CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 31657 depositata il 14 novembre 2023
Tributi – Diniego di definizione agevolata – Accise non pagate – Accoglimento
Fatti di causa
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto da G. di F. A. & C. snc, D.R.T., D.R.G. avverso la sentenza n. 1583/3/2018 della Commissione tributaria provinciale di Caserta che ne aveva rigettato il ricorso contro il diniego di definizione agevolata (transazione fiscale) D.L. n. 193 del 2016, ex art. 5 bis, convertito in L. n. 225 del 2016, per accise non pagate.
La CTR osservava in particolare che, come rilevato dai primi giudici, il provvedimento impugnato era legittimo, ostando alla richiesta di definizione agevolata tributaria de qua la pendenza, alla data di scadenza del termine finale per richiederla (30 settembre 2017), di un procedimento penale, definito soltanto il 6 ottobre 2017, per reati inerenti le accise oggetto del contenzioso fiscale.
Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione la società ed i suoi soci deducendo tre motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Nelle more del giudizio i ricorrenti hanno depositato istanza di sospensione del medesimo L. n. 197 del 2022, ex art. 1, commi 186 ss. poi però revocata con istanza di trattazione.
Ragioni della decisione
In via preliminare va rilevata la manifesta infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, per violazione sostanziale dei parametri di critica prescelti, affermandosene lo scopo di una rivisitazione meritale della controversia.
Diversamente da quanto eccepito dall’agenzia fiscale, risultano infatti chiari i termini di censura proposti dai ricorrenti, in quanto miranti ad affermare un vizio motivazionale “assoluto” D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 36, ed una precisa questione interpretativa di una ben individuata disposizione legislativa.
Entrambi i profili sono dunque esattamente sussumibili nelle previsioni di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 3.
Ciò posto, con il primo motivo i ricorrenti lamentano vizio motivazionale e violazione del D.L. n. 193 del 2016, art. 5 bis, poiché la CTR ha affermato la mancanza dei presupposti di applicabilità della definizione agevolata da tale disposizione legislativa prevista, in particolare a causa della pendenza di un procedimento penale ostativo.
La censura è infondata quanto al dedotto vizio motivazionale, invece fondata in ordine alla lamentata violazione di legge.
Il primo vizio all’evidenza non sussiste, avendo il giudice tributario di appello argomentato diffusamente in fatto le proprie statuizioni, ravvisandosi la carenza motivazionale soltanto quando la stessa sia radicale (cfr. SU 22232/2016) e comunque al di sotto del c.d. “minimo costituzionale” (cfr. SU 8053/2014).
Quanto al secondo, va anzitutto rilevato che del D.L. n. 193 del 2016, l’art. 5 bis, prevede che “1. Al fine di agevolare la soluzione del contenzioso pendente in materia di accise e di IVA afferente, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli è autorizzata a definire con transazioni, entro il 30 settembre 2017, le liti fiscali pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, aventi ad oggetto il recupero dell’accisa su prodotti energetici, alcol e bevande alcoliche, alle seguenti condizioni:
a) le imposte oggetto del contenzioso devono riferirsi a fatti verificatisi anteriormente al 1 aprile 2010;
b) al soggetto passivo d’imposta è data facoltà di estinguere la pretesa tributaria procedendo al pagamento, da effettuare entro sessanta giorni dalla data di stipula della transazione, di un importo almeno pari al 20 per cento dell’accisa e della relativa imposta sul valore aggiunto per cui è causa, senza corresponsione di interessi, indennità di mora e sanzioni.
2. E’ consentito al soggetto passivo d’imposta di effettuare il pagamento dell’importo dovuto di cui al comma 1 mediante rate annuali, non superiori a sette, previa comunicazione al competente Ufficio delle dogane e versamento della prima rata entro la medesima scadenza prevista al comma 1, lett. b); sulle somme rateizzate sono dovuti gli interessi nella misura stabilita dall’art. 1284 c.c., maggiorata di 2 punti. Resta fermo il recupero delle imposte nei confronti del responsabile del reato.
3. I contenziosi di cui al comma 1, alinea, sono sospesi, a richiesta del soggetto obbligato, per il quale ricorrano le condizioni di cui al medesimo comma, che dichiari di volersi avvalere delle disposizioni del presente articolo. Il pagamento di quanto previsto determina l’estinzione delle liti fiscali pendenti a tale titolo, in ogni stato e grado di giudizio.
4. Le disposizioni del presente articolo si applicano solo qualora sia stato definito il procedimento penale, eventualmente instaurato per i medesimi fatti dai quali deriva il contenzioso fiscale, senza che sia stata pronunciata una sentenza di condanna passata in giudicato in cui sia riconosciuto dolo o colpa grave dello stesso soggetto obbligato”.
La questione interpretativa oggetto del presente giudizio riguarda essenzialmente la causa ostativa di cui al comma 4 e specificamente il significato da attribuire alla locuzione “medesimi fatti”.
Nei due gradi di merito, conformemente, i giudici l’hanno interpretata in senso lato ossia sussumendovi la, peraltro pacifica in fatto, pendenza alla scadenza del termine finale di cui al comma 1 della disposizione legislativa di un procedimento penale nei confronti di D.R.T. (legale rappresentante della G.) per associazione per delinquere finalizzata all’evasione delle accise e dell’IVA.
Di conseguenza CTP e CTR hanno ritenuto legittimo il diniego di definizione agevolata impugnato.
Tale interpretazione non può tuttavia considerarsi giuridicamente corretta.
Le pretese fiscali de quibus (per accise) infatti sono state contestate penalmente come delitto di contrabbando, ma per tale imputazione e’, pacificamente, intervenuto un decreto di archiviazione per prescrizione.
E’ il “reato-fine” a costituire “medesimo fatto” ai fini dell’applicazione della causa di esclusione in esame, non il “reato-mezzo” (associazione per delinquere) per il quale, al tempo della scadenza di detto termine finale, era pacificamente pendente un procedimento penale nei confronti del D.R. (che peraltro ne è stato prosciolto pochi giorni dopo la scadenza del termine stesso).
Basti in tal senso avere riguardo alla diversità dei beni tutelati dalle due fattispecie incriminatrici astratte, solo la prima direttamente afferente la fattispecie costitutiva dell’obbligazione tributaria oggetto di questo processo, mentre sulla base della seconda nessuna pretesa tributaria avrebbe mai potuto fondarsi, trattandosi di un reato contro l’ordine pubblico (non contro l’interesse fiscale).
Può perciò farsi riferimento all’arresto consolidato della giurisprudenza penale di questa Corte secondo il quale “Ai fini della preclusione connessa al principio del “ne bis in idem”, l’identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta-nesso causale-evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta” (tra le molte, Sez. 2 -, Sentenza n. 52606 del 31/10/2018 Ud. (dep. 22/11/2018) Rv. 275518 – 02).
Il diniego di definizione agevolata de quo risulta dunque essere illegittimo, come detto, essendo fattualmente non controverso che alla data del 30 settembre 2017 non vi era più alcuna pendenza per gli illeciti penali in materia di accise.
Dall’accoglimento del primo motivo consegue l’assorbimento del secondo e del terzo motivo (rispettivamente, vizio motivazionale/violazione di legge in relazione alla posizione di D.R.G., in quanto mai attinta da imputazioni/pendenze penali; ulteriori eccezioni di invalidità del provvedimento impugnato).
In conclusione, accolto il primo motivo del ricorso, assorbiti il secondo ed il terzo motivo, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo nel merito va accolto il ricorso introduttivo della lite.
Stante la novità interpretativa della disposizione legislativa oggetto della controversia, le spese processuali possono essere compensate.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbiti il secondo ed il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso introduttivo della lite; compensa le spese.
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