CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 36499 depositata il 13 dicembre 2022

Tributi – Avviso di accertamento – Componenti attivi e negativi di reddito – Interessi – Vizio di omessa pronuncia su questioni processuali – Inammissibilità

Fatti di causa

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre, con due motivi, nei confronti della (…) s.r.l. (CIME s.r.l.), avverso la sentenza in epigrafe con la quale la C.t.r., previa riunione, ha dichiarato inammissibile l’appello della contribuente ed ha accolto solo parzialmente – limitatamente al primo e secondo motivo, rigettato il terzo – l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della C.t.p. di Rieti che, a propria volta, aveva accolto parzialmente il ricorso averso l’ avviso di accertamento con il quale, per l’anno 2004, erano stati recuperati a tassazione maggiori redditi.

2. L’Ufficio contestava alla contribuente minori componenti negativi di reddito per euro 182.671,57 e maggiori componenti positivi per euro 58.650,29.

3. La C.t.p. rideterminava in euro 129.727,18 i componenti negativi ed escludeva del tutto i componenti positivi.

Avverso detta sentenza frapponevano appello entrambe le parti.

La C.t.r. dichiarava inammissibile l’appello della contribuente ed accoglieva parzialmente l’appello dell’Ufficio.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo l’Ufficio denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 18 e 24 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

Assume in proposito che il ricorso originario della contribuente mancava di qualsiasi specificazione dei motivi di impugnazione che erano stati indicati solo con successiva memoria; che, con l’atto di appello, aveva denunciato in via pregiudiziale la violazione degli artt. 24 e 32 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in quanto la C.t.p. non avrebbe dovuto tener conto né della documentazione prodotta tardivamente, né dei motivi dedotti in violazione di legge; che, ciononostante, la C.t.r. aveva ignorato tale specifica ragione di impugnazione ed aveva «erroneamente omesso di riconoscere la radicale inammissibilità del ricorso originario – o quantomeno di dichiarare la sua infondatezza per inaccoglibilità […]– attestando anche l’inammissibilità della proposizione di doglianze “aggiuntive”».

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 46 e 89 t.u.i.r.

In particolare, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso dai componenti attivi di reddito gli interessi attivi che, invece, l’Ufficio aveva contabilizzato nella misura di euro 58.650,29 in ragione dei finanziamenti erogati dalla contribuente alle società collegate e controllate e nella parte in cui aveva ritenuto che la contribuente avesse vinto la presunzione di onerosità dei medesimi.

3. Il primo motivo di ricorso, nella parte in cui si censura l’omessa pronuncia sull’inammissibilità del ricorso originario del contribuente, è inammissibile.

Per costante giurisprudenza di questa Corte non è configurabile il vizio di omissione di pronuncia su questioni processuali (tra le varie, Cass. 26/09/2013 n. 22083, Cass. 23/01/2009 n. 1701, Cass. 21/02/2006 n. 3667, Cass. 25/06/2003, n. 10073). Nel caso di specie la questione dell’inammissibilità del ricorso introduttivo è puramente processuale e quindi può prospettarsi una nullità della decisione per violazione di norme processuali diverse da quella di cui all’art. 112 cod. proc. civ. in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte.

4. Il motivo, nella parte in cui si contesta la violazione degli artt. 18 e 24 d.lgs. n. 546 del 1992 in ragione della decisione della controversia su motivi ulteriori rispetto a quelli indicati nel ricorso introduttivo è fondato, restando assorbito il secondo motivo.

4.1. Questa Corte ha chiarito che è inammissibile la deduzione di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento nella memoria di cui all’art. 32 d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni comprese nei motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo, dedotti col ricorso introduttivo ex art. 18, i quali costituiscono la causa petendi rispetto all’invocato annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dall’art. 24, comma 2, d.lgs. cit. (Cass. 17/01/2019, n. 1161, Cass. 24/07/2018, n. 19616, Cass. 07/07/2017, 16803, Cass. 22/09/2011, n. 19337).

4.2. Si è, altresì, precisato che per le ipotesi di nullità dell’atto tributario, di qualsiasi natura esse siano, opera il principio generale di conversione dei vizi in mezzi di gravame quale conseguenza della struttura impugnatoria del processo tributario (Cass. 23/09/2020, n. 19929). Da ciò consegue che la contestazione della pretesa fiscale è suscettibile di essere prospettata solo attraverso specifici motivi di impugnazione dell’atto che la esprime. Il giudizio tributario, difatti, è circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, e avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado (Cass. 18/05/2018, n. 12313).

4.3. I motivi di cui al ricorso originario, integralmente riprodotto dall’Agenzia delle Entrate nel ricorso in cassazione, erano così articolati: «il ricorrente pone in evidenza che le motivazioni su cui si posano le rettifiche effettuate dagli accertatori sono rivenienti da un PVC redatto in data 15/6/07 dalla Ag. Delle Entrate Uff. Di Rieti non rispondenti ai reali fatti aziendali e pertanto infondati. Stante ciò chiede l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato per carenza di motivazione».

L’unico motivo proposto era pertanto formulato nei termini di una generica, e in quanto tale inammissibile, contestazione della non rispondenza tra quanto accertato ed i reali valori aziendali. La C.t.p., invece, si pronunciava su ciascuno dei componenti positivi e negativi di reddito oggetto solo di successiva contestazione.

La C.t.r., a propria volta, nonostante l’Ufficio con l’appello avesse eccepito in via pregiudiziale l’inammissibilità delle censure mosse solo con la memoria successiva all’introduzione del ricorso, decideva la controversia nel merito. Così facendo, non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra affermati.

5. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto e la sentenza impugnata va cassata. Tenuto conto che non vi sono ulteriori accertamenti di fatto il ricorso va deciso nel merito e, per l’effetto, va dichiarato inammissibile l’originario ricorso del contribuente.

6. In ragione dell’andamento processuale del giudizio, restano compensate le spese dei due gradi di merito.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito dichiara inammissibile il ricorso originario del contribuente.

Compensa le spese dei gradi di merito.

Condanna la parte intimata al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito.