Corte di Cassazione sentenza n. 31654 depositata il 4 dicembre 2019
fusione e scissione – responsabilità in solido del cessionario d’azienda
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 28/1/2011 Equitalia Polis s.p.a. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna L.I. s.r.l., B.T. s.r.l. e C. R.E. s.r.l. chiedendo, quanto all’atto di conferimento del 27/2/2009, in principalità di accertare il carattere assolutamente simulato dell’atto a rogito Notaio G. del 27/2/2009 con cui L.I. s.r.l., aveva conferito la propria azienda in B.T. s.r.l. e conseguentemente il diritto di agire esecutivamente su tali beni conferiti; in subordine di dichiarare inefficace ex art.2901 cod.civ. lo stesso negozio; in ulteriore subordine, di condannare le convenute al risarcimento del danno.
Quanto alla successiva scissione di B.T. s.r.l. del 10/2/2010 a rogito Notaio G., Equitalia Polis ha parimenti richiesto in principalità di accertare il carattere assolutamente simulato dell’atto di scissione e conseguentemente il diritto di agire esecutivamente sui beni che ne costituivano oggetto; in subordine di dichiarare inefficace ex art.2901 cod.civ. lo stesso negozio; in ulteriore subordine, di condannare le convenute al risarcimento del danno.
Equitalia Polis si è lamentata del fatto che L.I., gravata da debiti tributari per oltre cinque milioni di euro sulla base di accertamenti definitivi, aveva posto in essere atti distrattivi del proprio patrimonio, in particolare con riferimento all’unico cespite apprezzabile, ossia l’immobile oggetto di leasing traslativo del valore di circa € 750.000,00, attraverso le predette operazioni.
Le tre società convenute si sono costituite, chiedendo il rigetto della domanda dell’attrice e Equitalia Centro è subentrata quale incorporante a Equitalia Polis.
Con sentenza del 20/1/2014 il Tribunale di Bologna ha accolto le domande di revocatoria, conseguentemente dichiarando inefficaci ex art.2901 cod.civ. nei confronti di parte attrice gli atti a rogito Notaio G. del 27/2/2009, rep.79784/16364, di conferimento dell’azienda di L.I. in B.T. e del 4/2/2010, rep.81336/17309, di scissione parziale di B.T., condannando le parti convenute in solido alla rifusione delle spese di lite di parte attrice.
2. C. R.E. s.r.l. ha proposto appello contro la sentenza di primo grado, a cui ha resistito l’appellata Equitalia Centro, nella contumacia delle altre due parti appellate
La Corte di appello di Bologna con sentenza del 17/3/2015 ex art.281 sexies cod.proc.civ., ha rigettato l’appello, confermando integralmente la sentenza di primo grado e condannando l’appellante alla rifusione delle spese dell’appellata Equitalia Centro.
3. Avverso la predetta sentenza del 17/3/2015, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione C. R.E. s.r.l. con atto notificato il 15/10/2015, svolgendo otto motivi.
Con atto notificato il 30/11/2015 ha proposto controricorso Equitalia Centro, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
Gli altri soggetti intimati, L.I. e B.T., non si sono costituiti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art.360, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2901 cod.civ. con riferimento all’insussistenza dell’eventus damni.
1.1. La ricorrente assume che L.I. aveva conferito in B.T., divenendone socia al 90%, la propria azienda comprensiva di attivo e passivo, previa perizia asseverata, mai contestata; per effetto di tale operazione B.T. era divenuta responsabile solidalmente dei debiti di L.I.; l’operazione, quindi, era totalmente neutra; Equitalia avrebbe potuto soddisfarsi sul patrimonio di L.I., pignorando le quote di B.T., sia sul patrimonio di B.T.; il conferimento oggetto di revocatoria comprendeva il diritto di riscatto dell’immobile dalla terza proprietaria; l’eventuale riscatto da parte di L.I. non avrebbe comunque aumentato il patrimonio sociale.
1.2. Ai sensi dell’art.2901 cod.civ. il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni.
Occorre quindi che l’atto da revocare sia pregiudizievole alle ragioni del creditore.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria (cd. eventus damni) ricorre non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito; ne consegue che grava sul creditore l’onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (Sez.3, 19/07/2018, n. 19207).
Nello stesso senso si colloca la pronuncia della Sez. 2, n. 1902 del 03/02/2015, Rv. 634175 – 01, che puntualizza che, non essendo richiesta, a fondamento dell’azione, la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe sul convenuto che eccepisca, per questo motivo, la mancanza dell’eventus damni (Sez. 3, n. 7767 del 29/03/2007, Rv. 596081 – 01; Sez. 3, n. 19963 del 14/10/2005, Rv. 584470 – 01)
1.3. La ricorrente parte dal presupposto, quale tassello fondante dei propri ragionamenti, che al momento del conferimento aziendale il patrimonio di L.I. non comprendeva alcun diritto reale sul bene immobile oggetto di locazione finanziaria, ma solo il diritto, obbligatorio e personale, di riscattare tale bene secondo le clausole del contratto.
Il diritto di riscatto, pacificamente, è stato esercitato da B.T. dopo il conferimento aziendale; non vede quindi la ricorrente come la cessione di azienda possa aver determinato una maggior difficoltà per il creditore Equitalia nell’agire a soddisfacimento dei propri crediti. Il bene immobile oggetto del contratto di leasing non era mai stato in proprietà di Lamda e questa ha trasferito a B.T. il diritto di riscattarlo. Se non fosse avvenuto il riscatto, Equitalia non avrebbe potuto agire esecutivamente sul bene, in difetto di inclusione del diritto reale sull’immobile nel patrimonio della debitrice.
Contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, il conferimento non avrebbe determinato almeno nell’immediato, alcuna variazione in termini di garanzia patrimoniale e di concrete possibilità di tutela del credito, perché in precedenza Equitalia non poteva agire esecutivamente sull’immobile.
1.4. La ricorrente nel suo percorso argomentativo non tiene però conto del fatto, decisivo, che Equitalia, nel caso in cui il proprio debitore L.I. fosse rimasto inerte nell’esercitare il proprio diritto al riscatto dell’immobile in locazione finanziaria, avendo già assolto le obbligazioni di pagamento delle rate del contratto, avrebbe potuto agire in surrogatoria ex art.2900 cod.civ. per far valere il diritto al riscatto dell’immobile, così avvalendosi di specifico strumento di rafforzamento della garanzia patrimoniale.
Non è quindi vero che il conferimento dell’azienda non ha depauperato di alcun cespite il patrimonio della debitrice, che comprendeva il diritto di riscatto, diritto potestativo che la creditrice ben avrebbe potuto azionare sostitutivamente utendo juribus della debitrice inerte, a condizioni particolarmente vantaggiose, essendo stato completato il pagamento dei canoni dei locazioni finanziaria.
1.5. In secondo luogo, la ricorrente lamenta nella sentenza impugnata il mancato debito approfondimento del tema della mancanza di un effetto pregiudizievole alle ragioni del creditore ex art.2901 cod.civ. con riferimento agli effetti dell’atto di conferimento di azienda da parte di L.I..
La ricorrente sostiene che, lungi dal determinare un peggioramento della possibilità di realizzare il credito di Equitalia, l’operazione posta in essere con l’atto di conferimento di azienda aveva significativamente ampliato l’ambito della garanzia a disposizione del creditore.
In primo luogo, Equitalia avrebbe potuto agire esecutivamente ex art.2471 cod.civ. sulle quote (90% del capitale) della società B.T. attribuite a L.I. in forza dell’atto di conferimento aziendale, il cui valore scontava necessariamente in positivo l’appartenenza a B.T. del cespite immobiliare oggetto di leasing da questa riscattato.
La censura non coglie il segno, essendo evidentemente diverso il valore di una quota di partecipazione societaria, collegato intrinsecamente al patrimonio netto della società e al suo andamento economico-finanziario, dal valore oggettivo di un cespite immobiliare, oltretutto molto più facilmente suscettibile di liquidazione e collocazione sul mercato.
Si è detto in precedenza che il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria (cd. eventus damni) ricorre non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l’onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (Sez.3, 19/07/2018, n. 19207; Sez. 6, 10/02/2015, n. 2530; Sez. 3, 04/07/2006, n. 15265; Sez. 3, 27/10/2004, n. 20813).
La ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che il valore della quota di partecipazione in B.T. s.r.l. non era inferiore a quello dell’immobile, ma non lo ha fatto, né deduce, tantomeno specificamente, di averlo fatto.
1.7. In terzo luogo, la ricorrente sostiene che anche B.T., quale cessionaria dell’azienda conferita, doveva rispondere dei debiti dell’azienda ceduta se risultanti dai libri contabili obbligatori, ex art.2560, comma 2, cod.civ.
Occorreva poi considerare l’art.14 del d.lgs.472 del 18/12/1997, secondo il quale il cessionario d’azienda è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente ed entro i limiti del valore dell’azienda o del ramo d’azienda, per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.
L’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza.
L’ultimo comma del predetto art.14, introdotto peraltro nel 2015, estende l’applicabilità delle disposizioni dell’articolo, in quanto compatibili, a tutte le ipotesi di trasferimento di azienda, ivi compreso il conferimento.
1.8. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez.5, 06/12/2018, n.31610; Sez. 6 – 5, n. 9219 del 10/04/2017, Rv. 643953 – 01; Sez. 5, n. 17264 del 13/07/2017, Rv. 644899 – 01) in tema di cessione di azienda, l’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, quanto alla responsabilità del cessionario per le obbligazioni tributarie, introduce una disciplina speciale rispetto all’art. 2560, comma 2, cod.civ., sulla quale prevale, pertanto, per i profili oggetto di specifica regolamentazione, che prevede un regime distinto di detta responsabilità in ragione della conformità o meno della cessione alla legge.
A tal proposito si è osservato che il d.lgs. n. 472 del 1997, art. 14, introducendo misure antielusive a tutela dei crediti tributari, è norma speciale rispetto all’art. 2560 cod.civ., comma 2, diretta ad evitare, tramite la previsione della responsabilità, solidale e sussidiaria, del cessionario per i debiti tributari gravanti sul cedente, che, attraverso il trasferimento dell’azienda, sia dispersa la garanzia patrimoniale del contribuente in pregiudizio dell’interesse pubblico, e per far ciò estende la responsabilità solidale e sussidiaria del cessionario anche alle imposte ed alle sanzioni riferibili alle violazioni commesse dal cedente nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché alle imposte ed alle sanzioni già irrogate e contestate nel medesimo periodo, anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore, sempre che risultino dagli atti dell’Ufficio; che, pertanto, nell’ipotesi di cessione conforme a legge (commi 1, 2 e 3) ed in base ad un criterio incentivante volto a premiare la diligenza nell’assumere, prima della conclusione del negozio traslativo, informazioni sulla posizione debitoria del cedente, la responsabilità ha carattere sussidiario, con beneficium excussionis, ed è limitata nel quantum (entro il valore della cessione) e nell’oggetto, con riferimento alle imposte e sanzioni relative a violazioni commesse dal cedente nel triennio prima del contratto ovvero anche anteriormente, se già irrogate o contestate nel triennio, ovvero entro i limiti del debito risultante, alla data del contratto, dagli atti degli uffici finanziari e degli enti preposti all’accertamento dei tributi.
1.9. La controricorrente prende l’abbrivio dalla normativa speciale sopra richiamata per delineare un aggravio delle condizioni di realizzazione del proprio credito nei confronti della società conferitaria.
Va annotato, però, che il comma 5 ter dell’art.14 [aggiunto dall’articolo 16, comma 1, lettera g), del d.lgs. 24/9/2015, n. 158] estende le disposizioni di cui alla normativa speciale tributaria, in quanto compatibili, a tutte le ipotesi di trasferimento di azienda, ivi compreso il conferimento, con la decorrenza indicata nell’ articolo 32, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 158 del 2015 , come modificato dall’ articolo 1, comma 133, della legge 28/12/2015, n. 208, ossia dal 1/1/2016.
Tale norma, in vista della dichiarata decorrenza successiva, non può essere considerata meramente interpretativa e quindi non appare applicabile ratione temporis alla presente controversia.
Di conseguenza il ragionamento, sviluppato da Equitalia in controricorso circa la maggior gravosità della situazione del creditore tributario rispetto alla normale disciplina del conferimento di azienda, in quanto desumibile dalla disciplina sopra ricordata, riceve smentita dalla modifica normativa, di natura innovativa, sopra citata.
1.10. E’ pur vero, inoltre, che nella sentenza impugnata non viene specificamente esaminato il tema della responsabilità di B.T. per i debiti dell’azienda conferita, sia nella prospettiva dell’art.2560 cod.civ., sia in quella della normativa speciale tributaria sopra ricordata, che dà rilievo al momento di commissione delle violazioni e a quello del loro accertamento.
Tuttavia occorre tener presente che in tema di revocatoria degli atti dispositivi posti in essere dal debitore l’art. 2901 cod.civ. richiede che essi si traducano in una menomazione del patrimonio del disponente, così da pregiudicare la facoltà del creditore di soddisfarsi sul medesimo.
La norma in questione, però, non esige, quale ulteriore requisito, anche l’impossibilità o difficoltà del creditore di conseguire aliunde la prestazione, avvalendosi di rapporti con soggetti diversi. Pertanto, nel caso di solidarietà passiva, inclusa quella discendente da fideiussione senza beneficio di escussione, l’eventus damni va accertato con esclusivo riferimento alla situazione patrimoniale del debitore convenuto con quella azione, non rilevando l’indagine sull’eventuale solvibilità dei coobbligati (Sez. 2, n. 6486 del 22/03/2011,Rv. 617517 – 01; Sez. 1, 31/05/2007, n. 12770; Sez. 1, 21/11/1990, n. 11251).
Deve quindi ritenersi irrilevante l’eventuale responsabilità solidale, in tutto o in parte della società conferitaria, nei cui confronti comunque la creditrice avrebbe dovuto preventivamente procurarsi un titolo esecutivo, per eliminare il pregiudizio negativo ingenerato dall’uscita del cespite dal patrimonio di L.I. e della conseguente maggior difficoltà nella realizzazione del credito in precedenza ravvisata.
2. Il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente.
2.1. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.3 e 5, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt.2901 e 2729 cod.civ. e insufficiente motivazione e insussistenza dell’elemento soggettivo.
La presunta consapevolezza del pregiudizio da parte dell’acquirente (ossia la società conferitaria) è stata desunta dalla stretta contiguità temporale tra la costituzione di B.T. e il conferimento da parte di Lamda, per vero avvenuto diversi mesi dopo (e cioè: in data 7/2/2009, rispetto alla costituzione della società in data 26/11/2008).
La ricorrente osserva che la Corte di appello non ha indicato l’intervallo temporale congruo per escludere la ravvisata presunzione; che Equitalia aveva fondato tutta la sua tesi sull’intenzione di L.I. di occultare i propri beni, per vero in quel momento in proprietà di soggetti terzi, occultamento del tutto insussistente; che mancava poi qualsiasi collegamento societario o commistione di soci fra L.I. e B.T. al momento dell’operazione.
2.2. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art.360,n.3 e 5, cod.proc.civ., le ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2901, 1391 e 2697 cod.civ. e omesso esame di fatto decisivo controverso tra le parti, con particolare riferimento alla consapevolezza dell’elemento soggettivo in capo al terzo B.T., denunciata con specifico motivo di appello da parte della ricorrente.
Il requisito della scientia damni doveva essere accertato con riferimento alla persona fisica che rappresentava la persona giuridica e non poteva esser ricavato dall’esercizio del diritto di riscatto dell’immobile, che al contrario aveva reso possibile ad Equitalia di aggredire esecutivamente il bene
2.3. L’art. 2901, comma 1, n.2. cod.civ. richiede per l’esperimento della azione revocatoria ordinaria per gli atti a titolo oneroso, che il terzo fosse consapevole del pregiudizio (scientia damni) e, nel solo caso di atto anteriore al sorgere del credito (che nella specie non ricorre), fosse partecipe della dolosa preordinazione (partecipatio fraudis).
Nella specie l’atto di conferimento di azienda nel capitale sociale di una società a responsabilità limitata costituisce evidentemente un atto a titolo oneroso, in forza del quale il conferente riceve l’attribuzione di una quota del capitale della società beneficiaria.
In tal senso, espressamente, si è pronunciata questa Corte affermando che il conferimento in s.n.c. di un’azienda non era a titolo gratuito, in quanto il conferimento di un bene in società è un atto per sua natura a titolo oneroso, commisurandosi sulla base di esso la partecipazione sociale del socio conferente, e, quindi, i suoi diritti patrimoniali (Sez.5, 20/11/2001, n. 14581)
Del resto il Testo Unico dell’imposta di registro, d.p.r.26/04/1986 n. 131, all’art. 50, prevede che per gli atti costitutivi e per gli aumenti di capitale o di patrimonio di società o di enti, diversi dalle società, compresi i consorzi, le associazioni e le altre organizzazioni di persone o di beni con o senza personalità giuridica aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole, con conferimento di immobili o diritti reali immobiliari, la base imponibile è costituita dal valore dei beni o diritti conferiti al netto delle passività e degli oneri accollati alle società, enti, consorzi, associazioni e altre organizzazioni commerciali o agricole, nonché delle spese e degli oneri inerenti alla costituzione o all’esecuzione dell’aumento calcolati forfettariamente nella misura del 2 % del valore dichiarato.
2.4. Secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di azione revocatoria ordinaria, quando l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per il suo esercizio è la conoscenza che il debitore abbia del pregiudizio delle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l’esistenza di analoga consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore; il terzo deve essere a conoscenza che il proprio dante causa è vincolato verso creditori e che l’atto posto in essere arreca pregiudizio alla garanzia patrimoniale del disponente. La relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato (Sez.3. 04/10/2018, n. 24182; Sez. 1, 27/09/2018, n. 23326; Sez.3, 09/03/2018, n. 5658).
2.5. La sentenza impugnata nell’affrontare il tema delle ragioni in forza del quale la società conferitaria dell’azienda e il suo legale rappresentante C. N. dovesse essere a conoscenza dei debiti gravanti su L.I., al punto 16) di pagina 8, ha desunto il dato dalla stretta vicinanza temporale (tre mesi circa) tra la costituzione di B.T. s.r.l. a novembre del 2008 e il conferimento di azienda e aumento di capitale del febbraio 2009, pur se in difetto di qualsiasi rapporto dimostrato fra Cerra e B.T. e la L.I. e la sua compagine societaria.
Non si vede peraltro come B.T. e il suo legale rappresentante potessero ignorare la situazione debitoria di L.I. sulla base delle scritture contabili dell’azienda da questa conferita dalle quali inevitabilmente doveva risultare il debito con Equitalia.
3. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.3 e 5, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt.2901,2503 e 2502 bis cod.civ. e omesso esame di fatto decisivo controverso tra le parti, con particolare riferimento alla irrevocabilità dell’atto di scissione e all’inammissibilità dell’azione revocatoria relativa ad atti di scissione, puntualmente segnata con apposito motivo di appello.
3.1. Ai sensi degli artt.2506 ter, 2503 e 2502 bis cod.civ il creditore della società scissa per contestare l’operazione deve, a pena di decadenza, opporsi alla scissione nel termine di 60 giorni dal deposito della deliberazione di scissione nel Registro delle imprese.
La Corte di appello aveva richiamato un precedente giurisprudenziale che ammetteva l’azione revocatoria, riferendosi però a quella fallimentare, assoggettata a diversi presupposti rispetto a quella ordinaria.
Le norme sulla scissione – secondo la ricorrente – disegnano un sistema chiuso e speciale e, una volta decorso il termine per l’opposizione, ai creditori della scissa resta solo da far valere la responsabilità solidale delle società beneficiarie.
3.2. L’art.2506 ter cod.civ estende alla scissione gli articoli 2501 -septies, 2502, 2502-bis, 2503, 2503-bis, 2504, 2504-ter, 2504 -quater, 2505 primo e secondo comma, 2505-bis e 2505-ter, specificando che tutti i riferimenti alla fusione contenuti in detti articoli s’intendono riferiti anche alla scissione.
L’art.2503 prevede che la fusione (e quindi la scissione) possa essere attuata solo dopo sessanta giorni dall’ultima delle iscrizioni previste dall’articolo 2502-bis, salvo che consti il consenso dei creditori delle società che vi partecipano anteriori all’iscrizione o alla pubblicazione prevista nel terzo comma dell’articolo 2501-ter, o il pagamento dei creditori che non hanno dato il consenso, ovvero il deposito delle somme corrispondenti presso una banca, salvo che la relazione di cui all’articolo 2501 -sexies sia redatta, per tutte le società partecipanti alla fusione, da un’unica società di revisione la quale asseveri, sotto la propria responsabilità ai sensi del sesto comma dell’articolo 2501-sexies, che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti alla fusione rende non necessarie garanzie a tutela dei suddetti creditori.
Se non ricorre alcuna di tali eccezioni, i creditori indicati al comma precedente possono, nel suddetto termine di sessanta giorni fare opposizione. Si applica in tal caso l’ultimo comma dell’articolo 2445.
Ai sensi del richiamato art. 2502 bis la deliberazione di fusione o scissione delle società previste nei capi V, VI e VII deve essere depositata per l’iscrizione nel registro delle imprese, insieme con i documenti indicati nell’articolo 2501-septies. Si applica l’articolo 2436.
La decisione di fusione delle società previste nei capi II, III e IV deve essere depositata per l’iscrizione nell’ufficio del registro delle imprese, insieme con i documenti indicati nell’articolo 2501- septies; il deposito va effettuato a norma dell’articolo 2436 se la società risultante dalla fusione o quella incorporante è regolata dai capi V, VI, VII.
Il creditore che contesti l’operazione deve quindi proporre opposizione nel termine previsto dalla legge.
In difetto ex art.2504 quater cod.civ., eseguite le iscrizioni dell’atto di fusione a norma del secondo comma dell’articolo 2504, l’invalidità dell’atto di fusione non può essere pronunciata, salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci o ai terzi danneggiati dalla fusione.
3.3. La ricorrente sostiene (pag. 36, penultimo capoverso) di aver proposto un motivo di appello sul punto, ignorato dalla Corte territoriale (che sarebbe quindi incorsa in omessa pronuncia: pag. 41, secondo capoverso), che in effetti non ne dà atto nel contesto della sentenza impugnata; la ricorrente tuttavia non indica il tenore specifico del motivo e la sua collocazione negli atti processuali.
La questione appare quindi inammissibilmente proposta per la prima volta in questa sede.
3.4. In ogni caso, la tesi di parte ricorrente non può essere condivisa laddove, invocando il conforto di dottrina e giurisprudenza di merito, non maggioritarie, pretende di ricavare sistematicamente dalla norma, che esclude solo una dichiarazione di invalidità (per nullità o annullamento) dell’atto di fusione o scissione, l’inesperibilità dell’azione revocatoria ex art.2901 cod.civ., che, come è noto, non determina alcuna invalidità dell’atto ma la sua semplice inefficacia relativa rendendolo in opponibile al creditore pregiudicato.
La regola in questione, introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 15 del d.lgs. 16/01/1991 n. 22, in attuazione delle direttive 09/10/1978 n. 855 – 1978/855/CEE (art.22) e 17/12/1982 n. 891 1982/891/CEE (art.19) presuppone una fusione o scissione efficace, supera la distinzione fra nullità e annullabilità, accomunate nella nozione di invalidità, e mira ad evitare la demolizione dell’operazione di trasformazione e la reviviscenza delle società originarie, ma appare pienamente compatibile con la natura e gli effetti dell’azione revocatoria, strumento di conservazione della garanzia patrimoniale, che agisce sul registro della mera inopponibilità dell’atto al creditore pregiudicato.
In difetto di adeguato fondamento normativo – da escludersi alla luce del riferimento alla categoria dell’invalidità e non a quelle dell’inefficacia e dell’inopponibilità – non può quindi ritenersi che l’opposizione che compete ai creditori sia un rimedio sostitutivo e necessario e non solo aggiuntivo rispetto all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria, di cui sussistano i presupposti.
Altro discorso, ovviamente, è quella della configurabilità di un pregiudizio derivante dall’atto di scissione, alla luce del disposto dell’art.2504 bis, comma 1, cod.civ., in forza del quale la società che risulta dalla fusione (o scissione) o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione o scissione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori.
4. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.3 e 5, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art.2901 cod.civ. e insufficiente contraddittoria motivazione su fatti decisivi con riferimento all’insussistenza di un pregiudizio.
4.1. La ricorrente sostiene che la scissione di B.T. non ha determinato l’allontanamento dell’immobile da L.I., che non ne era proprietaria e ribadisce che l’immobile che era stato riscattato da B.T.; neppure la scissione di B.T. ha determinato un trasferimento dell’immobile; in ogni caso l’immobile era rimasto a garanzia dei debiti della società scissa ex art.2504 bis cod.civ., trattandosi di vicenda evolutivo-modificativa soggettiva, senza vicenda circolatoria.
Inoltre l’atto di scissione e il contratto di locazione risalgono a un anno dopo il conferimento da parte di L.I. e non avevano affatto carattere repentino.
Mancherebbe poi qualsiasi pregiudizio, tenuto conto della responsabilità solidale gravante sulle società risultanti dalla scissione e della specifica regola in tema tributario di cui all’art.173, comma 13, TUIR.
4.2. La Corte territoriale ha ravvisato il pregiudizio scaturente dall’atto di scissione, senza considerare specificamente la responsabilità incombente sulla società risultante dalla scissione ex art.2506, quater, comma 3, cod.civ., in forza del quale ciascuna società risultante dalla scissione è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico.
A tal proposito è stato affermato che ogni società derivante dalla scissione può essere chiamata a rispondere solidalmente del passivo consolidato in sede di procedura fallimentare, rispondendone per intero solo la società cui il debito è trasferito o mantenuto, mentre le altre sono responsabili nei limiti della quota di patrimonio netto di loro spettanza come determinata al momento dell’avvenuta scissione. Nel caso di scissione di società, l’art. 2504 decies, comma 2, cod.civ. (applicabile ratione temporis, oggi art. 2506 quater, comma 3, cod.civ.) va interpretato nel senso che la società scissa risponde in via solidale, unitamente alla società di nuova costituzione, beneficiaria di una parte del patrimonio originario, del debito a quest’ultima trasferito o mantenuto. Tali debitrici solidali, peraltro, sono tenute con modalità diverse: da un lato, infatti, la responsabilità della società scissa, presupponendo che il credito da far valere sia rimasto insoddisfatto, postula solo la previa costituzione in mora della società beneficiaria (cd. beneficium ordinis), non anche la sua preventiva escussione; dall’altro, esclusivamente la società cui il debito è trasferito o mantenuto risponde dell’intero debito, mentre la società scissa risponde nei limiti della quota di patrimonio netto rimastale al momento della scissione e, dunque, disponibile per il soddisfacimento dei creditori, atteso che la suddetta disposizione tende a mantenere integre le garanzie dei creditori sociali per l’ipotesi di scissione, non anche ad accrescerle (Sez.1, 07/03/2016, n. 4455).
Inoltre, secondo la giurisprudenza di questa Corte, rilevante perché si verte in tema di debiti tributari, in tema di scissione parziale, per i debiti fiscali della società scissa relativi a periodi d’imposta anteriori alla data dalla quale l’operazione produce effetti, rispondono, ai sensi dell’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997 e dell’art. 173, comma 12, del d.P.R. n. 917 del 1986 – i quali prevalgono, per il principio di specialità, sull’art. 2506-quater, comma 3, cod.civ. – solidalmente ed illimitatamente tutte le società partecipanti alla scissione, anche in forza del principio della unitarietà dell’imposta, senza che tale disciplina violi il criterio di adeguatezza e proporzionalità, stante l’esigenza di maggiore tutela riconosciuta all’amministrazione finanziaria per l’adempimento delle obbligazioni tributarie, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 90 del 2018 (Sez. 5, 06/12/2018, n. 31591).
I commi 12 e 13 del citato art.173 del Testo Unico delle imposte dirette prevedono infatti che gli obblighi tributari della società scissa riferibili a periodi di imposta anteriori alla data dalla quale l’operazione ha effetto sono adempiuti in caso di scissione parziale dalla stessa società scissa o trasferiti, in caso di scissione totale, alla società beneficiaria appositamente designata nell’atto di scissione. Inoltre i controlli, gli accertamenti e ogni altro procedimento relativo ai suddetti obblighi sono svolti nei confronti della società scissa o, nel caso di scissione totale, di quella appositamente designata, ferma restando la competenza dell’ufficio dell’Agenzia delle entrate della società scissa. Se la designazione è omessa, si considera designata la beneficiaria nominata per prima nell’atto di scissione. Le altre società beneficiarie sono responsabili in solido per le imposte, le sanzioni pecuniarie, gli interessi e ogni altro debito e anche nei loro confronti possono essere adottati i provvedimenti cautelari previsti dalla legge. Le società coobbligate hanno facoltà di partecipare ai suddetti procedimenti e di prendere cognizione dei relativi atti, senza oneri di avvisi o di altri adempimenti per l’Amministrazione.
4.3. E’ tuttavia dirimente per la confutazione della censura quanto osservato in precedenza nel § 1.10.
Gli atti dispositivi posti in essere dal debitore devono solamente determinare una menomazione del patrimonio del disponente, così da pregiudicare la facoltà del creditore di soddisfarsi sul medesimo, senza la necessità del ricorrere di un ulteriore requisito, ossia l’impossibilità o difficoltà del creditore di conseguire aliunde la prestazione, avvalendosi di rapporti con soggetti diversi.
Deve quindi ritenersi irrilevante l’eventuale responsabilità solidale delle società risultanti dalla scissione, per eliminare il pregiudizio negativo ingenerato dall’uscita del cespite dal patrimonio di L.I. e della conseguente maggior difficoltà nella realizzazione del credito in precedenza ravvisata.
5. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex art.360, n.3 e 5, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt.2901, 1391 e 2697 cod.civ. e e insufficiente contraddittoria motivazione su fatti decisivi con riferimento all’insussistenza della scientia damni.
5.1. Sarebbe del tutto inconferente la motivazione addotta dalla Corte di appello basata sull’identità fisica dell’amministratore unico per ritenere che C. possedesse tutti i dati conoscitivi riferibili alle operazioni poste in essere da L.I. e B.T..
Era ovvio che amministratori e soci della società scissa fossero gli stessi della società beneficiaria ma non vi era mai stato alcun collegamento fra B.T. e L.I..
5.2. Il motivo è palesemente infondato perché l’amministratore di C. coincidente con quello di B.T. non poteva ignorare quanto noto alla società scissa, che a sua volta disponeva di tutti i dati dell’azienda di L.I. ad essa conferita.
6. Con il settimo motivo di ricorso, la ricorrente sostiene che il comportamento dell’Agenzia delle Entrate- Equitalia, che in sede tributaria aveva agito per il recupero dell’imposta di registro, presupponendone validità ed efficacia, rappresentava tacito riconoscimento della validità degli atti di conferimento e scissione.
Il motivo è infondato, anche a prescindere dall’assegnazione di una sorta di valenza negoziale al comportamento dell’Agenzia delle Entrate, visto che non viene in considerazione la validità degli atti di conferimento e scissione, ma semplicemente la loro inopponibilità relativa al creditore pregiudicato.
7. Con l’ottavo motivo di ricorso, proposto ex art.360,n.3 e n.5, cod.proc.civ., il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art.92 c.p.c. nonché omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, in riferimento alle numerose domande attoree respinte che avrebbero giustificato la compensazione delle spese
Il motivo cade consequenzialmente con il cadere degli altri motivi.
8. Il ricorso va quindi rigettato e la ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese al controricorrente, liquidate come in dispositivo, avuto riguardo al valore del credito.
Infatti, ai fini della liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente nei giudizi relativi ad azione revocatoria, il valore della causa deve essere determinato non già sulla base dell’atto impugnato, ma del credito per il quale si agisce, anche se il valore dei beni alienati, o comunque sottratti al creditore, risulti superiore o inferiore, e ciò in considerazione del carattere conservativo del rimedio, volto a paralizzare l’efficacia degli atti aggrediti per assicurare al creditore l’assoggettabilità ad esecuzione dei beni resi indisponibili dal debito (Sez. 6, 09/05/2014, n. 10089).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del contro ricorrente, liquidate nella somma di € 13.000,00 per compensi, C 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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