CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 36211 depositata il 12 dicembre 2022

Tributi – Avviso di accertamento – IRPEEF – Investimenti realizzati all’estero dal contribuente – Domiciliazione del contribuente in Italia – Prova – Inammissibilità del ricorso – la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c. può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota

Fatti di causa

La controversia trae origine dall’impugnazione da parte di A.M.P., cittadino tedesco, di avviso di accertamento relativo, per quello che qui ancora rileva, a Irpef per l’anno di imposta 1998.

L’accertamento di maggiori redditi traeva origine da informazioni intercorse tra gli Stati membri CEE aventi a oggetto investimenti che il ricorrente aveva realizzato nel Principato del Liechistein attraverso la fondazione O.S., con sede in Vaduz, costituita per la gestione di beni a lui pertinenti.

La Commissione tributaria di prima istanza accolse parzialmente il ricorso, non ritenendo che fosse stata provata l’abituale permanenza di A.M.P. in Italia nell’anno 1998. La decisione, appellata dall’Agenzia delle entrate, è stata riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.).

A fondamento della decisione, il Giudice di appello riteneva che, dalla documentazione in atti, era rimasta attestata la domiciliazione del contribuente in Italia e, precisamente a Milano, sin dal 1981. A tale residenza effettiva conseguiva, secondo la C.T.R., l’obbligo della dichiarazione annuale riportante i redditi conseguiti all’estero.

Avverso la sentenza A.M.P. ha proposto ricorso su due motivi.

Il Ministero dell’economia e delle finanze non ha svolto attività difensiva mentre l’Agenzia delle entrate ha depositato atto al fine dell’eventuale partecipazione alla pubblica udienza.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione alla pubblica udienza, nelle forme di cui all’art.23, comma 8 bis, della legge n.176 del 2020, in prossimità della quale il P.M. ha depositato le sue conclusioni chiedendo il rigetto del ricorso e il ricorrente ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. Preliminarmente va dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze il quale non è stato parte nei precedenti gradi di merito.

2. Con il primo motivo di ricorso -rubricato: violazione e/o falsa applicazione dell’art.2, comma 2, del D.P.R. 22 dicembre 1986 n.917, dell’art.2729 cod.civ., dell’art.115 c.p.c., degli artt. 53 e 111, 13° e 6° comma, Cost. con riferimento agli artt.360 n.3 e 5 c.p.c.- si deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la C.T.R. nell’applicare la normativa di riferimento, discostandosi dai principi fissati, in materia, da questa Corte, nonché l’apoditticità della motivazione resa in ordine alla domiciliazione del ricorrente in Milano sin dal 1981, senza che tale riferimento temporale fosse stato mai supportato da alcun elemento probatorio anche a carattere presuntivo.

2.1. La censura è inammissibile. Escluso che la motivazione resa dalla Commissione regionale incorra nei dedotti vizi (apoditticità e contradditorietà) avendo, al contrario, il Giudice di appello adeguatamente illustrato l’iter logico seguito, il mezzo di impugnazione, sotto l’egida della violazione di legge, tende inammissibilmente (v. Cass. n. 5279 del 2020 e Cass. n. 20553 del 2021) a contestare l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito il quale, sulla base degli elementi istruttori a sua disposizione, ha ritenuto che il ricorrente risiedesse in Italia non solo negli anni 2001, 2003, 2004 e 2005 (anch’essi oggetto di accertamento definito dal ricorrente con condono) ma, anche, nel 1998.

2.2. A tale soluzione il Giudice di appello è giunto valorizzando in primo luogo la circostanza che, dalla documentazione in atti, fosse attestata la domiciliazione in Italia, e precisamente in Milano, P. del contribuente sin dal 1981 oltre che dall’intestazione a suo nome di utenze sempre in Milano dal 2000 al 2004, dalla stipula di tre contratti di locazione negli anni 1999/2000 e 2005, dalle risultanze della documentazione bancaria e dal fatto che il ricorrente si fosse limitato a contestare l’efficacia probatoria degli elementi presuntivi utilizzati dall’Ufficio, allegando di avere avuto nel periodo uno stile di vita internazionale, ma omettendo di fornire indicazioni precise circa la sua residenza nel 1998 e nel periodo precedente.

In tale contesto fattuale, l’utilizzo del regime delle presunzioni da parte del Giudice di merito (il quale ha evidenziato, in primo luogo, il fatto noto costituito dalla domiciliazione fiscale del ricorrente in Italia sin dal 1981 cui ha fatto seguito l’accertata residenza negli anni successivi) appare corretto alla luce dell’insegnamento in materia di questa Corte la quale ha avuto modo di ribadire, anche di recente, che <<in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola – desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma>> (v., tra le altre, Cass. n. 9054 del 21/03/2022). Da quanto esposto consegue, altresì, che nessuna violazione di legge è imputabile alla sentenza impugnata.

3. Anche il secondo motivo – rubricato: violazione e/o falsa applicazione con riferimento all’art.360 n.3 c.p.c. degli artt.3, 6, 44 e 45 del d.P.R. 917 del 1986 – incorre nella sanzione di inammissibilità.

3.1 Anche in tal caso, infatti, il mezzo di impugnazione si risolve nella contestazione della valutazione di merito compiuta dalla C.T.R. la quale ha ritenuto che, non avendo il contribuente dimostrato la risalente costituzione del patrimonio e la provenienza della somma ed il suo eventuale smobilizzo, il denaro rinvenuto al 31 dicembre 1998 dovesse presumersi reddito prodotto in quel periodo di imposta.

4. In conclusione, alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile, senza pronuncia sulle spese non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del d.P.R.n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.