CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 36417 depositata il 13 dicembre 2022
Tributi – Avviso di accertamento – IVA – Cessioni extracomunitarie – Regime di non imponibilità delle operazioni all’esportazione fuori dall’Unione europea – Prova del trasporto della merce fuori dal territorio dello Stato – Esemplare 3 DAU – Accoglimento
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 100/46/12 del 23/07/2012, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto da GH s.r.l. (di seguito GH) avverso la sentenza n. 234/44/10 della Commissione tributaria provinciale di Milano (di seguito CTP), che aveva respinto il ricorso proposto dalla società contribuente nei confronti di un avviso di accertamento per IVA relativa all’anno d’imposta 2004, oltre alle conseguenti sanzioni.
1.1. Come si evince dalla sentenza della CTR, l’avviso di accertamento era stato emesso a seguito di verifica compiuta dall’Agenzia delle dogane con riferimento all’esecuzione di cessioni extracomunitarie erroneamente ritenute non imponibili IVA in assenza della prova del trasporto della merce fuori dal territorio dello Stato.
1.2. La CTR accoglieva l’appello della società contribuente evidenziando che: a) le fatture nn. 6833 e 6834 del 30/11/2004 non erano oggetto del provvedimento di autotutela con il quale l’Amministrazione doganale aveva ridotto gli importi contestati, sebbene le stesse fossero corredate da copia dell’esemplare n. 3 del DAU, regolarmente prodotta in giudizio; b) con riferimento alle fatture da n. 6767 a n. 6783 del 24/11/2004, invece, la società aveva prodotto le bollette doganali; c) GH aveva altresì prodotto nel giudizio di primo grado il duplicato della bolletta doganale n. 828 del 21/12/2004; d) la documentazione prodotta dalla società contribuente era, pertanto, idonea a comprovare le operazioni di esportazione relative ai mesi di novembre e dicembre 2004; e) «i motivi di doglianza espressi dall’ufficio, nei propri atti difensivi» non potevano «essere presi in considerazione», sicché la sentenza andava riformata.
2. L’Agenzia delle entrate (di seguito AE) impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
3. GH resisteva con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Le eccezioni pregiudiziali proposte dalla controricorrente, di seguito esaminate in ordine logico, sono infondate e vanno disattese.
1.1. Quanto all’eccezione di tardività del ricorso per cassazione in ragione della sua proposizione oltre il termine semestrale previsto dalla legge per l’impugnazione, va osservato che il giudizio è iniziato anteriormente al 04/07/2009, come sostanzialmente riconosciuto dalla stessa GH, sicché, ai fini dell’impugnazione, non trova applicazione il termine semestrale ma quello annuale (Cass. n. 19969 del 06/10/2015; Cass. n. 20102 del 06/10/2016) e il ricorso è, dunque, tempestivo (ricorso notificato in data 16/10/2013 a mezzo del servizio postale avverso la sentenza di appello depositata in data 23/07/2012).
1.2. Quanto al contestato difetto di autosufficienza, il ricorso contiene l’indicazione di tutti gli elementi idonei a consentire la decisione di questa Corte in ordine alla questione prospettata, ivi compresa la trascrizione dei documenti necessari.
1.3. Infine, con riferimento al rilievo di inammissibilità in quanto la sentenza impugnata sarebbe conforme ai principi espressi da questa Corte, ne va evidenziata la manifesta infondatezza, avendo la CTR reso una decisione erronea e da riformare integralmente (per come subito si dirà) proprio perché contraria all’indirizzo giurisprudenziale consolidato.
2. Con il primo motivo di ricorso AE deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR, a fronte di fatture concernenti l’esportazione di beni relative a dieci mesi dell’anno 2004, ammontanti complessivamente a euro 1.022.468,13, ritenuto la sussistenza della prova dell’intervenuta esportazione in presenza di documentazione prodotta unicamente con riferimento ai mesi di novembre e dicembre 2004, nei quali sono state emesse fatture per euro 310.985,37.
2.1. Con il secondo motivo di ricorso si contesta motivazione omessa su di un fatto decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per non avere la CTR statuito in ordine all’annullamento delle riprese relative a fatture diverse da quelle di novembre e dicembre 2004.
2.2. Con il terzo e il quarto motivo di ricorso ci si duole della insufficiente motivazione su fatti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere la CTR, con riferimento, rispettivamente, alle fatture nn. 6833 e 6834, nonché alle fatture nn. 6767-6783, erroneamente ritenuto la sussistenza del trasporto all’estero della merce con affermazioni generiche e apodittiche.
2.3. Con il quinto motivo di ricorso si contesta insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto che la bolletta prodotta sia idonea a comprovare il trasferimento all’estero della merce, sebbene non faccia alcun riferimento alla fattura n. 828 del 21/12/2004.
3. Le censure, che possono essere complessivamente esaminate in ragione della loro stretta connessione, sono fondate nei termini di cui appresso.
3.1. In via generale, «il regime di non imponibilità delle operazioni all’esportazione fuori dall’Unione europea risponde al principio dell’imposizione dei beni o dei servizi nel luogo di destinazione, e presuppone, pertanto, che il potere di disporre del bene come proprietario sia stato trasmesso all’acquirente e che il fornitore provi che tale bene sia stato spedito o trasportato in un altro Stato membro ed abbia, in seguito, lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione» (Cass. n. 4408 del 23/02/2018).
3.2. Sotto il profilo della prova del trasporto e della spedizione, secondo un recente arresto di questa Corte, «la destinazione dei beni all’esportazione non può essere provata dal contribuente allegando documentazione di origine privata, quali le fatture o la documentazione bancaria attestante il pagamento, in quanto la normativa doganale richiede a tal fine mezzi di prova certi ed incontrovertibili, quali le attestazioni di pubbliche amministrazioni del paese di destinazione dell’avvenuta presentazione delle merci in dogana, ai sensi dell’art. 346 del d.P.R. n. 43 del 1973, o la vidimazione apposta dall’ufficio doganale sulla fattura, o anche le bolle di accompagnamento, i documenti internazionali di trasporto e gli altri documenti previsti dall’amministrazione finanziaria, purché risulti la vidimazione dell’ufficio doganale comprovante l’uscita della merce dal territorio doganale o quella delle autorità pubbliche dello Stato estero importatore, comprovante l’uscita della merce dal territorio doganale dell’Unione» (Cass. n. 11112 del 06/04/2022)».
3.3. Come evidenziato dall’ampia motivazione della menzionata sentenza, nella disciplina unionale (si veda la direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, applicabile ratione temporis, ma anche la direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006), manca una disposizione che riguardi le prove che i soggetti passivi sono tenuti a fornire per beneficiare del regime di non imponibilità, spettando agli Stati membri (art. 15 della direttiva n. 77/388/CEE e art. 131 della direttiva n. 2006/112/CE) fissare, fatte salve le altre disposizioni unionali, le condizioni per assicurare la corretta e semplice applicazione di questo regime e per prevenire ogni possibile frode, evasione e abuso, nel rispetto, in particolare, dei principi di certezza del diritto e di proporzionalità (si vedano, in tal senso, tra varie, Corte giust., causa C-492/13, Traum, punto 27; Corte giust., causa C-307/16, Stanislaw Pieríkowski).
3.3.1. I principi di certezza del diritto e di proporzionalità vanno bilanciati, contemperando le esigenze che ne sono alla base: occorre, quindi, da un lato, che le norme siano chiare e precise e la loro applicazione sia prevedibile, soprattutto quando comporti oneri finanziari, in modo da consentire ai soggetti passivi di conoscere i propri obblighi fiscali prima di concludere un’operazione (Corte giust., causa C-495/17, Cartrans Spedition s.r.l., punti 55-57); dall’altro, che gli Stati membri ricorrano a mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l’obiettivo perseguito dal diritto interno, arrechino il minor pregiudizio possibile al conseguimento degli obiettivi e ai principi stabiliti dalla normativa unionale (Corte giust., causa C-307/16, cit., punto 34).
3.3.2. Il menzionato bilanciamento va condotto, inoltre, alla luce del principio di neutralità, sicché le misure nazionali senz’altro eccedono quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA qualora subordinino l’operatività del regime di non imponibilità al rispetto di obblighi formali, senza considerare i requisiti sostanziali e, in particolare, senza porsi la questione se questi ultimi siano stati soddisfatti (Corte giust., causa C-21/16, Euro Tyre, punto 34).
3.3.3. In buona sostanza, per la Corte di giustizia è necessario che i beni siano stati effettivamente oggetto di un’esportazione, ossia di una cessione di beni al di fuori dell’Unione, la cui effettiva esistenza dev’essere dimostrata in un modo reputato soddisfacente dalle autorità tributarie competenti: e questo requisito riguarda, appunto, le condizioni sostanziali necessarie per l’applicazione del regime, non già un obbligo meramente formale (Corte giust., causa C-495/17, cit., punto 48), sicché non è possibile pretendere che, al fine di dimostrare la reale esistenza dell’esportazione, venga prodotta necessariamente una dichiarazione di esportazione, escludendo ogni altro elemento di prova (Corte giust. in causa C-495/17, cit., punto 49).
3.4. Peraltro, la normativa interna, alla quale la disciplina unionale rimanda, non pretende tanto.
3.4.1. A norma dell’art. 8, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 633 del 1972, la destinazione della merce all’esportazione deve essere provata dalla documentazione doganale, ossia dalla vidimazione apposta dall’ufficio doganale sulla fattura o su un esemplare della bolla di accompagnamento o anche, se quest’ultima non è prescritta, del documento di trasporto, oppure secondo modi e tempi previsti da appositi decreti ministeriali per le spedizioni postali.
3.4.2. Il legislatore nazionale ha, dunque, stabilito con chiarezza, secondo il principio di certezza, le condizioni per ritenere soddisfacente la prova del rispetto del requisito sostanziale dell’esportazione, all’uopo contemplando, in base al principio di proporzionalità, un ventaglio di documenti.
3.4.3. Da un lato, infatti, mediante il richiamo alla documentazione doganale, si è rinviato alla disciplina delle leggi doganali e, dunque, agli atti pubblici attestanti l’esportazione formati dagli uffici doganali (si veda, in particolare, l’art. 346, comma 1, lett. a), del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 – TULD); dall’altro lato, in funzione delle esigenze di semplificazione burocratica e speditezza dei traffici commerciali, rispondenti al principio di proporzionalità, vengono indicati come validi, dall’art. 8 del d.P.R. n. 633 del 1972, anche altri documenti probatori, di natura commerciale (fattura, bolle di accompagnamento o altri documenti di trasporto) e formati dagli stessi operatori privati, purché, però, recanti la «vidimazione dell’ufficio doganale».
3.5. Quanto sopra evidenziato porta alla piena condivisione e conferma della tradizionale giurisprudenza della Corte, la quale, nell’interpretare l’art. 8, primo comma, lett. a), del d.P.R. n. 633 del 1972, ha costantemente affermato che, in mancanza di attestazione della dogana di partenza, deve essere offerta in ogni caso una prova certa ed incontrovertibile, quale l’attestazione di pubbliche Amministrazioni del Paese di destinazione dell’avvenuta presentazione delle merci in dogana, poiché «il regime probatorio dell’esportazione deve essere ricavato dalla disciplina doganale, e precisamente dall’art. 346 del t.u. delle leggi doganali n. 43 del 1973 (…) il quale consente di dare la prova dell’esportazione anche per mezzo di documentazione rilasciata da pubblica amministrazione o da dogana estera» (Cass. n. 25454 del 12/10/2018; Cass. n. 13221 del 26/10/2001; Cass. n. 1614 del 06/02/2002; per la compatibilità di tale regime doganale interno con il diritto unionale e, segnatamente, con gli artt. 792, 793 e 794 del regolamento CEE n. 2454/93, si veda Cass. n. 3193 del 18/02/2015).
3.5.1. In buona sostanza, «la destinazione della merce all’esportazione deve essere provata esclusivamente dalla documentazione doganale, ovvero dalla vidimazione apposta dall’ufficio doganale sulla fattura, in assenza della quale l’operatore che voglia fruire dell’agevolazione non può valersi di documenti alternativi» (Cass. n. 16971 del 11/08/2016).
3.5.2. Ed è stato, altresì, precisato che «la prova dell’avvenuta uscita della merce dal territorio doganale dell’Unione deve essere fornita dal cedente mediante l’esemplare 3 DAU, munito di timbro e visto dell’ufficio doganale di uscita, se la dichiarazione di esportazione è effettuata sulla base del Documento Unico Amministrativo (DAU), ovvero esibendo la propria fattura di vendita, su cui siano riportati gli estremi della bolletta doganale ed il visto dell’ultima dogana in uscita dal territorio unionale» (Cass. n. 33483 del 27/12/2018).
3.6. Ne consegue che, nel caso in cui non sia stata fornita la prova della presentazione delle merci alla dogana di destinazione, l’operazione deve considerarsi come non effettuata e, non essendo stata vinta la presunzione di cui all’art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972, equiparata a una cessione nel territorio nazionale, soggetta ad IVA.
3.7. Applicando i sopra menzionati principi di diritto al caso di specie, va prima di tutto evidenziato che la sentenza impugnata si sofferma unicamente sulle operazioni di cessione effettuate nei mesi di novembre e dicembre 2004, senza che vengano prese in considerazione le operazioni compiute in altri otto mesi del medesimo anno d’imposta ed oggetto di specifica contestazione da parte di AE.
3.7.1. Sono, pertanto, all’evidenza fondati i primi due motivi di ricorso, non avendo la CTR in alcun modo specificato le ragioni dell’annullamento delle riprese concernenti le fatture non emesse nei mesi di novembre e dicembre 2004.
3.8. Quanto, poi, alle operazioni di cessione effettuate nel mese di novembre 2004, come si evince anche dalle trascrizioni debitamente effettuate da AE in sede di ricorso per cassazione ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, la documentazione prodotta non è idonea, diversamente da quanto affermato dalla CTR, ad attestare la effettiva esportazione della merce oggetto di cessione all’estero.
3.8.1. In particolare, con riferimento alle fatture nn. 6833 e 6834, il modello prodotto dalla società contribuente non reca alcuna attestazione doganale, né in uscita, né in entrata, sicché non può dirsi che la merce sia stata effettivamente trasportata al di fuori dei confini della UE, con conseguente fondatezza del terzo motivo.
3.8.2. Per quanto riguarda, invece, le fatture nn. 6767-6783, il riferimento alla produzione delle bollette doganali è del tutto generico, non risultando la loro produzione, né sussistendo altra documentazione di carattere privato che abbia le caratteristiche idonee ad essere utilizzata al fine di provare il trasporto all’estero, con conseguente fondatezza del quarto motivo.
3.9. Venendo, infine, alle operazioni di cessione relative al mese di dicembre 2004, non vi è alcun elemento per ritenere che il DAU prodotto (debitamente trascritto in ricorso ai fini del rispetto del principio di autosufficienza) si riferisca effettivamente alla fattura contestata, con conseguente fondatezza anche del quinto motivo.
2.10. In definitiva e riassuntivamente, tenuto conto dei principi che regolano la materia e della circostanza che in ipotesi trova applicazione la vecchia formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., può concludersi che la motivazione fornita dalla CTR in relazione alla documentazione acquisita agli atti del giudizio e alla sua valutazione è del tutto insufficiente al fine di dimostrare che la merce oggetto di cessione sia stata effettivamente esportata al di fuori dal territorio della UE.
3. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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