Corte di Cassazione sentenza n. 32129 depositata il 31 ottobre 2022
perdite su crediti – svalutazione crediti
FATTI DI CAUSA
Le società D. S.p.A. e C.I. S.p.A. avevano aderito, la prima in qualità di consolidante, la seconda in qualità di consolidata, alla tassazione di gruppo.
Con riferimento all’anno d’imposta 2005 la Direzione Regionale dell’Emilia – Romagna, Ufficio Grandi Contribuenti, notificò a ciascuna società l’avviso di accertamento (c.d. di primo livello) n. TGB08M300251/2010, con il quale contestò che la consolidata avesse illegittimamente dedotto per detta annualità l’importo di euro 2.028.735,94 per svalutazione crediti, in violazione dell’art. 106, terzo comma, del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR), ritenendo che i crediti relativi a concessione di finanziamenti dietro cessioni del quinto dello stipendio, essendo coperti da garanzia assicurativa, dovevano ritenersi esclusi dal plafond per il calcolo forfettario di cui alla predetta disposizione.
Alla notifica di detto atto impositivo seguì la notifica, ad entrambe le società, di ulteriore avviso di accertamento, n. THB09205826/2010, c.d. di secondo livello, con il quale la Direzione Provinciale di Bologna rettificò, ai sensi dell’art. 41 bis del d.P.R. n. 600/1973 e 3 del d.m. 9 giugno 2004, la dichiarazione modello CNM 2006 per l’anno d’imposta 2005 presentata dalla D. S.p.A. in qualità di consolidante, elevando il reddito complessivo globale da euro 33.531.070,00 ad euro 37.823.857,00.
Gli avvisi di accertamento furono impugnati, con distinti ricorsi, dalle società, dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Bologna, che riuniti i ricorsi, li respinse.
Detta pronuncia fu appellata dalle società dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) dell’Emilia – Romagna, che, con sentenza n. 1032, depositata il 23 marzo 2017, non notificata, accolse il gravame delle società.
Avverso detta sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, cui le società, ora D. S.p.A. in amministrazione straordinaria, quale consolidante, e C.I. S.p.A., con socio unico, in liquidazione, resistono con controricorso.
Fissata la trattazione della causa per la pubblica udienza del 6 dicembre 2021, essa si è poi svolta in camera di consiglio, ex art. 23, comma 8 – bis, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, quale inserito dall’art. 6 della legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176, e 7, del d.l. 23 luglio 2021, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla l. 16 settembre 2021, n. 126, senza l’intervento del Procuratore Generale, che ha depositato conclusioni scritte, e dei difensori delle parti, non essendo stata formulata da nessuno degli interessati richiesta di discussione orale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia violazione dell’art. 106, terzo comma, del P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) e dell’art. 54 del d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha affermato la deducibilità della svalutazione dei crediti da finanziamenti erogati a seguito di cessione del quinto dello stipendio, censurando come erronee le considerazioni in forza delle quali la CTR ha accolto l’appello delle contribuenti avverso la sentenza di primo grado, secondo cui: a) il fatto che la società finanziatrice ha riversato sul beneficiario del finanziamento il premio dell’assicurazione è tale da precludere l’alternatività tra la deducibilità degli oneri assicurativi, funzionali a garantire il rischio di perdita del credito, e la deducibilità della quota di accantonamento del fondo; b) i crediti non possono dirsi completamente assicurati, operando la garanzia assicurativa solo in relazione ad alcuni rischi, essendovi invece sottratte altre categorie di rischio quali, ad esempio, l’invalidità permanente del lavoratore o la cessazione dell’attività lavorativa per sopravvenuti oggettivi, come, ad esempio, la chiusura degli impianti.
La ricorrente contesta la correttezza di tali argomentazioni, poiché, secondo l’Ufficio, l’art. 106, terzo comma, TUIR, che, nella formulazione vigente ratione temporis, per quanto qui rileva, prevedeva che «[p]er gli enti creditizi e finanziari […] le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l’importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle operazioni di erogazione del credito alla clientela […] sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,60% del valore dei crediti risultanti in bilancio, aumentato dell’ammontare delle svalutazioni dell’esercizio», va letto alla luce dell’art. 101 del TUIR medesimo e dell’art. 2426 cod. civ., ciò che escluderebbe dal concetto di “perdita” quanto oggetto del recupero a tassazione operato dall’Agenzia. Inoltre le polizze assicurative a copertura del rischio sui finanziamenti concessi attraverso la cessione del quinto dello stipendio si uniformano alla previsione di cui all’art. 54 del d.P.R. n.180/1950, che limita sostanzialmente la garanzia soltanto all’assicurazione sulla vita ed al rischio di perdita dell’impiego, ciò rendendo irrilevante l’estensione qualitativa e quantitativa della copertura assicurativa.
1.1 Il motivo deve ritenersi infondato, alla stregua del principio di diritto espresso recentemente da questa Corte (cfr. Cass. sez. 5, ord. 12 agosto 2021, n. 22763), cui va assicurata in questa sede ulteriore continuità, secondo cui «[i]n tema di determinazione del reddito di impresa, l’art. 71, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986, “ratione temporis” vigente (ora art. 106, comma 3), laddove prevede che per gli enti creditizi e finanziari di cui al d.lgs. n. 87 del 1992, le svalutazioni dei crediti risultanti dal bilancio, per l’importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano da operazioni di regolazione del credito alla clientela, sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,60% del valore dei crediti risultati in bilancio, aumentato dell’ammontare delle svalutazioni dell’esercizio, consente la deducibilità dei crediti svalutati nel caso in cui l’importo non sia integralmente coperto da garanzia assicurativa, come avviene nel caso di garanzia “ex lege” di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 180 del 1950, che limita la garanzia soltanto all’assicurazione sulla vita ed al rischio di perdita dell’impiego, restandone esclusa l’ipotesi di insolvenza del datore di lavoro, come pure quella di perdita o riduzione temporanea dello stipendio», essendosi, in particolare, chiarito, nella parte motiva (pag. 10) che la norma consente la deducibilità anche delle svalutazioni effettuate a fronte dei rischi solo “parziali” alla realizzazione del credito, determinando poi la consistenza dell’accantonamento deducibile in forma forfettaria, nella misura sopra indicata.
1.2 La sentenza impugnata, laddove ha affermato che la copertura assicurativa non garantisce parte dell’importo del credito, ma assume una funzione selettiva del rischio assicurato, senza la possibilità di una certa delimitazione quantitativa, risulta conforme al principio di diritto quale espresso da questa Corte nel precedente innanzi citato e ribadito in questa sede.
2. Il ricorso dell’Amministrazione finanziaria va pertanto rigettato.
3. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
4. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1- quater del P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge.
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