Corte di Cassazione sentenza n. 32332 depositata il 2 novembre 2022
studi di settore – gravi incongruenze – l’applicazione degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 137/51/12 del 18/05/2012, la Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate (di seguito AE) avverso la sentenza n. 996/14/09 della Commissione tributaria provinciale di Caserta (di seguito CTP), che aveva a sua volta accolto il ricorso proposto da C.G. avverso l’avviso di accertamento concernente IRPEF, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2003.
1.1 Come si evince dalla sentenza della CTR, l’avviso di accertamento aveva comportato una rettifica del reddito del contribuente in applicazione dei cd. studi di settore.
1.2 La CTR motivava l’accoglimento dell’appello di AE osservando che: a) la circostanza fattuale addotta dal contribuente (esercizio aziendale in Casal di Principe, zona ad alto tasso di criminalità) non era sufficiente a giustificare il considerevole scostamento tra ricavi dichiarati e quelli accertati con l’applicazione dello studio di settore; b) le affermazioni del ricorrente volte a giustificare lo scostamento erano generiche e non provate.
2. C.G. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi.
3. L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso C.G. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., per non avere l’Agenzia delle entrate fornito la prova sulla stessa gravante, avendo omesso di valutare le specifiche contestazioni del contribuente con riferimento all’utilizzazione di un vecchio studio di settore, peraltro con erronea indicazione del cluster, alla congruenza dei ricavi con i parametri economici, alla crisi del settore e alla sussistenza di uno scostamento minimo dei ricavi dichiarati rispetto a quelli emergenti dagli studi di settore.
1.1 Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso si contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, 600, degli artt. 62 bis e 62 sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. con modif. nella l. 29 ottobre 1993, n. 427, dell’art. 10 della l. 8 maggio 1998, n. 146 e dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR: a) sostituito, ai fini dell’applicazione dello studio di settore, al parametro della grave incongruenza quello della considerevole incongruenza (secondo motivo); b) omesso di considerare che il mero scostamento dallo studio di settore non completa l’iter motivazionale a carico dell’Amministrazione finanziaria ai fini dell’applicazione dello studio di settore, dovendo la stessa dare conto in motivazione delle osservazioni del contribuente e utilizzare lo studio evoluto; c) ritenuto che l’Ufficio non abbia altro onere probatorio che quello derivante dall’applicazione degli studi di settore.
1.2 Con il quinto e sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi costituiti da: a) la necessità di collocare l’attività del contribuente in un cluster differente da quello utilizzato; b) la mancata utilizzazione dello studio di settore
1.3 Con il settimo e l’ottavo motivo di ricorso si contestano le medesime circostanze sotto il profilo dell’omessa pronuncia (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.).
1.4 Con il nono motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115, secondo comma, cod. proc. civ., per non avere la CTR considerato che la circostanza per la quale la zona di Casal di Principe sia ad alto tasso di criminalità organizzata costituisca un fatto notorio.
1.5 Con il decimo motivo di ricorso si contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR rilevato il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento.
2. I motivi possono essere congiuntamente esaminati e vanno disattesi per le considerazioni che seguono.
2.1 È pregiudiziale l’esame del decimo motivo di ricorso, con il quale si contesta il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, motivazione che sarebbe apparente.
2.2 Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, anche alla luce di Cass. S.U. n. 8950 del 18/03/2022.
2.2.1 Il contribuente non ha trascritto nella sua interezza la motivazione dell’avviso di accertamento impugnato e neppure ha allegato quest’ultimo al ricorso o indicato dove l’atto è stato prodotto nel giudizio di merito, sicché questa Corte non è messa nelle condizioni ex actis la effettiva apparenza della motivazione, così come denunciato dal ricorrente.
2.2.2 Peraltro, se si ha riguardo solo a quanto trascritto a pag. 3 del ricorso, la motivazione dell’atto impositivo non potrebbe nemmeno dirsi apparente, posto che viene dato conto dell’esistenza dello scostamento, dello studio di settore applicato e delle osservazioni del contribuente, consentendo a quest’ultimo di difendersi compiutamente nel merito.
2.3 Quanto agli altri motivi, giova premettere in punto di diritto che gli accertamenti a mezzo studi di settore sono stati introdotti dall’art. 62 sexies, comma 3, del l. n. 331 del 1993, secondo il quale «gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), (…) e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, (…) possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62 bis, del presente decreto».
2.3.1 La menzionata disposizione autorizzava, pertanto, l’Ufficio finanziario, allorché ravvisasse siffatte «gravi incongruenze», a procedere all’accertamento induttivo anche fuori delle ipotesi previste dalla legge e, in particolare, anche in presenza di una tenuta formalmente regolare della contabilità, e senza obbligo di ispezione dei luoghi, se non assolutamente necessaria (cfr. Cass. n. 5977 del 14/03/2007; Cass. n. 8643 del 06/04/2007; Cass. n. 3302 del 13/02/2014). Ed infatti, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore differisce dalla procedura di accertamento di cui all’art. 39 del P.R. n. 600 del 1973, rispetto alla quale costituisce uno strumento alternativo disponibile per l’Amministrazione finanziaria, proprio in quanto – al contrario di questa – è del tutto indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili (Cass. n. 23096 del 14/12/2012; Cass. n. 20060 del 24/09/2014).
2.3.2 La modalità di una simile tipologia di accertamento è stata precisata dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 26635 del 18/12/2009), le quali hanno evidenziato che: a) l’applicazione degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente; b) nell’ambito del contraddittorio, il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame; c) l’eventuale avviso di accertamento emesso all’esito del contraddittorio non può essere motivato unicamente sul rilievo dello scostamento, ma deve essere integrato con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente; d) in tal caso, è sempre necessario che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una «grave incongruenza»; e) ove, invece, il contribuente non abbia preso parte al contraddittorio al quale sia stato regolarmente convocato, assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards; f) in ogni caso (e, dunque, anche nel caso di mancata partecipazione al contraddittorio), il contribuente mantiene la più ampia facoltà di giustificare, in sede giudiziale, lo scostamento dagli standards (si veda, ex multis, anche Cass. n. 11633 del 15/05/2013; Cass. n. 17646 del 06/08/2014; Cass. n. 9484 del 12/04/2017; Cass. 21754 del 20/09/2017; Cass. n. 27617 del 30/10/2018; Cass. n. 16545 del 20/06/2019).
2.3.3 All’esito del contraddittorio instaurato con il contribuente, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una «grave incongruenza», deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dall’art. 10, comma 1, della l. n. 146 del 1998. Invero, tale più recente disposizione, pur richiamando direttamente l’art. 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993, aggiunto in sede di conversione, non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento, proprio in quanto già previsto dalla norma precedente, limitandosi a statuire che «gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui al L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, sono effettuati nei confronti dei contribuenti con periodo d’imposta pari a dodici mesi e con le modalità di cui al presente articolo».
2.3.4 In definitiva, dunque, l’art. 10 della n. 146 del 1998 opera un rinvio all’art. 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993 secondo la tecnica normativa del rinvio recettizio ad una disposizione di carattere generale precedente, da parte di una norma, speciale successiva, che non prevede una disciplina specifica della fattispecie da regolare. In forza di tale tipologia di rinvio, infatti, la norma, oggetto del rinvio, risulta inserita ed assorbita nella norma che lo effettua (Cass. n. 914 del 22/03/1968). Sul piano strutturale, pertanto, la successiva disposizione ha recepito in toto la previsione generale di cui alla norma precedente, quanto ai presupposti in presenza dei quali è possibile il ricorso al criterio dello scostamento della dichiarazione dagli studi di settore, fornendo, per tale via, in assenza di una disciplina derogatoria specifica sul punto, una conferma della perdurante necessità che il divario tra i ricavi dichiarati dal contribuente e le risultanze degli studi dia luogo a «gravi incongruenze» (Cass. n. 20414 del 26/09/2014; Cass. S.U. n. 26635 del 2009, cit.).
2.4 A far data dal 01/01/2007, peraltro, l’art. 10, comma 1, della l. n. 146 del 1998, è stato novellato dall’art. 1, comma 23, della n. 296 del 2006, art. 1, comma 23, della l. 27 dicembre 2006, n. 296, che così recita «gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies convertito, con modificazioni, dalla l. 29 ottobre 1993, n. 427, sono effettuati nei confronti dei contribuenti con le modalità di cui al presente articolo qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi».
2.4.1 Inizialmente, in ragione del carattere innovativo della novella, si è interpretata tale disposizione nel senso della soppressione del requisito delle gravi incongruenze (Cass. 26481 del 17/12/2014; Cass. n. 22421 del 04/11/2016; Cass. n. 27847 del 31/10/2018), con riferimento agli avvisi di accertamento notificati dopo il 01/01/2007, indipendentemente dal periodo di imposta al quale l’avviso di accertamento si riferisca.
2.4.2 Successivamente, peraltro, questa Corte (Cass. 18249 del 24/06/2021; Cass. n. 12304 del 23/06/2020; Cass. n. 8854 del 29/03/2019), ha ritenuto che il presupposto delle gravi incongruenze non debba ritenersi abrogato.
2.4.3 In particolare, è stato affermato che «il requisito della “grave incongruenza” di cui all’art. 62-sexies, comma 3, l. n. 331 del 1993, conv. con mod. dalla l. n. 427 del 1993, costituisce presupposto impositivo necessario per gli avvisi di accertamento su di essi fondati, senza che assuma rilievo, per gli avvisi notificati successivamente al 1° gennaio 2007, la modifica dell’art. 10, comma 1, l. n. 146 del 1998 operata con l’art. 1, comma 23, l. n. 296 del 2006, in quanto priva di portata innovativa e diretta ad assicurare, secondo una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata, una funzione di mera semplificazione e coordinamento normativo attesa l’abrogazione dei commi 2 e 3 del medesimo art. 10, ad opera dell’art. 37, comma 2, lett. b, d.l. n. 226 del 2006, e l’estensione della tipologia di accertamento a prescindere dalla contabilità adottata» (Cass. n. 20608 del 27/06/2022).
2.4.4 A questo orientamento – applicabile anche al caso di specie, che riguarda appunto un accertamento notificato successivamente al 01/01/2007 – va data in questa sede continuità, potendo richiamarsi integralmente l’approfondita motivazione della menzionata sentenza, opportunamente orientata sull’esegesi del diritto interno.
2.5 Ciò posto in diritto, la sentenza impugnata ha affermato essenzialmente che: i) la circostanza che l’impresa soggetta ad accertamento operi in zona ad elevato tasso di criminalità, da un lato, non è provata e, dall’altro, non sarebbe sufficiente, in difetto di rilievo documentale, a giustificare lo scostamento tra ricavi dichiarati (euro 184.681,00) e ricavi accertati a mezzo studio di settore (euro 210.106,00); ii) detto scostamento è considerevole; iii) la mancanza di «documentazione certa, con diretto riscontro immediatamente quantificabile sui ricavi dichiarati» e le giustificazioni assolutamente generiche fornite dal contribuente legittimano l’applicazione dello studio di settore, tra l’altro con la ulteriore riduzione del venti per cento operata dall’Ufficio.
2.6 La correttezza della decisione impugnata, benché sintetica, non è infirmata dai motivi di ricorso. Valgano le seguenti brevi considerazioni.
2.7 I primi quattro motivi di ricorso sono in parte inammissibili e in parte infondati.
2.7.1 Il primo motivo è sicuramente infondato nella parte in cui si assume che la CTR avrebbe invertito l’onere della prova atteso che, a fronte di un avviso di accertamento emesso all’esito del contraddittorio e giustificato dalla considerevole divergenza tra ricavi dichiarati e ricavi accertati, grava indiscutibilmente sul contribuente l’onere di fornire la prova della effettività dei ricavi dichiarati, prova che, secondo quanto evidenziato dal giudice di appello, non è stata fornita.
2.7.2 Il motivo è altresì inammissibile nella parte in cui si tende a contestare, con un vizio di violazione di legge, la valutazione di merito compiuta dalla CTR, posto che spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 331 del 13/01/2020; n. 19547 del 04/08/2017; Cass. n. 24679 del 04/11/2013; Cass. n. 27197 del 16/12/2011; Cass. n. 2357 del 07/02/2004).
2.7.3 Il secondo, il terzo ed il quarto motivo vanno, altresì, disattesi.
2.7.4 La CTR, affermando la sussistenza di una considerevole differenza tra ricavi dichiarati e ricavi accertati (pari ad oltre il tredici per cento), non ha fatto altro che ritenere integrato, ai fini della legittimità dell’avviso di accertamento, l’ulteriore requisito previsto dalla legge e di cui si è dato ampiamento conto in precedenza; con la conseguenza che l’avviso di accertamento non si fonda unicamente sulla semplice differenza tra le risultanze dello studio di settore e i ricavi dichiarati, ma su di una differenza valutata come grave dal giudice di
2.7.5 Per il resto, ogni ulteriore valutazione di questa Corte, con riguardo alla necessità di motivare l’avviso con riferimento ad ulteriori fattori (osservazioni del contribuente, studio di settore evoluto) si scontra con la già segnalata mancata integrale trascrizione dell’avviso di accertamento, con conseguente inammissibilità della censura.
2.8 I motivi quinto, sesto, settimo e ottavo sono inammissibili, riguardando questioni che non sono state specificamente riproposte dal contribuente nel giudizio di appello, non essendosi quest’ultimo costituito (Cass. n. 12191 del 18/05/2018; Cass. n. 20062 del 24/09/2014; Cass. n. 14925 del 06/07/2011).
2.9 Il nono motivo, infine, è inammissibile perché non coglie interamente la ratio decidendi.
2.9.1 La CTR non ha solo ritenuto che l’operatività del contribuente in un territorio ad alto tasso di criminalità non sia provata (circostanza costituente fatto notorio, secondo il ricorrente), ma ha anche affermato che detta circostanza, senza la documentazione di una effettiva incidenza sui ricavi, è di per sé è irrilevante, perché altrimenti «tutti gli operatori commerciali della zona in questione (Casal di Principe) sarebbero, automaticamente, esonerati dall’obbligo di uniformarsi» alle risultanze degli studi.
2.9.2 Tale ultima statuizione non è stata censurata da C.G., sicché questi non ha un reale interesse all’accoglimento del motivo.
3. In conclusione, il ricorso va rigettato e il contribuente va condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite di euro 27.291,33.
3.1 Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi euro 4.000,00, oltre alle spese di prenotazione a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.