Corte di Cassazione sentenza n. 33434 depositata l’ 11 novembre 2022
sanzioni – l’art. 7 d.l. n. 269 del 2003 trova applicazione solo alle società o enti con personalità giuridica – interposizione fittizia – Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica
FATTI DI CAUSA
Con distinti ricorsi presentati dinnanzi alla CTP di Milano Giovanni Diana, amministratore unico della società fallita Soeco s.r.l., aveva impugnato tre avvisi di accertamento emessi dalla Agenzia delle Entrate nel 2010 e recanti l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie relative a fatture per operazioni inesistenti e precisamente: per l’anno 2000, sanzione amministrativa di euro 1.181.905,07; per l’anno 2001, sanzione amministrativa di euro 2.392.524,40; per l’anno 2002, sanzione amministrativa di euro 251.090,04.
Il Diana aveva contestato la legittimità degli avvisi di accertamento impugnati eccependo che le suddette sanzioni amministrative non dovevano essere irrogate nei suoi confronti, bensì applicate a carico della società fallita Soeco s.r.l., a norma dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003.
Contro la sentenza della CTP, che aveva accolto il ricorso e aveva annullato gli atti impugnati, l’Agenzia delle Entrate aveva proposto appello, rigettato dalla CTR con la sentenza n. 2038/50/14.
Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidato a due motivi.
E’ rimasto intimato il contribuente. L’Agenzia ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, l’Agenzia deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., la falsa applicazione dell’art. 7 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2003, n. 326 in quanto non si era tenuto conto del fatto che il Diana, oltre che autore materiale delle violazioni, era la persona che aveva la diretta gestione della società, utilizzata come “schermo” per la realizzazione di frodi fiscali dalle quali aveva tratto diretto vantaggio.
Il Diana, invero, era stato rinviato a giudizio, insieme ad altri soggetti, in relazione a diverse ipotesi di reato di cui al d.lgs. n. 74 del 2000 per fatti compiuti quale amministratore della SOECO (omessa presentazione di dichiarazioni ai fini dell’imposte dirette e IVA, emissione di fatture per operazioni inesistenti, distrazione di beni sociali, occultamento o distruzione delle scritture contabili) e la sua posizione era stata definita con sentenza di patteggiamento (v. nota 1 pag. 10 del ricorso).
2. Con il secondo motivo, l’Agenzia delle Entrate deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 9 del d.lgs. del 18 dicembre 1997, n. 472 nonché falsa applicazione, sotto altro profilo, dell’art. 7 d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito con modificazioni con legge 24 novembre 2003, n. 326, in quanto sussiste una responsabilità, anche in concorso con l’ente, quando il soggetto ha agito, come in questo caso, compiendo attività illecite per finalità estranee all’oggetto sociale e al di fuori del mandato di amministratore della società.
3. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati nei termini e nei limiti di cui alla presente motivazione.
3.1 Il d.l. n. 269 del 2003, art. 7, comma 1, rubricato «Riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie», dispone, al comma 1, che «Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica».
Inoltre, la stessa disposizione, al comma 2, specifica che le disposizioni di cui sopra si applicano alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data di entrata in vigore del decreto di riferimento.
Infine, l’ultimo comma, salva le disposizioni del decreto legislativo n. 472 del 1997, in quanto compatibili, attinente alla responsabilità degli enti aventi personalità giuridica.
3.2 La fattispecie, in principio, era regolata dall’art. 11 del decreto legislativo n. 472 del 1997, che prevedeva, nei casi in cui fosse stata commessa una violazione, che avesse inciso sulla determinazione o sul pagamento di un tributo, dal dipendente, dal rappresentante legale o dall’amministratore, anche di fatto, della società ovvero dell’ente avente personalità giuridica, che costoro fossero obbligati solidalmente al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni
Tale impianto sanzionatorio, prevedendo la responsabilità della persona fisica in un’ottica sostanzialmente penalistica, generava difficoltà pratiche ed applicative che hanno indotto il legislatore ad introdurre l’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, in deroga al principio contenuto nell’art. 2, comma 2, del citato decreto legislativo n. 472 del 1997· («la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso concorso a commettere la violazione»).
Ed invero, la Suprema Corte ha ripetutamente asserito che l’art. 7 del citato decreto, volto ad assicurare che la sanzione fiscale amministrativa si concentri sul soggetto che ha tratto effettivo beneficio dalla violazione, ossia la persona giuridica, «pone in via esclusiva a carico di società o enti con personalità giuridica le sanzioni relative al rapporto fiscale, prevedendo espressamente, al comma 3, che alla situazioni previste dalla norma non sono più applicabili le regole del d.lgs. n. 472/1997, ed in particolare non è più applicabile la responsabilità solidale a carico dell’amministratore (anche di fatto) secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale formatosi nel vigore .della precedente disciplina prevista dall’art. 11 di detto decreto» (Cass., n. 4775 del 2016; Cass., n. 25993 del 2014; Cass., n. 9122 del 2014; Cass.; n.13730 del 2015; Cass.; n. 25284 del 2017; Cass. n. 5924 del 2017; Cass. n. 28331 del 2018; Cass n. 32594 del 2019; Cass., n.9450 del 2020).
3.3 Si è anche precisato che «qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando l’ente con personalità giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio», viene meno la ratio giustificatrice dell’applicazione dell’art. 7 d.l. n. 269 del 2003 e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito: «In tal caso, la persona fisica che ha agito per conto della società è, al contempo, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera “fictio”, creata nell’esclusivo interesse della persona fisica» (v. Cass. n. 28332 del 2018; Cass. n. 10975 del 2019; n. 32594 del 2019; Cass. n. 25757 del 2020; Cass. n. 29038 del 2021; Cass. n. 10652 del 2022).
Deve darsi continuità a questo orientamento, formatosi con riguardo in particolare all’amministratore di fatto, che coglie un dato innegabile, ossia che, in tali ipotesi, esiste un soggetto che governa uti dominus la società di capitali, il quale fa proprie le attività, i redditi e i proventi dell’ente, cui lascia la formale responsabilità e l’onere delle imposte, non assolte.
3.4 Questa Corte, peraltro, ha recentemente puntualizzato che la ratio di questa soluzione non può poggiare sulla considerazione della società come mera fictio, priva dunque di realtà giuridica (Cass. n. 23231 del 2022), perché si impone una lettura restrittiva dei casi di nullità della società, a nessuno dei quali è riconducibile la simulazione (Cass. 22560 del 2015; Cass. n. 20888 del 2019); si è precisato, a questo proposito, che la società, quale «nuovo autonomo soggetto giuridico, una volta iscritto nel registro delle imprese, agisce coinvolgendo terzi a prescindere dalla volontà effettiva, vive di vita propria ed opera compiendo la propria attività per realizzare lo scopo sociale, a prescindere dall’intento preordinato dei suoi fondatori» (Cass. n. 29700 del 2019).
Deve farsi riferimento, piuttosto, all’art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui «In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona», quale meccanismo che, nel nostro ordinamento, mira a riallineare l’attività svolta da un altro soggetto sull’effettivo percettore dei redditi e che trova applicazione sia in caso di interposizione fittizia che reale (Cass. n. 5276 del 2022).
Per la sua ampia latitudine, l’applicazione di questa norma non è limitata dalla tipologia di reddito oggetto di accertamento e, dunque, si estende anche al reddito d’impresa e all’ipotesi in cui l’interposto sia una società di capitali, salva la necessaria specifica verifica della relazione di fatto tra contribuente e reddito per operare la traslazione del reddito d’impresa prodotto all’effettivo titolare.
Si è, quindi, affermato che «in tema di accertamento sulle imposte dirette e sull’Iva, nei confronti del soggetto che abbia gestito uti dominus una società di capitali si determina, ai sensi dell’art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, la traslazione del reddito d’impresa, e delle relative imposte, in quanto effettivo possessore del reddito della società interposta; inoltre, in tale ipotesi, tra i due soggetti si instaura un rapporto di mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore uti dominus e la mandante è la società, sicché, ove le prestazioni di servizi cui il primo abbia partecipato per conto della seconda siano soggette a IVA, pure il rapporto giuridico tra il mandatario e la società interposta è soggetto all’IVA; a tali fini incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente, spettando quindi al contribuente l’onere di fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto» (Cass. n. 23231 del 2022).
3.5 Questo inquadramento ha immediate conseguenze anche sul piano sanzionatorio. L’irrogazione delle sanzioni, difatti, trova il suo diretto riferimento nella condotta dell’interponente, il quale è sanzionato in proprio, in relazione all’avvenuta traslazione del reddito e dei relativi tributi dell’ente collettivo, con conseguente imputazione anche delle condotte evasive.
La fattispecie è esterna al perimetro dell’art. 7 d.l. n. 269 del 2003 perché il rapporto fiscale che viene in considerazione non è quello, previsto dalla citata norma, «proprio di società o enti con personalità giuridica» ma, in conseguenza della traslazione del reddito all’effettivo possessore ex art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1970, quello specifico e proprio dell’interponente.
Il contribuente non riveste, in questo caso, la posizione di amministratore ma è l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società come se fossero stati da lui prodotti, sicché assume rilievo, anche per tale versante, il suo rapporto fiscale, con le correlate sanzioni per gli inadempimenti e le violazioni che lo caratterizzano, e non quello della società.
4. I due motivi, quindi, devono essere accolti nei limiti e nei termini di cui in motivazione e la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado (già Commissione Tributaria Regionale) della Lombardia che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
p.q.m.
accoglie i due motivi di ricorso nei limiti e nei termini di cui in motivazione e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado (già Commissione Tributaria Regionale) della Lombardia che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.