Corte di Cassazione sentenza n. 32911 depositata l’ 8 novembre 2022
rimborso imposte – nozione di «beneficiario effettivo»
FATTI DI CAUSA
1. La C. BV ricorre, con due motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe che ha rigettato l’appello della medesima avverso la sentenza della t.p. di Pescara che, a propria volta, aveva rigettato il ricorso del contribuente avverso il silenzio–rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso di quest’ultima.
2. La C. BV, società con sede nei Paesi Bassi, avendo concesso un prestito alla Wave Lenght r.l., società controllata al 100 per cento, chiedeva all’Ufficio il rimborso delle ritenute alla fonte eseguite dalla controllata sugli interessi corrisposti dall’11 luglio 2011 al 24 febbraio 2012. Di seguito, sul presupposto che si fosse formato il silenzio rifiuto sull’istanza, ricorreva innanzi alla C.t.p.
3. La C.t.p. rigettava il ricorso con sentenza confermata in appello. La C.t.r. riteneva che la contribuente non avesse provato di essere la effettiva beneficiaria degli interessi passivi corrisposti dalla società controllata e che, a fronte delle specifiche affermazioni fatte dal giudice di prime cure, secondo cui doveva ritenersi «società c.d. conduit», non avesse fornito prova contraria idonea.
4. La contribuente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’artt. 26-quater P.R. 29 settembre 1973 e dell’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.
In particolare, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che fosse onere del contribuente provare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 26-quater, cit. La ricorrente assume che la norma invocata impone al contribuente l’esclusivo onere di presentare l’istanza di rimborso, corredata della dichiarazione e dell’attestazione ivi prevista e che spetta all’Ufficio, ove intenda contestarla, disporre un supplemento di istruttoria, in assenza del quale si perfeziona il diritto al rimborso.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 11, paragrafo 2, Convenzione Italia-Paesi Bassi ratificata dalla legge 26 luglio 1993, n. 53.
Con il motivo in esame la ricorrente muove due diverse censure.
Con la prima critica nuovamente la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che non avesse provato di essere la beneficiaria effettiva degli interessi corrisposti dalla società controllata, sebbene dovessero ritenersi sufficienti la dichiarazione e l’attestazione rilasciate ai sensi dell’art. 36-quater cit. essendosi così esaurito l’iter della domanda di rimborso e cristallizzato il thema decidendum della successiva fase contenziosa.
Con la seconda censura, subordinata, la ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha comunque ritenuto che non fosse stata provata la condizione di beneficiario effettivo degli interessi corrisposti dalla società controllata – ovvero che non avesse natura di «ente conduit» – essendo la F. Bank il vero beneficiario.
3. Il primo motivo e la prima censura di cui al secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connesse, sono infondati.
Secondo la società contribuente l’istanza di rimborso – una volta ritenuta completa, come sarebbe stato acclarato dai Giudici di Appello – sarebbe «autosufficiente» anche nel successivo giudizio impugnatorio formatosi sul silenzio–rifiuto, sicché quest’ultimo potrebbe vertere solo sulla completezza della stessa. Assume che, depositata l’istanza, debitamente compilata, spetterebbe all’Ufficio chiedere chiarimenti all’Amministrazione del paese estero; che, in mancanza di tale supplemento di istruttoria, si perfezionerebbe il diritto ad impugnare il silenzio-rifiuto ed il dovere del giudice adito di pronunciarsi sulla correttezza e completezza dell’istanza. Aggiunge, infine, che la C.t.r. sarebbe incorsa in evidente extra petitum ponendo a carico del contribuente l’onere probatorio di produrre ulteriore documentazione.
3.1 L’art. 38, comma 6, d.P.R. n. 602 del 1973 prevede che i rimborsi delle imposte non dovute ai sensi dell’art. 26-quater d.P.R. n. 600 del 1973 sono effettuati entro un anno dalla presentazione della richiesta stessa la quale deve essere corredata dalla documentazione ivi prevista, o dalla successiva acquisizione degli elementi informativi eventualmente richiesti.
3.2 Come già rilevato da questa Corte, l’art. 38 cit. non prevede, tuttavia, che, in assenza di accertamenti, si consolidi il diritto del contribuente (cfr. Cass. 23/05/2019, n. 14044; Cass. 17/06/2016, n. 12557. In tal senso, il medesimo 38 prevede al comma successivo esclusivamente il diritto agli interessi.
Tale soluzione è conforme a quanto affermato da questa Corte, a Sezioni Unite, secondo cui, in tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum (Cass., Sez. U, 15/03/2016, n. 5069).
Questa Corte, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, ha altresì, chiarito, in via generale, che nel processo tributario, ove il contribuente impugni il silenzio rifiuto formatosi su un’istanza di rimborso, deve dimostrare che, in punto di fatto, non sussiste nessuna delle ipotesi che legittimano il rifiuto; l’amministrazione finanziaria può, dal canto suo, difendersi «a tutto campo», non essendo vincolata ad una specifica motivazione di rigetto (Cass. 06/12/2018, n. 31626 e la ulteriore giurisprudenza ivi richiamata).
4. La seconda censura di cui al secondo motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
4.1 La ricorrente critica la sentenza nella parte in cui «fa dipendere il diniego alle richieste portate dall’istanza in ragione della mancata dimostrazione da parte di CBT di essere il beneficiario effettivo degli interessi corrisposti da WL, e, quindi, di non avere natura di ente conduit (essendo F. Bank il vero beneficiario degli interessi)»
Assume in proposito che la nozione di «beneficiario effettivo» elaborata dalla giurisprudenza deve intendersi in senso sostanziale con esclusione, quindi, dei meri intermediari, ovvero di coloro che solo apparentemente sono i destinatari del pagamento ma che, in realtà, si frappongono tra il pagatore e il percipiente al solo scopo di godere indebiti vantaggi fiscali. Rileva che nel caso di specie non ci sarebbe stato alcun vantaggio fiscale in quanto l’intermediazione della controllante si era resa necessaria per accedere al mercato bancario.
4.2 La C.t.r. ha, in primo luogo, delineato la nozione di «beneficiario effettivo» ripudiandone una nozione formalistica.
Così facendo, ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte che ha delineato le caratteristiche del «beneficiario effettivo», in relazione a dividendi, interessi e canoni.
Si è evidenziato, infatti, che la prassi internazional-tributaria ha elaborato tale nozione per contrastare quelle pratiche volte proprio a trarre profitto dalla autolimitazione della potestà impositiva statale ed impedire che i soggetti possano abusare dei trattati fiscali attraverso
pratiche di treaty shopping, con lo scopo di riconoscere la protezione convenzionale a contribuenti che, altrimenti non ne avrebbero avuto diritto o che avrebbero subito un trattamento fiscale, comunque, meno favorevole. Il treaty shopping implica lo sfruttamento delle differenze nei trattati stipulati fra le varie nazioni, mediante la frapposizione di un soggetto residente in uno Stato terzo (conduit) nel flusso reddituale tra lo Stato della fonte e quello del beneficiario effettivo.
Si è aggiunto che può fruire dei vantaggi garantiti dai trattati il «beneficiario effettivo», ossia il soggetto sottoposto alla giurisdizione dell’altro stato contraente, che abbia l’effettiva disponibilità giuridica ed economica del provento percepito, realizzandosi altrimenti una traslazione impropria dei benefici convenzionali o addirittura un fenomeno di non imposizione (Cass. 30/09/2019, n. 24287). La società conduit, invece, è un soggetto che si frappone nei rapporti tra erogante e beneficiario finale, come soggetto percipiente solo formalmente; il «beneficiario effettivo», quindi, ha sia la titolarità che la disponibilità del reddito percepito e non è tenuto ad alcun trasferimento dello stesso a terzi (Cass. 10/07/2020, n. 14756).
4.3 Successivamente la C.t.r. ha precisato che era onere della società contribuente provare in giudizio «il”trattenimento ed autonomo impiego” degli interessi percepiti». Per l’effetto, ha ritenuto che quest’ultima non avesse dimostrato di esserne la beneficiaria. Sul punto ha aggiunto che, infatti, l’autodichiarazione resa era del tutto insufficiente ai fini probatori; che, inoltre, non era condivisibile l’assunto della contribuente secondo cui il contenuto degli accordi sottesi all’operazione finanziaria, anche perché stipulati per atto pubblico, fosse di per sé sufficiente ad escludere la qualità di mero soggetto interposto; che, infatti, nulla poteva desumersi da detti accordi e che la forma di atto pubblico era del tutto irrilevante.
4.4 Dette argomentazioni non sono state contestate dalla ricorrente la cui censura mira, in realtà, a una rivalutazione del ragionamento decisorio che ha portato il giudice del merito a ritenere che la società contribuente non fosse beneficiario effettivo degli interessi passivi corrisposti dalla società controllata. Così facendo, la ricorrente, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, mira alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito (Cass. 04/07/2017, n. 8758). Il motivo, infatti, per come formulato richiede, non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 18/05/2022, 17744; Cass. 05/02 2019, n. 3340; Cass. 14/01/2019, n. 640; Cass.13/10/2017, n. 24155; Cass. 04/04/2013, n. 8315).
5. Il ricorso va, dunque, complessivamente rigettato.
6. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.900,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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