CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 36153 depositata il 12 dicembre 2022

Lavoro – Istituto bancario – Fondo di previdenza complementare – L’intera somma versata a fondo va ricompresa nella base imponibile per il calcolo dell’imposta – Esenzione fiscale solo per i contributi previdenziali obbligatori – Riduzione della base imponibile all’87,5% soltanto per le pensioni complementari erogate “in forma di trattamento periodico – Accoglimento

Fatti di causa

1. G.C., dipendente della Banca Commerciale Italiana dal 1962 al 1999, chiese all’Erario il rimborso dell’importo di € 7.365,49 sull’assunto della non imponibilità dei contributi versati nel corso del rapporto al fondo aziendale di previdenza complementare (denominato “Fondo di Previdenza per il Personale della Banca Commerciale Italiana”, quindi “Fondo Pensioni per il Personale della Banca Commerciale Italiana”).

Avverso il silenzio-rifiuto formatosi a seguito dell’istanza, il contribuente propose ricorso innanzi alla CTP di Roma, che lo accolse.

2. Il successivo appello proposto dall’Amministrazione fu respinto dalla CTR del Lazio.

I giudici del gravame ritennero che – in base alla disciplina applicabile ratione temporis, ed in particolare al d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 e agli artt. 16, comma primo, lett. a), e 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – la tassazione dell’indennità in questione andasse calcolata sull’imponibile al netto dei contributi deducibili.

La pronunzia riconobbe altresì il diritto del contribuente di veder detratta dalla base imponibile l’aliquota del 12,5% fino al 31 dicembre 2000, come previsto dalla l. n. 482/1995.

3. L’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il contribuente ha depositato controricorso.

Inizialmente chiamata innanzi alla sezione sesta, la causa è stata rinviata nella presente sede d’udienza sul rilievo del difetto di evidenza decisoria, documentato da un latente contrasto giurisprudenziale.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, l’amministrazione finanziaria denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 17, comma secondo, e  48, comma secondo, lett. a), del d.P.R. n. 917/1986 (nel testo vigente ratione temporis, oggi contenuto negli artt. 19 e 51 dello stesso decreto).

Ad avviso della ricorrente, la natura facoltativa della previdenza complementare renderebbe applicabile alla fattispecie l’art. 48, comma secondo, del d.P.R. n. 917/1986, a mente del quale soltanto i contributi previdenziali e assistenziali obbligatori (vale a dire versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge) non concorrono a formare il reddito; di conseguenza, i contributi oggetto di controversia, versati a un fondo di previdenza complementare in base a un accordo aziendale, concorrerebbero a formare la base imponibile senza alcuna detrazione.

2. Con il secondo mezzo è denunziata violazione degli artt. 47, comma primo, lett. h-bis), e 48, comma 7-bis, del d.P.R. n. 917/1986.

L’Amministrazione critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha accolto la censura del contribuente relativamente alla mancata decurtazione dell’imponibile dalla quota del 12,5%, rilevando che quest’ultima sarebbe applicabile alle sole prestazioni periodiche, fra le quali non rientra la capitalizzazione del fondo.

3. Il primo motivo è fondato.

3.1. Superate alcune ormai risalenti oscillazioni, la giurisprudenza di questa Corte si attesta da tempo nel ritenere che, ove un istituto bancario abbia effettuato, in favore di un ex dipendente, un’erogazione di capitale tramite un fondo di previdenza complementare istituito per il proprio personale in base ad un accordo accessorio al rapporto d’impiego ed inerente al trattamento pensionistico integrativo, il reddito che così si configura in capo al dipendente va accluso alla categoria della «pensione integrativa» cui lo stesso ha rinunciato, ai sensi dell’art. 6, comma secondo, del d.P.R. n. 917/1986.

Tale reddito va, pertanto, assoggettato al medesimo regime fiscale cui sarebbe stata sottoposta la pensione integrativa; ne deriva la necessità di considerare, nella base imponibile per il calcolo dell’imposta, l’intera somma versata dal fondo, senza diffalco dei contributi versati; e ciò in quanto, ai sensi dell’art. 48, comma secondo, lett. a) del d.P.R. n. 917/1986 (nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003), gli unici contributi previdenziali e/o assistenziali che non concorrono a formare il reddito sono quelli versati in ottemperanza a disposizioni di legge (così, fra le altre, Cass. n. 22673/2022; Cass. n. 14571/2021; Cass. n. 28125/2020; Cass. n. 13353/2020; Cass. n. 33827/2019; Cass. n. 124/2018).

2.2. Nel caso in questione, pertanto, va data continuità al principio in base al quale la determinazione dell’imponibile derivante da prestazioni erogate da fondi di previdenza complementare per il personale degli istituti bancari include anche i contributi versati dal dipendente, attesa la loro natura facoltativa, restando fiscalmente esenti – a norma dell’art. 48 del d.P.R. n. 917/1986, nel testo vigente ratione temporis (oggi art. 51) – soltanto i contributi previdenziali obbligatori, quelli versati cioè «in ottemperanza a disposizioni di legge».

3. Anche il secondo motivo è fondato.

3.1. L’art. 47, comma primo, lett. h-bis), del d.P.R. n. 917/1986 assimila ai redditi di lavoro dipendente «le prestazioni pensionistiche di cui al d.lgs. 21 aprile 1993 n. 124, comunque erogate”»; il successivo art. 48, al comma 7-bis (nel testo all’epoca vigente) prevede poi che «le prestazioni periodiche indicate alla lettera h-bis» costituiscano «reddito per l’87,5% dell’ammontare corrisposto».

Quest’ultima norma, a sua volta, è transitata nell’art. 48-bis del d.P.R. n. 917/1986, al primo comma, lett. d) («per le prestazioni periodiche indicate alla lettera h-bis del comma 1 dell’art. 47 non si applicano le disposizioni del richiamato art. 48 e le stesse costituiscono reddito per l’87,5% dell’ammontare lordo corrisposto»).

3.2. Questa Corte (sentenze n. 8242/2022, n. 24009/2019, n. 2201/2018) ha ritenuto che sussista violazione degli articoli 47 e 48 d.P.R. n. 917/1986 laddove il giudice d’appello abbia riconosciuto la spettanza della detrazione del 12,50% prevista per le erogazioni periodiche di previdenza complementare, posto che, a norma dell’art. 47, comma 1, lett. h-bis), e 48-bis, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 917/1986, all’epoca vigente, l’imponibile è ridotto all’87,50% soltanto per le pensioni complementari erogate «in forma di trattamento periodico», ciò in ragione di un’assimilazione ai redditi di lavoro dipendente che viene meno per le dazioni una tantum, come quella in esame.

Peraltro, a decorrere dal 1° gennaio 2001 è stato abrogato il riferimento all’imponibile sino all’87,5%, con detrazione del 12,5% sulle prestazioni erogate dal Fondo pensioni e, a norma dell’art. 47, comma 1, lett. h-bis), del d.P.R. n. 917/1986, vigente ratione temporis, l’imponibile è ridotto all’87,5% soltanto per le pensioni complementari erogate “in forma di trattamento periodico”, in ragione di un’assimilazione ai redditi di lavoro dipendente che viene meno per le dazioni una tantum, come quella in esame.

3.3. Poiché il contribuente ha pacificamente ricevuto le somme nel 2004, egli non aveva diritto alla detrazione del 12,5%, con imponibile, quindi, solo sino all’87,5%.

Pertanto, ha errato la C.T.R. nel non tenere conto della circostanza che la somma corrisposta dall’istituto di credito in favore dell’ex dipendente era assoggettabile a tassazione per intero e non nella percentuale ridotta dell’87,5%.

4. In conclusione, il ricorso va integralmente accolto e la sentenza impugnata dev’essere conseguentemente cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.

Le spese dei gradi di merito vanno compensate interamente tra le parti, sussistendone giusti motivi. Le spese del giudizio di legittimità, per il principio della soccombenza, vanno poste a carico del contribuente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente. Condanna l’intimato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.200,00 oltre spese prenotate a debito. Compensa le spese dei gradi di merito.