Corte di Cassazione sentenza n. 31748 depositata il 27 ottobre 2022
il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 decorre da tutte le possibili tipologie di verbali e trova applicazione anche nei casi di accesso c.d. “breve”
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate – Ufficio di Faenza – notificò alla Carifin Italia S.p.A., società con socio unico, in liquidazione (di seguito, per brevità, società o contribuente) avviso di accertamento, col quale recuperò a tassazione, ai fini delle imposte dirette, euro 1221.345,00 pari alla svalutazione dei crediti relativi a cessioni del quinto di stipendio in quanto coperti da garanzia assicurativa e una maggiore IVA a debito per l’importo di euro 297.859,28, derivante dalla contestata illegittima detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti in relazione ad attività di locazione di beni immobili propri.
L’atto impositivo fu emesso a conclusione di attività di controllo sulla dichiarazione dei redditi per l’anno 2003, seguita da accesso presso la sede della società finalizzata all’acquisizione di documentazione.
La società impugnò l’avviso di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Ravenna, che accolse il ricorso limitatamente al rilievo afferente all’IVA ritenuta dall’Ufficio illegittimamente detratta, avendo il giudice tributario di primo grado accolto il motivo con quale la contribuente aveva dedotto la violazione degli artt. 19, 19 bis, 36 e 36 bis del d.P.R. n. 633/1972, per avere l’Ufficio erroneamente calcolato l’IVA detraibile secondo il meccanismo del pro- rata.
La sentenza fu oggetto tanto di appello principale da parte della contribuente, quanto di appello incidentale da parte dell’Ufficio nelle statuizioni ad essi rispettivamente sfavorevoli.
La Commissione tributaria regionale (CTR) dell’Emilia – Romagna, con sentenza n. 45/6/11, depositata il 5 maggio 2011, non notificata, respinse entrambe le impugnazioni, confermando la sentenza impugnata.
Avverso la suddetta sentenza della CTR dell’Emilia – Romagna la società ha proposto ricorso principale per cassazione, affidato a quattro motivi, cui l’Ufficio ha resistito con controricorso, spiegando a sua volta ricorso incidentale affidato ad un solo motivo, cui a sua volta la società resiste con controricorso.
In prossimità dell’udienza la ricorrente principale ha prodotto documentazione riferita all’autotutela parziale, per mezzo della quale l’Amministrazione finanziaria ha parzialmente annullato, limitatamente al rilievo IVA per euro 297.858,00 ed alle relative sanzioni per l’importo di euro 155.722,00, l’avviso di accertamento n. R7Z03T100544/2008, dalla cui impugnazione ha tratto origine il presente giudizio, essendo seguito a detto atto di annullamento parziale in autotutela il deposito, da parte dell’Agenzia delle entrate, di atto di rinuncia al ricorso incidentale regolarmente notificato alla ricorrente principale.
La causa è stata quindi trattata all’udienza pubblica fissata il 6 dicembre 2021, avendo la ricorrente principale formulato tempestiva richiesta di discussione orale, ritualmente comunicata all’Amministrazione finanziaria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso principale la società denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 71 (ora 106), terzo comma, del P.R. n. 917/1986 (TUIR), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la decisione di primo grado quanto alla riconosciuta legittimità della ripresa a tassazione, ai fini IRPEG ed IRAP, del maggiore imponibile pari ad euro 1.221.345,00, riguardante le svalutazioni dedotte dalla società, ex art. 71, terzo comma, TUIR nella formulazione applicabile ratione temporis, con riguardo ai crediti afferenti a finanziamenti concessi dalla società medesima, a fronte di delega di pagamento o di cessione del quinto dello stipendio, da parte del soggetto finanziato, avendo il giudice tributario d’appello condiviso la tesi espressa dall’Ufficio circa l’indeducibilità di tali svalutazioni sul presupposto che i crediti cui ineriscono sarebbero assistiti da garanzia assicurativa.
2. Con il secondo motivo di ricorso principale la contribuente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento, sebbene non preceduto dalla notifica di un processo verbale di constatazione.
3. Con il terzo motivo la società lamenta ancora violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento, quantunque emesso prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni ed in difetto di particolare e motivata urgenza.
4. Con il quarto motivo, infine, la ricorrente principale denuncia, in via subordinata, nullità della sentenza per omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., riguardo all’erronea quantificazione, da parte dell’Ufficio, delle svalutazione crediti dedotte dalla società, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., laddove la contribuente aveva denunciato che l’Ufficio era incorso in errore per avere ripreso a tassazione interamente la componente negativa di reddito per svalutazione crediti per cessione del quinto e delega di pagamento, per euro 1.221.345,00, che, invece, per l’effetto di una variazione in aumento apportata in UNICO, aveva solo in parte concorso alla determinazione del reddito per l’anno 2003 della società ricorrente.
5. Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 19, 19 bis, 36 e 36 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, proc. civ., nella parte ìn cui la sentenza impugnata aveva confermato la decisione di primo grado quanto all’annullamento del rilievo relativo all’IVA.
6. In via preliminare deve darsi atto che, a seguito del parziale annullamento in autotutela dell’avviso di accertamento limitatamente alla ripresa a tassazione dell’IVA ritenuta indebitamente detratta per euro 297.858,00 e delle sanzioni relativamente applicate per euro 155.722,00, l’Agenzia delle entrate ha depositato in data 30 novembre 2021 atto di rinuncia al ricorso incidentale debitamente notificato alla controparte.
6.1 Può pertanto senz’altro dichiararsi la parziale cessazione della materia del contendere relativamente al ricorso incidentale originariamente proposto dall’Amministrazione finanziaria avverso la sentenza impugnata.
7. Venendo quindi all’esame del ricorso principale, conviene muovere dallo scrutinio del terzo motivo di ricorso che, ove fondato, determinerebbe l’esito della lite in senso totalmente favorevole alla contribuente, senza necessità di ulteriori accertamenti di fatto, anche per la parte ancora sub iudice relativa alla ripresa a tassazione ai fini IRPEG ed IRAP del maggiore imponibile pari ad euro 1.221.345,00, riguardante le svalutazioni dedotte dalla società, ex 71, terzo comma, TUIR, nella formulazione applicabile ratione temporis, con riguardo ai crediti afferenti a finanziamenti concessi dalla società medesima, a fronte di delega di pagamento o di cessione del quinto dello stipendio, da parte del soggetto finanziato.
7.1 La società, infatti, prima ancora che il merito della ripresa in oggetto, ha contestato la stessa legittimità dell’emissione e della conseguente notifica dell’avviso di accertamento senza che, pur essendovi stato accesso presso la sede sociale, vi fosse stata previa emissione di processo verbale di constatazione e, con il terzo motivo, senza che fosse stato rispettato il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000 – nessuna ragione di urgenza essendo stata esplicitata a giustificazione della deroga – essendo l’accesso iniziato in data 21 novembre 2007, l’ultimo processo verbale di verifica, interlocutorio, essendo stato redatto in data 11 dicembre 2007 ed essendo stato infine notificato l’avviso di accertamento il 2 gennaio 2008.
7.2 Al riguardo la ricorrente principale contesta come palesemente erronea ed illegittima la sentenza impugnata, laddove ha disatteso la censura di violazione dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000, sulla base della considerazione che «[l]a società risulta essere stata aggiornata sulla attività svolta dai funzionari addetti al controllo, avendo presentato osservazioni sul merito delle questioni controverse».
7.3 Il motivo è fondato.
È la stessa sentenza impugnata a dar conto che «[l’]Ufficio ha proceduto all’accesso presso la sede della società, finalizzato alla richiesta di documentazione ed all’esercizio della propria attività di controllo».
Si esula, dunque, dal c.d. accertamento a tavolino, come invece dedotto dal Pubblico Ministero. Se pure, infatti, l’accertamento è iniziato in sede di controllo cartolare della dichiarazione, vi è stato, quindi, accesso dei funzionari dell’ente impositore presso la sede della società finalizzato all’acquisizione di ulteriore documentazione, come rilevato dalla stessa sentenza impugnata e come ammesso, del resto, dalla stessa Amministrazione finanziaria nel proprio controricorso.
7.4 Trova, dunque, senz’altro, applicazione nella fattispecie in esame l’art. 12, comma 7, della n. 212/2000, a norma del quale, a garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, la norma citata prevede che l’avviso di accertamento non possa essere emanato prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, affinché il contribuente possa comunicare nel predetto termine osservazioni e richieste soggette a valutazione dagli uffici impositori.
7.5 Orbene, va premesso che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 29 luglio 2013, n. 18184, hanno espresso il principio secondo il quale « [i]n tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio».
7.5.1 Si è, quindi, ancora chiarito che « [i]I termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni dì accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo» (cfr. Cass. sez. 5, ord. 23 gennaio 2020, n. 1497).
7.5.2 Nella fattispecie in esame, in cui la contribuente si è doluta anche, con il secondo motivo di ricorso, del fatto che fosse mancato un atto conclusivo dell’accesso che avesse natura di processo verbale di chiusura delle operazioni di controllo che hanno avuto origine dall’accesso, l’ultimo atto, descrittivo delle operazioni compiute quanto all’acquisizione di documentazione, è stato redatto in data 11 dicembre 2007 (verbale giornaliero di verifica) cui è seguita direttamente l’emissione in data 21 dicembre 2007 dell’avviso di accertamento, poi notificato il 2 gennaio 2008.
7.5.3 Non essendo state neppure prospettate le ragioni d’urgenza che esonerassero l’Ufficio dall’osservanza di detto termine dilatorio, l’atto impositivo emesso ante tempus deve pertanto essere dichiarato illegittimo, tanto più che questa Corte ha ulteriormente precisato che il termine di cui all’art. 12, comma 7, della n. 212/2000 trova applicazione anche nei casi di accesso c.d. “breve”, cui faccia seguito richiesta di chiarimenti e documentazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, stante l’unitarietà, in tal caso, dell’accertamento originato dal c.d. accesso breve (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 25 maggio 2021, n. 14315; Cass. sez. 5, ord. 21 novembre 2018, n. 30026).
8. Il ricorso principale va dunque accolto in relazione al terzo motivo, assorbiti gli altri.
9. La sentenza impugnata va pertanto cassata in accoglimento del terzo motivo di ricorso, con decisione nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., non residuando ulteriori accertamenti di fatto, di accoglimento dell’originario ricorso della contribuente anche in relazione alla residua materia del contendere, come delimitata a seguito dell’annullamento parziale in autotutela del rilievo concernente la ripresa IVA e l’applicazione delle relative sanzioni. Possono essere compensate tra le parti le spese del giudizio relative al doppio grado di merito, restando a carico dell’Amministrazione finanziaria soccombente le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale in relazione al terzo motivo, assorbiti gli altri.
Dichiara cessata la materia del contendere sul ricorso incidentale per rinuncia dell’Agenzia delle entrate al ricorso incidentale medesimo.
Cassa la sentenza impugnata in accoglimento del ricorso principale e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente, annullando l’avviso di accertamento impugnato anche nella parte non oggetto di annullamento in autotutela.
Dichiara compensate tra le parti le spese del doppio grado di merito del giudizio e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore della ricorrente principale delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 14.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, esborsi, liquidati in euro 200,00 ed accessori di legge.