Corte di Cassazione sentenza n. 3318 depositata il 12 febbraio 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – INFORTUNIO SUL LAVORO – AZIENDA USL – ONERE DELLA PROVA – DIPENDENTE IN SERVIZIO – AUTOAMBULANZA 118
FATTO / DIRITTO
La Corte di Appello di Messina, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto l’appello proposto dalla Azienda USL n. 5 nei confronti della sentenza di primo grado che l’aveva condannata a risarcire, nella sua interezza e senza franchigia, il danno conseguito all’infortunio sul lavoro occorso a G.C., dipendente in servizio addetta all’ Emergenza Territoriale presso l’autoambulanza 118.
La Corte territoriale ha ritenuto che: la G.C. era estranea al rapporto intercorso tra la USL e la società Assicuratrice F. relativo alla polizza assicurativa per copertura degli infortuni sul lavoro, polizza stipulata in attuazione dell’art. 99 del CCNL relativo alla disciplina dei rapporti dei medici di medicina generale; nella fase amministrativa l’Azienda non aveva mai contestato la riferibilità dell’infortunio occorso alla G.C. all’espletamento dell’attività lavorativa, riferibilità accertata anche dalla società assicuratrice nella istruttoria effettuata per conto della Azienda; la documentazione medica acquisita al giudizio dimostrava il nesso di causalità tra il trauma al ginocchio destro e I’ infortunio occorso nello svolgimento dell’attività lavorativa; l’Azienda aveva contestato la quantificazione del danno solo nel giudizio di appello.
Avverso tale sentenza l’Azienda Sanitaria Provinciale di Messina ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, al quale ha resistito con controricorso G.C..
SINTESI DEI MOTIVI
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e contraddittorietà ed illogicità della motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto che la prova del nesso di causalità fosse desumibile dalla istruttoria espletata dalla società assicuratrice e dalla certificazione medica. Lamenta, inoltre, illogicità della motivazione sostenendo di avere contestato la sussistenza del nesso di causalità già nel ricorso del giudizio di primo grado e assume l’irrilevanza della istruttoria espletata dalla società assicuratrice. Assume che la lavoratrice non aveva provato che l’infortunio dedotto in giudizio si era verificato durante l’espletamento della prestazione dell’attività lavorativa e deduce che la documentazione medica non specificava la data in cui la G.C. si era recata presso il Pronto Soccorso sicché non poteva ritenersi escluso che la medesima avesse subito un infortunio non in dipendenza del lavoro svolto.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n.3 e n. 5 c.p.c., omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c.
Lamenta che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto delle contestazioni da essa ricorrente formulate negli scritti difensivi di primo e di secondo grado in ordine al “quantum” della domanda risarcitoria e avrebbe errato nel parametrare il risarcimento del danno ai criteri propri del rapporto assicurativo, estraneo al rapporto di lavoro intercorrente tra la G.C. ed essa Azienda. Sostiene che il danno biologico avrebbe dovuto essere liquidato secondo i criteri individuati nella Tabella del Tribunale di Milano. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 ri. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., sostenendo che le spese processuali avrebbero dovuto essere poste a carico della G.C. la quale si era resa “responsabile dell’attività giudiziaria svolta”.
ESAME DEI MOTIVI
Il primo motivo del ricorso è infondato nella parte in cui addebita alla sentenza violazione dell’art. 2697 c.c. perchè la Corte territoriale non ha affatto violato i principi in tema di riparto dell’onere probatorio. Essa ha desunto la sussistenza del nesso di causalità tra l’infortunio e l’espletamento dell’attività lavorativa dalla mancanza di contestazioni formulate dalla Azienda nella fase amministrativa e nella fase istruttoria espletata dalla società assicuratrice, evidenziando che l’Assicurazione aveva agito su delega e per conto della stessa Azienda. La Corte territoriale ha tenuto conto anche della certificazione medica in data 22.12.2005, valorizzandone la portata probatoria in ragione del fatto che era stata rilasciata dal Pronto Soccorso nelle ore immediatamente successive alla verificazione dell’infortunio.
Il motivo è infondato nella parte in cui addebita alla sentenza vizi motivazionali perchè la Corte territoriale, diversamente da quanto opina la ricorrente, ha spiegato in maniera esaustiva, puntuale e lineare le ragioni poste a fondamento del “decisum”.
Le censure sono inammissibili nella parte in cui sollecitano, attraverso l’apparente denuncia di vizi motivazionali, una diversa lettura del materiale istruttorio, inammissibile in sede di legittimità (Cass.SSU 24148/2013 e 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208 /2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005).
Il secondo motivo è inammissibile perchè la ricorrente, in violazione degli oneri imposti dall’ art. 366 c.p.c., comma 2, n. 6, e dall’ art. 369 c.p.c., comma 1, n. 4, richiama atti processuali (comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado ed atto di appello) il cui contenuto non è riprodotto nel ricorso, nella parte rilevante ai fini della censura formulata. Tali atti non risultano allegati al ricorso e nemmeno ne è indicata la specifica sede di produzione processuale (Cass. SSUU 8077/2012 e 22726/2011; Cass. 13713/2015, 19157/2012, 6937/2010).
La ricorrente, inoltre, pur denunciando la mancata applicazione dei criteri risultanti dalle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, ha omesso di specificare se di siffatta violazione si sia doluta nel giudizio di appello versandole in atti (Cass. 12397/2016, 24205/2014, 12408/2011).
Il terzo motivo è infondato perchè nella regolazione delle spese la corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c.
In conclusione, il ricorso va rigettato sulla scorta delle considerazioni svolte, assorbenti di tutte le questioni e le eccezioni formulate dalle parti, con conseguente addebito alla ricorrente delle spese del giudizio di legittimità in applicazione del principio di soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA.
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