CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 36071 depositata il 9 dicembre 2022
Contratto di prestazione d’opera professionale – Compenso del professionista per prestazioni professionali stragiudiziali – Cessazione dell’incarico prima di essere portato a compimento – Criterio del calcolo delle competenze a percentuale – Inapplicabilità – Determinazione convenzionale del compenso resta valida anche in caso di recesso del cliente – Riduzione proporzionale del compenso in relazione all’opera effettivamente prestata – Accoglimento
Fatti di causa
1.1. La corte d’appello di Venezia, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello che G.B., M.B. e R.B. avevano proposto avverso la pronuncia con la quale il tribunale di Verona, in data 24/6.18/11/2010, respingendo la domanda d’accertamento negativo dagli stessi proposta con atto di citazione notificato il 26/5/2006 nei confronti dell’avv. C.T. ed accogliendo invece la domanda riconvenzionale proposta da quest’ultimo, li aveva condannati a pagare, in favore dello stesso, la somma complessiva di €. 378.035,00, oltre interessi, accessori e spese, quale compenso maturato per le prestazioni professionali stragiudiziali da lui rese in esecuzione del contratto con il quale gli attori lo avevano incaricato, insieme ad altro professionista, di svolgere tutta l’attività professionale di consulenza e di assistenza legale, fiscale e finanziaria nonché di valutazione delle società B.H. s.p.a. e T.N. s.r.l. necessarie per ottenere la liquidazione delle relative quote di partecipazione.
1.2. La corte d’appello, in particolare, ha dichiaratamente condiviso la decisione del tribunale lì dove: – “ha fatto riferimento ad una valutazione complessiva delle attività professionali ed al valore della prestazione” svolta dall’avv. T. alla luce della tabella D del d.m. n. 127 del 2004; – ha affermato che, in forza di tale decreto, “per le pratiche iniziate, ma non giunte a compimento, ovvero in caso di cessazione dell’incarico per qualsiasi motivo, sono dovuti gli onorari per l’opera prestata, comprendendosi in questa il lavoro preparatorio svolto dal professionista”; – ha ritenuto che “nella determinazione degli onorari fra il minimo ed il massimo stabiliti, si deve tener conto del valore e della natura della pratica, del numero e dell’importanza delle questioni trattate, del pregio dell’opera prestata, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente e dell’eventuale urgenza della prestazione”.
1.3. Non risulta, quindi, rilevante, ha proseguito la corte, la doglianza con la quale gli appellanti, al fine di contestare l’ammontare del compenso dovuto, avevano addebitato all’avv. T. la cessazione dall’incarico sul rilievo che le proposte da questo congegnate si erano rivelate poco vantaggiose per gli assistiti e che il giudice di primo grado avrebbe dovuto valutare il pregio dell’opera svolta dallo stesso considerando che la conclusione dell’accordo di cessione delle quote sociali alle condizioni proposte sarebbe stata altamente rischiosa per gli stessi, trattandosi, in realtà, di “una censura tanto generica quanto inapprezzabile, poiché se non vi è stata una responsabilità professionale dell’appellato, il giudizio di convenienza, che rimane proprio degli interessati, è, se così espresso, circostanza indifferente rispetto al pregio ed alla complessità dell’opera svolta e di cui si chiede il pagamento”.
1.4. Nel caso in esame, del resto, ha aggiunto la corte, il pregio dell’opera – inteso come la “sintesi di un articolato giudizio critico sul valore complessivo dell’opera svolta, che deve tener conto non solo del risultato, perché magari contrario alle aspettative dell’assistito, ma di tutto il percorso di studio e costruzione delle scelte giuridiche e pratiche fatte dal professionista ed espressione della capacità intellettuale e professionale dello stesso” – “pare evidente, atteso il valore e la complessità delle valutazioni da fare, delle scelte da adottare, degli incontri e della redazione di atti specifici”.
1.5. La percentuale applicata ai fini del compenso, pari al 2,5% rispetto al “valore delle pratiche” (del quale la corte ha dichiaratamente condiviso “la corretta ricostruzione” operata dal tribunale) è, poi, “equa” ed “atta a tenere conto anche del mancato completamento dell’opera”.
1.6. Quanto, infine, al valore della partecipazione nella s.r.l. T.N., la corte ha osservato che la consulenza tecnica d’ufficio svolta nel corso del giudizio ha confermato la correttezza della valutazione svolta a suo tempo dall’avv. T., pari “al lordo” ad €. 12.312.630.
1.7. La corte, in definitiva, ha ritenuto che “la ricostruzione della vicenda effettuata dal tribunale” fosse del tutto condivisibile e che l’appello proposto fosse, per l’effetto, privo di fondamento.
2.1. M.B., R.G.B., in proprio e nella qualità di erede di G.B., e A.S., in qualità di erede di G.B., con ricorso spedito per la notifica il 20/1/2017, illustrato da memoria, hanno chiesto, per sette motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, notificata, come da relazione in atti, il 21/11/2016.
2.2. C.T. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
2.3. Fissata la pubblica udienza, il Pubblico Ministero, con memoria depositata l’8/6/2022, ha concluso per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso o, in subordine, per il suo rigetto. I ricorrenti e il controricorrente hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
3.1. Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione di legge in relazione al d.m. n. 127 del 2004, tabella D, e all’art. 4 del d.m. 23/12/1976, a norma dell’art. 360 n. 3 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur avendo rilevato che l’incarico era cessato prima di essere portato a compimento, ha applicato il criterio del calcolo delle competenze a percentuale previsto dalla tabella D del d.m. n. 127 cit., ritenendo congrua la percentuale del 2,5% sul valore della pratica, senza, tuttavia, considerare che, in realtà, come dedotto con l’atto d’appello, l’art. 4 dello stesso decreto, se prevede il diritto al compenso per l’attività preparatoria svolta dal professionista anche in ipotesi di cessazione dell’incarico prima che lo stesso sia portato a compimento, non ammette, però, l’applicazione, in tale ipotesi, della tariffa a percentuale, che presuppone il completamento dell’incarico professionale, dovendosi, piuttosto, prendere in considerazione soltanto l’attività effettivamente svolta dal professionista, così come specificamente indicata nella relativa parcella.
3.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione di legge in relazione all’art. 59 del r.d.l. n. 1578 del 1933 e all’art. 75 disp.att. c.p.c., a norma dell’art. 360 n. 3 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, condividendo il riferimento fatto dal tribunale alla valutazione complessiva delle attività professionali svolte ed al valore della prestazione resa dall’avv. T., non ha applicato il principio che prevede la redazione in forma analitica della parcella quando, come nel caso in esame, poiché le prestazioni non erano giunte a compimento, dev’essere escluso il ricorso al calcolo del compenso a percentuale.
3.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, avendo ritenuto applicabile il criterio del calcolo del compenso a percentuale senza richiedere la redazione della parcella in forma analitica, ha omesso di svolgere qualsiasi verifica in ordine alla corrispondenza tra le singole prestazioni che il professionista afferma di aver svolto, così come indicate nell’Elenco delle attività” allegato al proprio preavviso di parcella, e l’effettiva esecuzione delle stesse. La corte d’appello, inoltre, nulla ha dedotto in ordine alle censure messe sul punto dagli appellanti, i quali, in relazione alla voce costituita dalla “redazione bozza accordo preliminare vendita quote”, contenuta nel menzionato elenco, avevano affermato che, in realtà, tale bozza, che si assume redatta il 27/5/2005, non era agli stessi mai pervenuta. E la medesima contestazione dev’essere, infine, svolta, hanno aggiunto i ricorrenti, con riferimento agli incontri, alle telefonate, ai fax e alle e-mail indicate dal professionista nell’Elenco delle attività” sopra citato, di cui, però, non è mai stata fornita in giudizio la prova, senza che la corte d’appello, pur trattandosi di fatti decisivi per il giudizio, si sia espressa sul punto.
3.4. Con il quarto motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., a norma dell’art. 360 n. 3 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, ove mai si fosse espressa in ordine alle contestazioni predette, ritenendo che l’avv. T. abbia effettivamente redatto la bozza di accordo di cui sopra ed abbia altresì preso parte ai numerosi incontri indicati nel citato “Elenco delle attività”, non ha, tuttavia, rilevato, in violazione dell’art. 115 c.p.c., che, in realtà, l’esecuzione di tali prestazioni, asseritamente eseguite dal professionista e contestate dai clienti, erano del tutto sfornite di prova, né, del resto, ha indicato, in violazione dell’art. 2697 c.c., quali sarebbero state le prove fornite a dimostrazione dell’effettivo svolgimento, da parte del professionista, delle attività sopra descritte, che è stata, in realtà, solamente indicata dall’avv. T. e non giustifica l’esorbitante quantificazione delle competenze richieste dallo stesso, tanto più che la bozza di accordo, indicata in parcella come redatta il 27/5/2005, non è mai pervenuta agli esponenti.
3.5. Con il quinto motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione di legge in relazione al d.m. n. 127 del 2004, a norma dell’art. 360 n. 3 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, senza svolgere alcuna considerazione in ordine alle puntuali contestazioni mosse dagli appellanti in ordine all’impraticabilità giuridica dell’accordo di cessione di quote prospettato dall’avv. T., si è limitata ad affermare che, nella quantificazione delle competenze tra il minimo e il massimo stabiliti, si deve tener conto, tra l’altro, del pregio dell’opera prestata dal professionista e che, ove non sussista una responsabilità professionale dello stesso, il giudizio di convenienza espresso dai clienti rimane un fatto irrilevante rispetto al pregio e alla complessità dell’opera svolta, senza, tuttavia, considerare: – innanzitutto, che la valutazione del pregio dell’opera prestata prescinde dalla contestazione di una responsabilità professionale, tanto più in un caso, come quello presente, in cui l’opera non è stata portata a compimento; – in secondo luogo, che gli appellanti non si erano limitati a contestare l’operato dell’avv. T. sulla base di una valutazione soggettiva in termini di mera convenienza della prestazione.
3.6. Con il sesto motivo, i ricorrenti, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di rilevare che le puntuali ed articolate contestazioni svolte dai clienti in ordine al pregio dell’opera svolta dall’avv. T. non consistevano in una valutazione soggettiva di mera convenienza circa i termini dell’unico accordo proposto dal professionista ma si fondavano su rilievi concernenti l’impraticabilità giuridica di tale accordo e sui gravissimi rischi che, in ragione del prospettato trasferimento di beni appartenenti ad una società di capitali, la relativa stipulazione avrebbe comportato per gli stessi, al punto che, in ipotesi di conclusione di tale accordo, ne sarebbe conseguita la responsabilità professionale del suddetto legale. I Bertani, peraltro, hanno aggiunto i ricorrenti, avevano valutato negativamente l’operato dell’avv. T. anche sul rilievo che, nell’ipotesi di accordo prospettata da quest’ultimo, gli stessi avrebbero dovuto trasferire la quota sociale oggetto di cessione ad una società fiduciaria entro novanta giorni della sottoscrizione dell’accordo, ricevendo il prezzo solo dopo quattro anni e ottenendo a garanzia del relativo pagamento, già a rischio per la predetta previsione giuridicamente impraticabile, una fideiussione che non copriva neppure la metà del valore delle quote oggetto di cessione.
3.7. Con il settimo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione di legge in relazione al d.m. n. 127 del 2004, a norma dell’art. 360 n. 3 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, sul presupposto che l’incarico era stato conferito in modo unitario, ha ritenuto congruo il valore della prestazione indicato dal professionista e corrispondente all’intero patrimonio sociale, anche per prestazioni che avevano ad oggetto solo una parte delle quote sociali e singoli beni, pervenendo ad una inammissibile moltiplicazione dei valori di ciascuna prestazione, laddove, al contrario, come dedotto con l’atto d’appello, a fronte dell’insussistenza di criteri certi per la determinazione del valore della controversia per la sua oggettiva incertezza e il mancato compimento dell’incarico, avrebbe dovuto ritenere che il valore dell’attività svolta era quello indeterminato.
4.1. Il primo motivo è senz’altro ammissibile poiché censura il criterio di liquidazione del compenso che la corte d’appello ha dichiaratamente utilizzato, e cioè una percentuale del valore delle pratiche trattate dall’avv. T., pur a fronte del fatto (senz’altro rilevabile d’ufficio dal giudice d’appello ai sensi dell’art. 345, comma 2°, c.p.c.) costituito (come, in effetti, la corte d’appello ha accertato) dal “mancato completamento” dell’incarico conferito al professionista a seguito di recesso dei clienti: ed è anche fondato.
4.2. La corte d’appello, in effetti, pur avendo accertato, in fatto, al pari del tribunale (cfr. la sentenza di primo grado, p. 7), che l’incarico conferito all’avv. T. non era stato portato a termine per effetto del recesso operato dai clienti, ha ritenuto, in diritto, che il compenso maturato da quest’ultimo doveva essere liquidato secondo una percentuale del valore delle pratiche trattate dallo stesso e che la percentuale a tal fine applicata, pari al 2,5% rispetto a tale valore, era idonea a dar conto – oltre che del valore e della natura della pratica, del numero e dell’importanza delle questioni trattate, del pregio dell’opera prestata, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente e dell’eventuale urgenza della prestazione (v. la sentenza, p. 6, 7) – “anche del mancato completamento dell’opera” (v. la sentenza, p. 8).
4.3. Così argomentando, tuttavia, la corte d’appello non ha considerato che, nel contratto di prestazione d’opera professionale, compreso quello intercorso tra cliente e avvocato in materia stragiudiziale, il cliente può sempre recedere dal contratto, pagando al prestatore d’opera le spese sostenute e il compenso per l’opera svolta (art. 2237, comma 1°, c.c.), e che il recesso del cliente, giustificato o meno, non incide, pertanto, sulla determinazione della misura del compenso, se non nel senso che il compenso è dovuto non per tutta l’opera commessa ma, sulla base dei criteri previsti dall’art. 2233 c.c., solo per l’opera svolta (Cass. n. 29745 del 2020; Cass. n. 6465 del 2022, in motiv.).
4.4. Ciò comporta che, nel caso in cui vi sia stata tra il cliente e l’avvocato una valida ed efficace determinazione convenzionale del compenso, la stessa, salvo che le parti contraenti abbiano manifestato una volontà contraria, rimane pur sempre applicabile anche nel caso di recesso del cliente, sicché il compenso pattuito per l’intera opera dovrà essere proporzionalmente ridotto in relazione all’opera prestata (Cass. n. 29745 del 2020; Cass. n. 6465 del 2022, in motiv.; in precedenza, Cass. n. 10444 del 1998).
4.5. Se, al contrario, non v’è stata tra le parti del rapporto una valida ed efficace determinazione convenzionale del compenso ed, in ogni caso, quando la determinazione del compenso sia stata contrattualmente affidata al giudice ma facendo rinvio (come nella vicenda in esame: v. il ricorso, p. 6, alla nota 3, in fine) alle tariffe applicabili ratione temporis, la determinazione del compenso maturato dall’avvocato per le prestazioni dallo stesso rese in materia stragiudiziale fino all’anticipata cessazione dell’incarico conferitogli (anche per recesso del professionista o, come nel caso in esame, dei clienti: v. la sentenza di primo grado, p. 7) dev’essere operata avendo riguardo soltanto ai criteri, così come ivi stabiliti (vale a dire, nel caso in esame, quelli indicati dall’art. 1, comma 2, del capitolo III del d.m. n. 127 del 2004), che sono, in effetti, compatibili con il mancato espletamento di alcune delle prestazioni previste dal contratto d’opera professionale ovvero con la mancata realizzazione del risultato in vista del quale l’incarico era stato conferito, come la natura ed il valore della pratica, il numero e l’importanza delle questioni trattate, il pregio dell’opera prestata: dovendosi, per contro, escludere l’utilizzabilità dei criteri, come l’effettivo conseguimento del risultato o del vantaggio, anche non economico, che il cliente intendeva ottenere, che sono, di regola, compatibili solo con l’integrale espletamento di tutte le prestazioni previste nell’atto di conferimento dell’incarico (Cass. n. 16212 del 2008, in motiv., secondo cui “il risultato o il vantaggio sono elementi valutabili nella loro interezza in relazione al completamento della prestazione”), salva, beninteso, l’ipotesi del raggiungimento parziale di un risultato utilizzabile dal cliente, non essendo “normativamente esclusa una autonoma valutazione dei vantaggi che siano derivati al cliente da singoli atti o dal complesso di quelli comunque compiuti” (Cass. n. 16212 del 2008, in motiv.).
4.6. Ed ove si tratti (come nel caso in esame) di prestazioni di assistenza “in pratiche di … liquidazioni … quando esigano continuativa attività di consulenza”, l’esposta conclusione vale, evidentemente (e a maggior ragione), anche per il criterio di cui alla voce n. 4 della tabella D del d.m. n. 127 cit., costituito dalla determinazione del compenso maturato per in una percentuale compresa fra il limite minimo dello 0,50 % ed il limite massimo del 5 % del valore (della quota attribuita al cliente: art. 5, comma 4, del capitolo III cit.), i quali, infatti, tanto nella misura minima, quanto nella misura massima, presuppongono l’integrale espletamento, da parte dell’avvocato, dell’attività di consulenza finalizzata alla liquidazione (cfr., sul punto, Cass. n. 5957 del 1988): tanto più se si considera che l’applicazione di tale criterio anche al caso di mancato completamento dell’incarico finirebbe, di fatto, non solo per risolversi nel riconoscimento, in favore del professionista, di un compenso comprensivo del mancato guadagno (che, al contrario, non gli spetta: Cass. n. 185 del 2020) ma anche per rendere praticamente indifferente il completamento o meno, da parte dello stesso, dell’opera a suo tempo affidatagli, duplicando i compensi a carico del cliente per le residue prestazioni necessarie a completare l’incarico (non eseguite dal professionista inizialmente designato) ove affidate, dopo il recesso, ad altro professionista.
4.7. Il compenso maturato dall’avvocato in caso di mancato completamento dell’incarico stragiudiziale per recesso del cliente, dev’essere, in definitiva, determinato in relazione a quanto isolatamente previsto dalle singole voci delle tariffe (o, in mancanza, sulla base della valutazione equitativa del giudice ai sensi dell’art. 2233 c.c.) per ciascuna delle prestazioni effettivamente svolte fino alla cessazione dell’incarico, autonomamente considerate, le quali, in effetti, costituiscono, al pari del lavoro preparatorio, “l’opera prestata” dal professionista (art. 6 del capitolo III cit.).
4.8. Il sesto motivo (che pure è ammissibile in quanto censura, come il controricorrente ha espressamente ammesso nelle memorie, la statuizione con cui la corte d’appello ha rigettato le eccezioni svolte dagli appellati circa il pregio dell’opera svolta dall’avv. T. per non avere il primo giudice considerato il fatto che, specie in ragione del prospettato trasferimento di beni appartenenti a terzi, la conclusione dell’accordo di cessione delle quote societarie alle condizioni proposte da quest’ultimo sarebbe stata per gli stessi altamente rischiosa) è, nei termini che seguono, (anche) fondato.
4.9. La corte d’appello, infatti, ha ritenuto che, “se non vi è stata una responsabilità professionale dell’appellato, il giudizio di convenienza, che rimane proprio degli interessati, è, se così espresso, circostanza indifferente rispetto al pregio ed alla complessità dell’opera svolta e di cui si chiede il pagamento” senza, tuttavia, considerare che, come inequivocamente eccepito dai committenti, il diritto del professionista al compenso, nei termini in precedenza esposti, richiede che il giudice di merito pur in caso di anticipata cessazione del rapporto accerti, in fatto, la concreta ed effettiva idoneità funzionale delle prestazioni medio tempore svolte a conseguire il risultato programmato con il conferimento del relativo incarico (vale a dire, nel caso in esame, la liquidazione, a mezzo di atti tecnicamente appropriati ed efficacemente realizzabili, delle quote di partecipazione societaria oggetto della programmata cessione), essendo, in effetti, evidente che, in difetto, (e pur in mancanza di una responsabilità contrattuale del professionista a tal fine incaricato per aver fino a quel momento operato con la dovuta perizia), non potrebbe neppure parlarsi di atto di adempimento, sia pur parziale, degli obblighi contrattualmente assunti dallo stesso.
4.10. I restanti motivi restano, invece, assorbiti, al pari evidentemente delle questioni d’inammissibilità degli stessi sollevate in controricorso.
5. Il primo e, nei limiti esposti, il sesto motivo di ricorso devono essere, quindi, accolti e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Venezia che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Così provvede: accoglie il primo e, nei limiti esposti, il sesto motivo di ricorso, assorbiti tutti gli altri; cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Venezia che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.