CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 33958 depositata il 5 dicembre 2023
Lavoro – Licenziamento disciplinare – Pubblico impiego – Amministratore unico società – Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà – Cause di incompatibilità – Possibilità di sospendere il procedimento disciplinare – Inerzia dei soci – Dimissioni – Rigetto
Fatti di causa
Con sentenza del 26 luglio 2022 la Corte d’Appello di Catania confermava la decisione resa dal Tribunale di Siracusa e rigettava la domanda proposta da V. F. nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Siracusa, alle cui dipendenze l’istante operava con qualifica di collaboratore professionale sanitario-tecnico di radiologia, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole per aver ricoperto la carica di amministratore unico della T.D. M. S.r.l. senza soluzione di continuità dal 2006 al 15.1.2016 e per aver al momento dell’assunzione presso la ASP reso una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non veritiera, in cui la stessa dichiarava di non trovarsi in alcuna delle prescritte cause di incompatibilità.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto non aver il giudice dell’opposizione travisato il concetto di terzietà che deve connotare l’UPD che non può dirsi venuta meno per esserne componente il dirigente dell’UOC Risorse Umane destinatario dell’iniziale segnalazione autore dei primi accertamenti, di aver il medesimo giudice correttamente considerato preclusa la proposizione di domande nuove da parte della parte vittoriosa nel giudizio sommario, parimenti corretta da parte dello stesso giudice l’individuazione nella comunicazione dell’UPD dell’8.2.2016 il dies a quo del termine perentorio di quaranta giorni previsto dall’art. 55 bis, comma 4, d.lgs. n. 165/2001 per la tempestiva contestazione degli addebiti intervenuta in data 24.2.2016, la sola da qualificarsi come tale non potendo considerarsi in termini analoghi l’atto del meramente interlocutorio del 15.1.2016 così da non poter imputare alla ASP datrice la violazione del principio del ne bis in idem, provata la violazione dell’art. 53, d.lgs. n. 165/2001 per aver l’istante falsamente attestato di non versare in situazioni di incompatibilità quando, invece, già prima dell’assunzione ricopriva la carica di amministratore unico della T.D. M. ed ha continuato a rivestirla per il periodo contestatole, risultando smentite le asserite dimissioni che l’istante assume aver comunicato alla T.D. M. anteriormente alla sua assunzione presso la ASP.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la F., affidando l’impugnazione a sei motivi, cui resiste, con controricorso, la ASP di Siracusa.
La Procura Generale ha depositato la propria requisitoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
La ricorrente ha poi presentato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 10 del Regolamento di funzionamento dell’UPD approvato con delibera 431/2015 e della delibera n. 150/2014, imputa alla Corte territoriale di aver erroneamente escluso l’incompatibilità nella specie di due soggetti facenti parte dell’UPD, deducendo la nullità del procedimento disciplinare.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 53, l. n. 92/2012, 414 e 416 c.p.c., la ricorrente imputa alla Corte territoriale l’error in procedendo dato dalla mancata ammissione dei nuovi motivi di impugnazione del licenziamento dedotti dalla F., vittoriosa nella fase sommaria, in sede di costituzione nel giudizio di opposizione promosso dalla ASP.
Con il terzo motivo, rubricato con riferimento all’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ed alla violazione e falsa applicazione dell’art. 55, comma 4, d.lgs. n. 165/2001 (ante riforma 2017), della delibera n. 150/2014 richiamata dalla delibera n. 431/2015, della l. n. 241/1990, dell’art. 55 bis, comma 4, d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 1335 c.c. e degli artt. 113 e 437 c.p.c, la ricorrente imputa alla Corte territoriale di aver mancato di considerare della ricorrenza nel verbale di audizione del 18.1.2016 di tutti gli elementi propri della contestazione disciplinare così che quella formalmente elevata come tale dalla ASP datrice risulta assunta in violazione del principio del ne bis in idem quanto l’intervenuta revoca con la nota n. 379 del 2.3.2016 dell’atto in data 24.2.2016 assunto dalla Corte medesima come l’effettiva contestazione da cui discende l’eccepita intempestività del dies a quo come anche del dies ad quem della contestazione disciplinare.
Nel quarto motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 437 e 113 c.p.c., 60 e 63 d.P.R. n. 3/1957 e 4, comma 7, l. n. 412/1991 è prospettata in relazione all’aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto provata la ricorrenza della contestata situazione di incompatibilità ex art. 53, d.lgs. n. 165/2001 e non ammesso i mezzi istruttori richiesti;
Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 214 c.p.c. e 2702 c.c. per aver la Corte territoriale dato rilievo a scritture che non recavano alcuna sottoscrizione ed alcun elemento autografo della F. e che pertanto non necessitavano di alcun formale disconoscimento, essendo sufficiente il mero non riconoscimento conseguente alle sollevate contestazioni.
La censura formulata con il sesto motivo ed afferente alla violazione e falsa applicazione degli artt. 113 c.p.c. e 2485-2487 c.c. è intesa ad imputare alla Corte territoriale l’erroneità del convincimento per il quale era onere della F., quale amministratore della T.D. M., attivarsi al fine di conferire effettività alle dimissioni presentate.
Il primo motivo si rivela inammissibile vuoi perché denuncia la violazione di atti non aventi natura normativa, vuoi perché la dedotta nullità del procedimento è incentrata su ragioni di incompatibilità di due componenti dell’UPD che la Corte territoriale dichiara insussistenti sulla base di rilievi che o non risultano contestati (come quello per cui il dirigente della UOC Risorse Umane non era il soggetto che aveva effettuato la segnalazione ma colui che l’aveva ricevuto), o sono frutto di un apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede (come quello per cui il secondo componente non faceva parte dell’ufficio in cui era inserita la F., fondandosi la censura sulla pretesa che la valutazione dovesse essere fatta a livello di unità complessa e non, come ritenuto dalla Corte territoriale, a livello di unità semplice).
Anche il secondo motivo va disatteso: è pur vero che, siccome la fase dell’opposizione del rito Fornero è una mera prosecuzione della fase sommaria, ben poteva la F. – contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata – sollevare nuovi motivi di nullità della sanzione; tuttavia l’assunto dell’odierna ricorrente era comunque infondato perché riferito ad una pretesa necessità di sospendere il procedimento disciplinare in attesa di quello penale; infatti, all’epoca era già vigente la mera possibilità – e non necessità – per l’amministrazione di sospendere o meno il procedimento disciplinare in attesa della definizione di quello penale.
Ancora inammissibile deve ritenersi il terzo motivo, risolvendosi le censure mosse nella mera confutazione dell’iter valutativo in base al quale la Corte territoriale è giunta ad individuare nell’atto emesso in data 24.2.2016 la sola contestazione disciplinare elevata a carico della F., escludendo che tali potessero essere considerati il verbale dell’audizione del 18.1.2026 e la nota del 2.3.2016 che si assume integralmente sostitutiva dell’atto del 24.2.2016, con ciò escludendo, da un lato, la violazione del principio del ne bis in idem, dall’altro, l’intempestività della contestazione.
Inammissibile è pure il quarto motivo per risolversi le censure da un lato nella confutazione dell’apprezzamento discrezionale del materiale istruttorio rimesso al giudice del merito e, come tale, insindacabile in sede di legittimità, dall’altro, nella contestazione dell’esercizio del potere discrezionale di ammettere i mezzi istruttori, parimenti insindacabile in questa sede.
Non diversamente è a dirsi per il quinto motivo, derivando l’inammissibilità del medesimo dalla mancata confutazione del rilievo, in sé ineccepibile sul piano logico e giuridico, operato dalla Corte territoriale per cui le dimissioni comunicate dalla F. al T.D. M. risultano smentite dalla circostanza, accertata in sede di merito, secondo cui la ricorrente ha continuato, anche dopo il giugno 2012, a firmare numerosi atti nella qualità di amministratore unico della Società.
Da ultimo parimenti inammissibile si rivela il sesto motivo, valendo a tal fine il rilievo formulato dalla Corte territoriale e rimasto incontestato per cui l’eventuale inerzia dei soci nell’accogliere le dimissioni della F. non giustifica in alcun modo che la stessa abbia continuato a firmare atti societari sino al 2016.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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