento come gli immobili siano solamente transitati all’interno di I.T., smentendosi così l’effetto di cui sopra. In specie, gli immobili furono in effetti e definitivamente trasferiti poi in favore di altri soggetti (K.P., S.L., MPS Leasing, I.G. Distribuzione ed altri), rimanendo nel gruppo il solo immobile di Afragola, peraltro poi ceduto il 28/2/2005 a MPS Leasing che poi la concesse in locazione finanziaria a Neapolis 1799. E che poi anche tale immobile dovesse rimanere all’interno del gruppo solo in via temporanea emerge peraltro già dal preliminare di cessione del 2/12/2004.
Va poi rilevata la tempistica delle operazioni sociali, siccome superiormente rassegnata, nonché la circostanza, del pari emergente dall’avviso di accertamento, secondo cui la cessione delle partecipazioni detenute in A. e V. s.r.l., come ricordato del 3/2/2003, era stata preceduta da preliminare di vendita con LSGI Italia dell’immobile in Aprilia, datato 28/1/2003. Vieppiù poi l’effettiva cessione del bene, avvenuta con atto del 17/12/2003, prendeva effetto dal 1/1/2004, garantendo così la svalutazione della partecipazione nel bilancio al 31/12/2003 e consentendo di perfezionare la successiva fusione.
Risulta così ampiamente dimostrato, da parte dell’Agenzia, l’infondatezza della sussistenza delle, peraltro solo allegate, valide ragioni economiche.
L’indubbia complessità dell’operazione, non accompagnata da un’effettiva giustificazione economica extra-fiscale, la cui prova per quanto sopra è dunque fallita, qualifica le operazioni sociali straordinarie sopra descritte siccome costituenti abuso del diritto nel senso anche qui già illustrato, per cui il conseguimento del risparmio fiscale, nella specie la compensazione fra perdite e plusvalenza, non trova altra giustificazione se non la volontà elusiva, irrilevanti poi gli effetti eventualmente derivanti da un differente assetto che era nella possibilità del contribuente di porre in essere.
Ciò determina, fra l’altro, la differenza sostanziale dell’ipotesi in esame rispetto a quella oggetto di altra pronuncia, in cui un’operazione di riorganizzazione societaria era stata ritenuta priva delle caratteristiche di abusività (questa Cote ha infatti ritenuto non abusiva l’operazione di riorganizzazione societaria, realizzata mediante la cessione ai soci della partecipazione di maggioranza posseduta in altra società e cessione a quest’ultima di un ramo di azienda, con esclusione di un immobile rimasto nella disponibilità dei soci; Cass. 14/01/2015, n. 439).
Infine il diverso piano su cui si volge la giurisdizione penale rende sotto tal profilo, come noto, non vincolanti né rilevanti le statuizioni in ordine all’assenza di responsabilità penale (che tra l’altro, come già precisato, presuppone nel caso di specie la riconducibilità dell’abuso in specifiche condotte tipizzate) per i surriferiti fatti, rispetto alla verifica della rilevanza fiscale della condotta stessa, come visto rientrante in quella genericamente abusiva.
13. Da quanto precede emerge l’assorbimento dei motivi terzo e quarto.
14. Con riferimento al nono motivo di ricorso, sebbene effettivamente il giudice d’appello non si sia esplicitamente pronunciato circa la validità dell’accertamento sotto il profilo dell’art. 41-bis del d.P.R. n. 600/1973, deve escludersi il denunciato vizio di omessa pronuncia, essendo la decisione – che decide per la legittimità dell’operato dell’Agenzia – incompatibile con la statuizione di accoglimento del motivo di illegittimità dell’operato anche sotto tale profilo (in tal senso Cass. 10/07/2020, n. 24953).
15. Con riferimento, infine, ai motivi decimo ed undecimo, deve affermarsi come le sanzioni amministrative fiscali ben possano trovare il loro fondamento in un generico (id est non tipizzato) comportamento abusivo, come ricorre nel caso di specie.
In effetti l’abusività del comportamento viene come detto in rilievo a mente dell’art. 37-bis d.P.R. n. 600/1973, e volta che siano verificati i relativi presupposti, consistenti nell’assenza di valide
ragioni economiche, nell’aggiramento di obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e nell’ottenimento di un vantaggio fiscale, a quel punto indebito, la responsabilità da illecito amministrativo è senz’altro configurata.
In proposito valga la seguente “in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che trova fondamento nell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo il quale l’Amministrazione finanziaria disconosce e dichiara non opponibili le operazioni e gli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti solo a conseguire vantaggi fiscali, in relazione ai quali gli organi accertatori emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 471 del 1997, comminate dalla legge per il solo fatto di avere il contribuente indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato, rendendo così evidente come il legislatore non ritenga gli atti elusivi quale criterio scriminante per l’applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale conseguenza dell’esito dell’accertamento volto a contrastare il fenomeno dell’abuso del diritto” (Cass.21/07/2020, 15533).
16. Da tutto quanto precede discende l’integrale rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese, che vengono determinate come in dispositivo.
17. Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che determina in € 15.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.