CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 36646 depositata il 14 dicembre 2022

Lavoro – Lavoratori dello spettacolo – Limite massimo della retribuzione giornaliera pensionabile – “Quota B” del trattamento previdenziale – Abrogazione del “massimale pensionabile” per la “quota B” – Metodi di calcolo delle quote – Accoglimento

Fatti di causa

1.– La signora M.G. ha chiesto al Tribunale di Roma di rideterminare l’importo dei due supplementi (decorrenti dal primo gennaio 1998 e dal primo trattamento pensionistico a lei concessa dal primo ottobre 2012 e di ricalcolare la “quota B” del trattamento previdenziale, senza applicare il limite massimo della retribuzione giornaliera pensionabile, stabilito, per i lavoratori dello spettacolo, dall’art. 12, settimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1420.

1.1.– La domanda è stata accolta dal giudice di primo grado, che ha condannato l’INPS a corrispondere le differenze derivanti dal ricalcolo.

1.2.– La pronuncia del Tribunale è stata quindi confermata dalla Corte d’appello d1i Roma, con sentenza pubblicata il 15 settembre 2017 con il numero 3950.

Nel respingere il gravame dell’INPS, la Corte territoriale, dopo avere ripercorso l’evoluzione normativa, ha argomentato che il limite massimo inerente alla retribuzione giornaliera pensionabile si applica alla sola determinazione della “quota A” del trattamento di quiescenza e non è più vigente per la “quota B”, regolata dai nuovi criteri fissati dal decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 182.

2.– Con ricorso notificato il 16 marzo 2018 e affidato ad un unico motivo, l’INPS impugna per cassazione la pronuncia della Corte d’appello di Roma.

3.– M.G. resiste con controricorso.

4.– La causa è stata fissata alla pubblica udienza dell’11 ottobre 2022, ma è stata trattata in camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, in quanto nessuno degl’interessati ha formulato istanza di discussione orale (art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, inserito dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176, e prorogato fino al 31 dicembre 2022 dall’art. 16, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2022, n. 15).

5.– Il Pubblico Ministero ha formulato conclusioni motiv1ate e ha chiesto di accogliere il ricorso.

6.– In prossimità dell’udienza, entrambe le parti hanno presentato memorie, a norma dell’art. 378 cod. proc. civ.

Ragioni della decisione

1.– Con l’unico motivo di ricorso (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), l’INPS denuncia violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 1420 del 1971 e degli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 182 del 1997.

La Corte di merito avrebbe errato nel prospettare l’abrogazione tacita della disciplina del “massimale pensionabile”, a dispetto della compatibilità tra tale disciplina e quella posteriore, riguardante la “quota B” della pensione.

2.– La controricorrente, in via preliminare, ha eccepito l’inammissibilità o, in alternativa, l’improcedibilità del ricorso.

2.1.– Secondo la Corte d’appello di Roma, l’art. 4, comma 8, del d.lgs. n. 182 del 1997 non rimanda al comma 2 dell’art. 12 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, che fa salvi i limiti massimi alla retribuzione pensionabile previsti nei singoli ordinamenti.

Il richiamo è circoscritto al comma 1 del citato art. 12, che determina le aliquote di rendimento.

Contro tale affermazione, che costituisce una ratio decidendi di per sé idonea a sorreggere la pronuncia della Corte di merito, il ricorrente non avrebbe formulato censure di sorta. Di qui la definitività della decisione impugnata, che renderebbe inammissibile o improcedibile il ricorso per cassazione.

2.2.– L’eccezione non è fondata.

Con un’esposizione intelligibile ed esaustiva dei fatti di causa e dei motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza, il ricorso contesta in radice le argomentazioni della Corte d’appello in ordine all’abrogazione del “massimale pensionabile” per la “quota B”.

Ne consegue che la perdurante vigenza, anche per tale quota, del limite previsto dall’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971 rappresenta un tema ancora controverso e che nessun “giudicato interno” può precluderne l’esame.

Il giudicato non si forma, difatti, sulle singole affermazioni in diritto della pronuncia gravata, ma sull’unità minima di decisione, che ricollega a un fatto, qualificato da una norma, un determinato effetto (fra le molte, di recente, Cass., sez. lav., 3 ottobre 2022, n. 28565).

3.– Il ricorso, pertanto, può essere scrutinato nel merito e si rivela fondato.

4.– Questa Corte è chiamata a pronunciarsi su una questione nuova, relativa ai trattamenti previdenziali dei lavoratori dello spettacolo, oggi corrisposti dalla Gestione speciale del Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo. Tale Gestione è stata istituita presso l’INPS, che è subentrato all’Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i lavoratori dello spettacolo (ENPALS) in virtù dell’art. 21 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.

Il ricorso dell’INPS interpella questa Corte sulla determinazione dei trattamenti che si compongono di una “quota A” e di una “quota B”, nei termini delineati dall’art. 13 del d.lgs. n. 503 del 1992, richiamato dalla stessa parte controricorrente come cardine della normativa applicabile al caso di specie.

4.1.– La “quota A” corrisponde «all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolate con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile» (art. 13, lettera a, del d.lgs. n. 503 del 1992).

Al fine di quantificare l’importo annuo della pensione relativa a tale quota, per i lavoratori dello spettacolo si applica il 2 per cento «al prodotto ottenuto moltiplicando la retribuzione giornaliera pensionabile per il numero complessivo dei contributi giornalieri effettivi e figurativi versati ed accreditati tra la data della prima iscrizione all’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti e quella di decorrenza della pensione medesima» (art. 12, primo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971).

La retribuzione giornaliera pensionabile, assunta a parametro di riferimento, è costituita «dalla media aritmetica delle 540 retribuzioni giornaliere più elevate tra quelle assoggettate a contribuzione effettiva in costanza di lavoro e quelle relative alla contribuzione figurativa» (art. 12, secondo comma, del medesimo d.P.R. n. 1420 del 1971) ed è rivalutata sulla base della variazione media annua dell’indice ISTAT del costo della vita, solo fino al quinto anno che precede la decorrenza della pensione (art. 12, cit., terzo comma).

4.2.– La “quota B” corrisponde invece «all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1° gennaio 1993», trattamento liquidato secondo i più restrittivi criteri previsti dal d.lgs. n. 503 del 1992 quanto all’età pensionabile, ai requisiti contributivi minimi, alla retribuzione media pensionabile (art. 13, lettera b, del citato decreto legislativo).

La retribuzione giornaliera pensionabile, per la quota in esame, è variamente modulata nei tre gruppi in cui i lavoratori dello spettacolo risultano oggi suddivisi.

Per il gruppo A, composto dai lavoratori che prestano a tempo determinato attività artistica o tecnica, direttamente connessa con la produzione e la realizzazione di spettacoli (art. 2, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 182 del 1997), la retribuzione giornaliera pensionabile «è costituita dalla media delle retribuzioni giornaliere più elevate assoggettate a contribuzione» (art. 3, comma 4, primo periodo, del d.lgs. n. 182 del 1997).

La media è calcolata su una quantità di retribuzioni giornaliere, che equivalgono a 1900 a decorrere dal 1° gennaio 1998 (tabella B, allegata al d.lgs. n. 182 del 1997), in riferimento alle migliori tra quelle accreditate. Le retribuzioni sono rivalutate secondo meccanismi diversi, a seconda che riguardino periodi anteriori o posteriori al 1° gennaio 1993 (art. 3, comma 5, del d.lgs. n. 182 del 1997, che richiama, rispettivamente, i criteri dell’art. 12, terzo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971 e, per i periodi più recenti, l’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 503 del 1992).

Identica è la disciplina della retribuzione giornaliera pensionabile per i lavoratori del gruppo B e del gruppo C: gli uni prestano attività artistica o tecnica a tempo determinato al di fuori delle ipotesi di diretta connessione con la produzione e la realizzazione di spettacoli, gli altri prestano attività a tempo indeterminato.

In ambedue i casi, «la retribuzione giornaliera pensionabile è costituita dalla media delle ultime retribuzioni giornaliere assoggettate a contribuzione» (art. 3, comma 4, secondo periodo, del d.lgs. n. 182 del 1997).

La media è calcolata sulle ultime retribuzioni giornaliere, pari a 2600 per il gruppo B, a decorrere dal 1° gennaio 2000, e a 3120 per il gruppo C, a far tempo dal 1° gennaio 2002 (cfr. la già citata tabella B). Anche tali retribuzioni sono assoggettate a rivalutazione, nei termini tratteggiati dal predetto art. 3, comma 5, del d.lgs. n. 182 del 1997.

4.3.– Per effetto delle innovazioni apportate dal d.lgs. n. 182 del 1997, l’assetto previdenziale dei lavoratori dello spettacolo è stato adeguato al nuovo sistema contributivo di calcolo delle pensioni, fondato sul totale dei contributi versati dal lavoratore nel corso della propria vita lavorativa, rivalutati nel corso del tempo.

A fronte di un’anzianità assicurativa e contributiva che, alla data del 31 dicembre 1995, ammonti ad almeno diciotto anni interi, la pensione è liquidata integralmente secondo il sistema retributivo (art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 182 del 1997).

Quando l’anzianità assicurativa e contributiva sia inferiore, «la pensione è determinata in base al criterio del pro-quota di cui all’articolo 1, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335» (art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 182 del 1997). La pensione è dunque determinata dalla somma: «a) della quota di pensione corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data; b) dalla quota di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive calcolato secondo il sistema contributivo».

Esula dal tema del decidere la disciplina applicabile ai lavoratori iscritti al Fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo dopo il 31 dicembre 1995 e privi di anzianità contributiva a quella data (art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 182 del 1997): tali lavoratori beneficiano di una pensione di vecchiaia, liquidata per intero secondo il sistema contributivo.

Al tema del decidere sono estranee, ratione temporis, anche le innovazioni introdotte dall’art. 24, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, che ha esteso l’applicazione del sistema contributivo a tutte le anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012.

5.– La Corte territoriale evidenzia che la materia del contendere non concerne la determinazione della “quota A”, correlata agli anni di anzianità contributiva antecedenti al 1° gennaio 1993.

Il giudizio verte sulla “quota B”, corrispondente agli anni di anzianità contributiva successivi al 1° gennaio 1993.

In particolare, la disputa verte sul permanere, anche per la “quota B”, del limite della retribuzione giornaliera pensionabile di cui all’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971.

Nel testo da ultimo modificato dall’art. 1, comma 10, del d.lgs. n. 182 del 1997, tale disposizione prevede che «[a]i fini del calcolo della retribuzione giornaliera pensionabile non si prendono in considerazione, per la parte eccedente, le retribuzioni giornaliere superiori al limite di lire 315.000». Limite che, a decorrere dal 1° gennaio 1998, «è rivalutato annualmente sulla base dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, così come calcolato dall’ISTAT».

In questa sede, non viene in rilievo il profilo del superamento del diverso limite alla retribuzione annua pensionabile (art. 21, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n. 67), applicabile anche all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti inizialmente gestita dall’ENPALS, in base alla normativa di interpretazione autentica dettata dall’art. 5 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 11, convertito, con modificazioni, nella legge 19 marzo 1993, n. 70.

6.– La sentenza impugnata, con argomentazioni riprese e sviluppate dalla controricorrente, rileva che il limite alla retribuzione giornaliera pensionabile opera per la sola “quota A”. Il limite in esame non sarebbe più in vigore per la “quota B” della pensione, «liquidata secondo il criterio del pro rata».

La Corte d’appello di Roma riconduce la fattispecie all’art. 4, comma 8, del d.lgs. n. 182 del 1997, che regola il calcolo dei trattamenti con decorrenza successiva alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo e, in particolare, la determinazione della «quota di pensione relativa alle anzianità maturate successivamente al 31 dicembre 1992».

Il legislatore dispone che si applichi una aliquota di rendimento annuo del 2 per cento «sino alla quota di retribuzione giornaliera pensionabile corrispondente al limite massimo della retribuzione annua pensionabile in vigore tempo per tempo nell’assicurazione generale obbligatoria diviso per 312» (art. 4, comma 8, primo periodo, del d.lgs. n. 182 del 1997).

Quanto alle quote di retribuzione giornaliera pensionabile che eccedono tale limite, esse «sono computate secondo le aliquote di rendimento previste dall’articolo 12 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503» (art. 4, comma 8, secondo periodo, del d.lgs. n. 182 del 1997).

Ad avviso del giudice d’appello, la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 182 del 1997 è «nuova ed autosufficiente» e non reca alcun rinvio al tetto della retribuzione giornaliera pensionabile.

Come si è già evidenziato nell’esame dell’eccezione preliminare sollevata dalla parte controricorrente, la Corte territoriale assume che l’art. 4, comma 8, del d.lgs. n. 182 del 1997, nel richiamare l’art. 12 del d.lgs. n. 503 del 1992, menzioni le sole aliquote di rendimento di cui al comma 1, senza fare parola dei limiti enunciati soltanto nel comma 2.

7.– Gli argomenti, su cui s’incardina il ragionamento della sentenza impugnata, prestano il fianco alle censure del ricorrente.

Molteplici e concordanti sono gl’indici, di carattere tanto letterale quanto sistematico, che confermano la perdurante operatività del limite alla retribuzione giornaliera pensionabile anche per la “quota B” della pensione.

8.– In chiave ricostruttiva, occorre ponderare, in primo luogo, la mancanza di un’abrogazione espressa.

Il massimale di cui all’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971 è rimasto inalterato nell’avvicendarsi delle riforme del sistema previdenziale, che hanno investito anche il settore dei lavoratori dello spettacolo.

Tale limite, che si correla in linea generale a «una politica di contenimento della spesa pubblica» e alle esigenze di «risanamento delle gestioni previdenziali» (Corte costituzionale, sentenza n. 173 del 1986, punto 10 del Considerato in diritto), è l’espressione di una scelta discrezionale del legislatore e costituisce il punto di equilibrio tra i contrapposti interessi.

Con riguardo alla disciplina dei lavoratori dello spettacolo, la Corte costituzionale ha riconosciuto che compete al legislatore la facoltà di individuare come base di calcolo della pensione una misura della retribuzione, inferiore a quella effettivamente percepita dal lavoratore (sentenza n. 202 del 2008).

8.1.– Il d.lgs. n. 503 del 1992, nel tracciare quella linea di demarcazione tra la “quota A” e la “quota B” che è rilevante nel presente giudizio, non incide sul limite oggi contestato.

8.2.– Neppure la legge n. 335 del 1995 abroga in maniera espressa il tetto della retribuzione giornaliera pensionabile.

Il legislatore, con l’art. 1, comma 22, ha conferito al Governo una delega per l’armonizzazione dei regimi pensionistici operanti presso l’ENPALS, in conformità ai seguenti principi e criteri direttivi: «a) determinazione delle basi contributive e pensionabili con riferimento all’articolo 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni ed integrazioni, con contestuale ridefinizione delle aliquote contributive tenendo conto, anche in attuazione di quanto previsto nella lettera b), delle esigenze di equilibrio delle gestioni previdenziali, di commisurazione delle prestazioni pensionistiche agli oneri contributivi sostenuti e alla salvaguardia delle prestazioni previdenziali in rapporto con quelle assicurate in applicazione dei commi da 6 a 16 dell’articolo 1; b) revisione del sistema di calcolo delle prestazioni secondo i principi di cui ai citati commi da 6 a 16 dell’articolo 1; c) revisione dei requisiti di accesso alle prestazioni secondo criteri di flessibilità omogenei rispetto a quelli fissati dai commi da 19 a 23 dell’articolo 1; d) armonizzazione dell’insieme delle prestazioni con riferimento alle discipline vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria, salvaguardando le normative speciali motivate da effettive e rilevanti peculiarità professionali e lavorative presenti nei settori interessati».

La legge n. 335 del 1995 ha demandato al Governo anche il compito di introdurre norme finalizzate a stabilire «requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici, nel rispetto del principio di flessibilità come affermato dalla presente legge, secondo criteri coerenti e funzionali alle obiettive peculiarità ed esigenze dei rispettivi settori di attività dei lavoratori medesimi, con applicazione della disciplina in materia di computo dei trattamenti pensionistici secondo il sistema contributivo in modo da determinare effetti compatibili con le specificità dei settori delle attività» (art. 2, comma 23, lettera a, della legge n. 335 del 1995).

Nessuna delle previsioni citate tocca quel massimale che la Corte d’appello ritiene implicitamente abrogato.

Per la determinazione della “quota B”, la legge n. 335 del 1995 non rinnega la specialità dell’assetto preesistente, che ha nel massimale della retribuzione giornaliera pensionabile uno snodo essenziale.

8.3.– Neppure nel d.lgs. n. 182 del 1997 si rinviene traccia di un esplicito superamento di tale regime per la “quota B”. Su tale superamento non si sofferma neppure il dibattito parlamentare che accompagna l’esame dello schema di decreto.

Il legislatore, nell’alveo delle indicazioni della legge n. 335 del 1995, ha introdotto gradualmente il nuovo sistema contributivo, con modificazioni che s’innestano sulla normativa previgente, senza alterarne le caratteristiche salienti con riguardo alla “quota B”.

8.4.– È dunque significativo il silenzio che il legislatore serba su un punto di rilievo capitale.

Dal succedersi degl’interventi normativi, non si evince una scelta gravida d’implicazioni, come l’abolizione, per la “quota B”, del tetto alla retribuzione giornaliera pensionabile.

Né possono condurre a diverse conclusioni gli studi attuariali elaborati dall’ENPALS, invocati dalla parte controricorrente:

documenti meramente interni, che neppure la sentenza impugnata accredita di un valore probante, essi non possono far luce sulla ratio legis.

La “intenzione del legislatore” (art. 12 delle preleggi) dev’essere individuata in chiave oggettiva sulla scorta del dato normativo in cui si estrinseca. Depositarie di tale intenzione non possono essere elaborazioni interne, eccentriche rispetto alla sede in cui la volontà del legislatore si forma e si manifesta.

9.– La pregnanza significativa della mancanza di un’abrogazione espressa si apprezza anche alla luce del modus procedendi del legislatore, che ha mostrato di privilegiare le innovazioni mirate della normativa antecedente.

9.1.– Il d.lgs. n. 182 del 1997 ha provveduto ad abrogare in maniera esplicita la normativa pregressa quando l’ha reputato necessario: l’art. 1, comma 7, ultimo periodo, del d.lgs. n. 182 del 1997 abroga ex professo l’art. 3, secondo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971, relativo alla rivalsa delle imprese in materia di contributi.

9.2.– Per il personale che sia iscritto al Fondo pensione per i lavoratori dello spettacolo dopo il 31 dicembre 1995 o che abbia optato per l’applicazione del sistema contributivo, il d.lgs. n. 182 del 1997 detta una disciplina puntuale, che ridefinisce la retribuzione giornaliera di riferimento, pari al «massimale annuo di retribuzione pensionabile vigente tempo per tempo nell’assicurazione generale obbligatoria ai sensi dell’articolo 2, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335, diviso per 312» (art. 1, comma 11).

9.3.– Con riguardo alla “quota B”, il legislatore non abroga in maniera espressa l’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971, né delinea una diversa disciplina, volta a regolare in maniera compiuta un elemento imprescindibile del regime previdenziale in esame.

Il legislatore ha scelto, al contrario, di rimodulare in termini generali il limite alla retribuzione giornaliera pensionabile (art. 1, comma 10, del d.lgs. n. 182 del 1997), senza alcuna specificazione volta a circoscrivere alla “quota A” l’operatività delle innovazioni.

9.4.– Rispetto a una tecnica normativa che predilige le modificazioni espresse, sarebbe distonica la scelta di abrogare in maniera tacita una disciplina basilare, senza mai esternare tale volontà né nel testo di legge né nel dibattito che prelude alla sua approvazione.

In contrasto con le esigenze di certezza, preminenti nella materia previdenziale, una innovazione di ragguardevole impatto sarebbe affidata alle controvertibili opzioni dell’interprete, chiamato a ravvisare, di volta in volta, i presupposti tipizzati dall’art. 15 delle preleggi.

10.– La mancanza di «una dichiarazione espressa del legislatore», che abroghi una normativa dotata di primaria rilevanza, induce a valutare con rigore la configurabilità di un’abrogazione tacita.

A tal fine sono indispensabili la «incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti» o l’intervento di una nuova legge che regoli «l’intera materia già regolata dalla legge anteriore» (art. 15 delle preleggi).

Nessuno di tali presupposti si ravvisa nell’odierna fattispecie.

11.– Quanto all’incompatibilità tra le nuove e le vecchie disposizioni di legge, questa Corte ha affermato che «si verifica solo quando tra le norme considerate vi sia una contraddizione tale da renderne impossibile la contemporanea applicazione, cosicché dalla applicazione ed osservanza della nuova legge non possono non derivare la disapplicazione o l’inosservanza dell’altra (Cass. n. 1429 del 2002; n. 10053 del 2002)» (Cass., sez. lav., 13 ottobre 2022, n. 29974).

12.– Non milita a favore dell’incompatibilità tra nuova e pregressa normativa il mero riferimento dell’art. 4, comma 8, del d.lgs. n. 182 del 1997 all’applicazione dell’aliquota del 2 per cento «sino alla quota di retribuzione giornaliera pensionabile in vigore tempo per tempo nell’assicurazione generale obbligatoria diviso per 312».

12.1.– Tale riferimento ben si concilia, da un punto di vista logico e operativo, con il permanere del limite alla retribuzione giornaliera pensionabile, stabilito per i lavoratori dello spettacolo, in termini generali, dalla legge preesistente.

L’art. 4, comma 8, del d.lgs. n. 182 del 1997 modifica l’aliquota di rendimento per la determinazione del trattamento di quiescenza, senza dispensare dall’osservanza del tetto fissato dalla normativa previgente con riguardo al profilo specifico e autonomo della retribuzione giornaliera pensionabile.

12.2.– Né giova obiettare che l’applicazione del “massimale pensionabile” anche alla “quota B” consenta d’impiegare solo in parte la tabella del citato art. 12 del d.lgs. n. 503 del 1992 e implichi l’irrilevanza della terza e della quarta aliquota di rendimento.

La tabella allegata al d.lgs. n. 503 del 1992 ha valenza generale e non è calibrata in via esclusiva sul regime del personale appartenente al settore dello spettacolo. Essa non può che operare nel rispetto dei limiti che tale regime contempla, in virtù della descritta disciplina speciale.

Il medesimo inconveniente è stato segnalato anche con riguardo all’art. 21, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n. 67, concernente, tra l’altro, la determinazione della misura delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, gestita dall’ENPALS (art. 5 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 11, convertito, con modificazioni, nella legge 19 marzo 1993, n. 70).

In forza della disposizione citata, la retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione annua pensionabile previsto per l’assicurazione generale obbligatoria in esame è computata secondo le aliquote decrescenti di cui alla tabella allegata.

La quota aggiuntiva così calcolata diviene parte integrante della pensione.

Anche con riguardo a tale disciplina, strutturata in termini non dissimili rispetto a quella oggi rilevante, si è osservato che, per i lavoratori assicurati presso l’INPS, essa riceve piena applicazione, laddove, per i dipendenti in regime ENPALS, le quote aggiuntive di pensione sono riconosciute soltanto fino al raggiungimento del massimale di retribuzione pensionabile giornaliera rivalutato in base all’indice ISTAT (Corte costituzionale, sentenza n. 202 del 2008, punto 1 del Ritenuto in fatto).

Tale elemento, tuttavia, non è valso ad escludere la necessità di applicare la disciplina generale dell’art. 21, comma 6, della legge n. 67 del 1988, nell’osservanza del limite specifico alla retribuzione giornaliera pensionabile posto dall’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971.

Anche da questo punto di vista, pertanto, non si possono trarre inferenze decisive dal fatto che alcune aliquote, nel caso concreto, siano inapplicabili.

12.3.– Né l’incompatibilità tra vecchia e nuova disciplina si può evincere dalla circostanza che la norma in esame richiami le sole aliquote di rendimento di cui al comma 1 dell’art. 12 del d.lgs. n. 503 del 1992, senza rimandare ai «limiti massimi di retribuzione pensionabile previsti dai singoli ordinamenti» di cui al comma 2.

L’enfasi sull’omesso richiamo non considera che sono indissolubilmente connesse le previsioni dei commi 1 e 2, riguardanti le aliquote di rendimento e il modo in cui esse operano, entro i limiti alla retribuzione pensionabile specificamente ribaditi dal comma 2.

Quel che rileva è che il riferimento all’art. 12 del d.lgs. n. 503 del 1992 comunque non investe il distinto e autonomo profilo del limite alla retribuzione giornaliera pensionabile, stabilito dalla normativa speciale del d.P.R. n. 1420 del 1971.

12.4.– Alla luce delle considerazioni svolte, non sussiste, dunque, quella palese antinomia che sola consente di ravvisare i presupposti di un’abrogazione tacita, in mancanza di un’espressa volontà del legislatore.

13.– L’abrogazione tacita non è suffragata neppure dall’art. 3 del d.lgs. n. 182 del 1997, che enuclea i criteri d’individuazione delle giornate rilevanti, senza dispiegare alcun effetto sul diverso profilo del limite imposto alla retribuzione giornaliera pensionabile.

La disposizione citata, con precipuo riguardo alla retribuzione giornaliera pensionabile, richiama a più riprese il d.P.R. n. 1420 del 1971.

La retribuzione giornaliera pensionabile – dispone la previsione richiamata – è quella di cui all’art. 12 del d.P.R. n. 1420 del 1971 e l’art. 12 individua nel tetto di cui al settimo comma una caratteristica fondamentale della retribuzione di riferimento.

Anche in questa prospettiva, emerge che la normativa del 1971 e quella del 1997 non sono antitetiche, ma complementari, per quel che riguarda la determinazione della “quota B”.

La nozione di retribuzione giornaliera pensionabile mantiene intatto anche in tale ambito il suo ruolo di categoria ordinante ed è proprio la fonte più risalente (art. 12 del d.P.R. n. 1420 del 1971), aggiornata per l’occasione, a definirla, anche alla stregua del limite invalicabile posto dal settimo comma.

Le molteplici correlazioni tra le due discipline impediscono di configurare il d.lgs. n. 182 del 1997, quanto alla regolamentazione delle anzianità contributive posteriori al 31 dicembre 1992, come una normativa autosufficiente, avulsa da quella più antica e perciò destinata a regolare per intero la materia.

Per la quota di pensione relativa alle anzianità maturate successivamente al 31 dicembre 1992, si deve escludere, di conseguenza, l’abrogazione tacita dell’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971.

14.– Sono le stesse argomentazioni addotte dal controricorrente a confutare quell’abrogazione tacita che costituisce il fulcro della decisione impugnata.

Lungi dall’avere abrogato, per la “quota B”, il limite alla retribuzione giornaliera pensionabile, il legislatore l’avrebbe rimodulato. Il limite applicabile alla “quota B” sarebbe parametrato a quello di un milione di lire, che rappresenta l’importo della retribuzione massima imponibile a fini contributivi. Su tali aspetti il controricorrente si sofferma con dovizia di dettagli nella memoria illustrativa.

Il limite alla retribuzione giornaliera pensionabile sarebbe così allineato all’importo della retribuzione imponibile a fini contributivi, in forza di una scelta legislativa implicita, sfornita, nondimeno, di ogni elemento testuale di conferma. Elemento tanto più necessario alla luce delle ripercussioni di una siffatta innovazione, che rimediterebbe la scelta compiuta dal legislatore soltanto nel 1991, con la legge n. 412, elevando il massimale contributivo e differenziandolo rispetto al limite massimo della retribuzione giornaliera pensionabile.

L’abrogazione per incompatibilità dell’originaria disciplina condurrebbe, in difetto di ogni appiglio testuale, all’introduzione di una nuova disciplina, calibrata su un diverso limite, meno restrittivo.

Anche da quest’angolo visuale, risaltano con plastica evidenza le asperità del percorso ermeneutico che approda al superamento della disciplina più risalente, in quanto inconciliabile con la nuova.

15.– Tale considerazione introduce all’esame dei profili sistematici che corroborano la perdurante vigenza del limite di cui all’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971 anche per la determinazione della “quota B” della pensione.

Il massimale della retribuzione giornaliera pensionabile è un elemento indefettibile anche nella determinazione della “quota B”, come la stessa parte controricorrente non manca di riconoscere, pur ventilando correttivi che travalicano i confini dell’interpretazione del diritto vigente.

Il regime previdenziale dei lavoratori dello spettacolo – come conferma anche la sua evoluzione più recente – presuppone l’indicazione legislativa, univoca e vincolante, di un massimale della retribuzione pensionabile e di un massimale contributivo.

16.– È proprio la particolarità del regime applicabile ai lavoratori dello spettacolo a indirizzare l’interprete e ad avvalorare la continuità, in ordine al massimale pensionabile, tra il regime della “quota A” e quello della “quota B”.

17.– Uno dei tratti distintivi del regime applicabile ratione temporis risiede nella retribuzione massima imponibile a fini contributivi.

17.1.– Il precedente sistema di contribuzione prevedeva l’obbligo per il lavoratore di versare l’aliquota del 14,70 per cento fino all’ammontare massimo di lire 315.000 di compenso giornaliero, corrispondente al limite della retribuzione giornaliera pensionabile.

Sull’eccedenza si applicava un contributo di solidarietà nella misura del 3 per cento.

L’importo della retribuzione imponibile a fini contributivi era dunque speculare a quello della retribuzione giornaliera pensionabile.

17.2.– L’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, nel modificare l’art. 2, terzo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971, «ha elevato l’aliquota percentuale al 26,97 per cento ed ha stabilito che essa si applichi ai compensi giornalieri fino alla concorrenza di lire un milione, innalzando nel contempo il contributo di solidarietà dal 3 al 5 per cento» (Corte costituzionale, ordinanza n. 369 del 1998).

17.3.– Per i lavoratori, come il controricorrente, già iscritti al Fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo alla data del 31 dicembre 1995, il massimale contributivo permane, nei termini definiti dall’art. 1, comma 8, del d.lgs. n. 182 del 1997: le aliquote contributive «si applicano integralmente sulla retribuzione giornaliera non eccedente il limite massimo di lire 1.000.000. Fermo restando il disposto di cui all’articolo 2, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1420, qualora la retribuzione giornaliera sia superiore a lire 1.000.000 l’aliquota contributiva è dovuta sul massimale di retribuzione giornaliera imponibile corrispondente a ciascuna fascia ed è accreditato un numero di giorni di contribuzione, con un massimo di otto, secondo l’allegata Tabella A fino al raggiungimento di 312 giornate annue superate le quali si applica la previgente normativa. Sulla parte di retribuzione eccedente il massimale di retribuzione imponibile relativo a ciascuna fascia, si applica un contributo di solidarietà nella misura del 5 per cento di cui 2,50 per cento a carico del datore di lavoro e 2,50 per cento a carico del lavoratore».

La retribuzione soggetta a prelievo contributivo è più elevata rispetto alla retribuzione giornaliera pensionabile.

17.4.– Diversa è la disciplina per il personale che sia iscritto al Fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo in data successiva al 31 dicembre 1995 o che eserciti l’opzione per il sistema contributivo (art. 1, comma 14, del d.lgs. n. 182 del 1997): si applica il massimale annuo della base contributiva e pensionabile di lire 132 milioni, secondo le modalità stabilite, con valenza generale, dall’art. 2, comma 18, della legge n. 335 del 1995.

18.– L’indiscriminata abolizione, per la “quota B”, di un limite massimo della retribuzione giornaliera pensionabile darebbe àdito a una situazione rovesciata rispetto a quella che la Corte costituzionale ha vagliato nella già menzionata sentenza n. 202 del 2008.

18.1.– Oggetto di censure era, in quel frangente, il divario tra la retribuzione sottoposta a contribuzione piena (lire 1.000.000) e la retribuzione utile ai fini del calcolo della pensione (lire 315.000).

La Corte costituzionale ha affermato che tale divario non è di per sé lesivo dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza e di adeguatezza e di proporzionalità della tutela previdenziale, «purché una certa proporzionalità venga assicurata e, soprattutto, non sia compromessa la realizzazione delle finalità di cui all’art. 38 della Costituzione» (sentenza n. 202 del 2008, punto 2 del Considerato in diritto).

La Carta fondamentale non richiede una «necessaria corrispondenza tra i contributi versati e le prestazioni erogate» (sentenza n. 202 del 2008, punto 2), in quanto l’adempimento dell’obbligo contributivo trascende l’interesse del singolo soggetto protetto e non obbedisce a una logica meramente corrispettiva (sentenza n. 173 del 1986, punto 10 del Considerato in diritto).

Né lo «squilibrio di notevole entità che esisterebbe tra la misura del tetto pensionabile e quella, all’incirca tripla, della retribuzione assoggettata a contribuzione» pregiudica quelle esigenze minime di protezione della persona, che s’impongono come nucleo intangibile anche alla discrezionalità del legislatore (sentenza n. 202 del 2008, il già richiamato punto 2 del Considerato in diritto), chiamato a tener conto delle risorse finanziarie disponibili.

Alla disarmonia denunciata non potrebbe comunque porre rimedio la Corte costituzionale, in quanto un intervento di tal fatta implicherebbe «valutazioni e bilanciamenti di interessi comportanti scelte politiche che, nei limiti del rispetto dei diritti fondamentali, competono al legislatore» (il citato punto 2 del Considerato in diritto).

18.2.– Il sindacato di costituzionalità era stato sollecitato in giudizi riguardanti la liquidazione di pensioni costituite da una “quota A” e da una “quota B”.

Nel giudizio promosso dal Tribunale di Sanremo, aveva agito un «dipendente a tempo indeterminato del Casinò municipale di Sanremo con la qualifica di impiegato,…collocato a riposo in data 31 dicembre 1998 all’età di sessantaquattro anni, avendo maturato trentaquattro anni di anzianità di servizio, pari a complessive 10.620 giornate di contribuzione».

Il rimettente aveva esposto che la pensione erogata a decorrere dal 1° gennaio 1999 era stata calcolata – sia per la quota a) sia per la quota b) – «assumendo come massimale di retribuzione giornaliera pensionabile una somma inferiore a quella realmente percepita, con la conseguenza che il trattamento pensionistico globale è risultato inferiore rispetto a quello che il ricorrente avrebbe ottenuto ove il criterio di calcolo fosse stato quello della retribuzione effettiva» (punto 1 del Ritenuto in fatto).

Anche nel giudizio promosso dal Tribunale di Torino, l’azione era stata intrapresa da «dipendenti a tempo indeterminato rispettivamente fino alle date del 31 agosto 2001 e del 30 giugno 2003» (punto 3 del Ritenuto in fatto), che potevano dunque vantare anzianità contributive in data successiva al 1° gennaio 1993.

La Corte costituzionale non considera erroneo il presupposto interpretativo da cui muovono entrambi i rimettenti, che fanno leva sulla perdurante applicabilità del limite di cui all’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971, anche per la “quota B”. Limite che il Tribunale di Sanremo ritiene sia stato confermato proprio dal d.lgs. n. 503 del 1992.

Il giudice delle leggi ha dichiarato inammissibili le questioni, in ragione del carattere manifestamente manipolativo della pronuncia auspicata dai rimettenti. La correzione dello squilibrio postula scelte squisitamente discrezionali, che esorbitano dai poteri della Corte costituzionale (art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87).

Quanto alla disparità di trattamento con il regime dell’assicurazione generale obbligatoria, non sussiste l’adombrata lesione del principio di eguaglianza e le censure, pertanto, sono state dichiarate non fondate.

La pronuncia della Corte costituzionale non si arresta a un rilievo di mera inammissibilità e, nel dichiarare in parte inammissibili e in parte non fondate le questioni sollevate, muove comunque dal presupposto che sussista lo squilibrio denunciato in termini generali, con riguardo a entrambe le quote di pensione, e che sia corretta la premessa interpretativa che fonda il dedotto contrasto con i parametri invocati.

Anche da questo punto di vista, trova conferma il fatto che, anche per la “quota B”, non cessi di trovare applicazione il limite di cui all’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971.

19.– Nell’interpretazione avallata dal giudice d’appello e dalla parte controricorrente, si determinerebbe una diversa asimmetria rispetto a quella esaminata dal giudice delle leggi nella sentenza n. 202 del 2008.

Il sistema, che impone il pagamento della contribuzione in misura piena fino ad un certo importo (lire 1.000.000) e, per l’eccedenza, il versamento di un mero contributo di solidarietà, si combinerebbe con l’eliminazione di un tetto alla retribuzione giornaliera pensionabile.

20.– A una disciplina, che ancora fissa ratione temporis un limite alla retribuzione imponibile a fini contributivi, è coessenziale, per contro, la presenza di un limite alla retribuzione pensionabile.

Il permanere del primo limite, svincolato dal secondo, non può che generare criticità e sperequazioni, in contrasto con il disegno di armonizzazione e razionalizzazione perseguito dal legislatore con le riforme del 1995 e del 1997.

Invero, al lavoratore, che pure abbia pagato i contributi in misura piena solo entro la soglia del massimale di un milione delle vecchie lire, sarebbe corrisposta la pensione sulla base dell’intera retribuzione percepita, senza limitazioni di sorta in ordine alla retribuzione giornaliera di riferimento.

Di tali incongruenze, che condurrebbero a creare un sistema d’inedito favore anche rispetto a quello vigente nell’assicurazione generale obbligatoria, si mostra consapevole e si fa carico la stessa parte controricorrente, adombrando l’introduzione di un limite meno stringente, con una soluzione non scevra da incertezze e carente di un solido fondamento legislativo.

21.– La fissazione di un tetto alla retribuzione giornaliera pensionabile contribuisce a comporre i diversi interessi di rilievo costituzionale e si colloca in «un sistema ampiamente favorevole per gli iscritti, quanto all’entità delle prestazioni ed alle condizioni di accesso, rispetto a quello della generalità dei lavoratori assicurati presso l’INPS; di talché non è possibile lamentare il semplice dato della diversità esistente tra retribuzione soggetta a prelievo contributivo e retribuzione pensionabile senza tenere presente l’intero sistema previdenziale in cui detta previsione si inserisce» (Corte costituzionale, sentenza n. 202 del 2008, punto 3 del Considerato in diritto).

21.1.– Tale regime previdenziale, che prescinde dalla natura autonoma o subordinata del rapporto di lavoro e dal settore di appartenenza dell’impresa, è contraddistinto dall’accredito di contributi d’ufficio, da un accesso alle pensioni di vecchiaia, che è anticipato per talune figure rispetto ai regimi ordinari, dall’erogazione di uno specifico trattamento d’invalidità professionale.

21.2.– La specialità, legata a un lavoro spesso discontinuo e precario, permea anche l’evoluzione normativa più recente, contrassegnata dall’esigenza di sovvenire alla crisi generata dall’emergenza da Covid-19 (art. 66 del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, nella legge 23 luglio 2021, n. 106) e di apprestare una riforma di più ampio respiro, prefigurata dalla legge 15 luglio 2022, n. 106, recante «Delega al Governo e altre disposizioni in materia di spettacolo».

Il Parlamento ha delegato il Governo all’introduzione di appropriate misure di sostegno, nel doveroso «riconoscimento delle specificità del lavoro e del carattere strutturalmente discontinuo delle prestazioni lavorative nel settore dello spettacolo» (art. 2, comma 4, lettera a, della legge da ultimo citata)

21.3.– L’indicata specialità, tuttavia, non si può tramutare nell’introduzione di un regime d’incongruo favore o nella configurazione di un sistema previdenziale che, di questa specialità, riproduca solo gli aspetti più convenienti, disgiunti dal complessivo bilanciamento attuato dal legislatore al fine di garantire la sostenibilità del sistema globalmente inteso.

In questa prospettiva, si coglie la giustificazione del permanere del limite massimo della retribuzione pensionabile, con riferimento alla determinazione della “quota B” della pensione.

21.4.– Tanto l’abolizione del limite quanto l’introduzione di un limite meno rigoroso determinerebbero irragionevoli disparità tra il calcolo delle due quote, caratterizzate da limiti sensibilmente diversi anche nell’interpretazione correttiva perorata dal controricorrente.

Non si attuerebbe quel «bilanciamento tra i metodi di calcolo delle due quote», delineato nella sentenza impugnata.

21.5.– Si deve poi rilevare che, per il calcolo della “quota B”, il legislatore, con il d.lgs. n. 503 del 1992, ha introdotto criteri più rigidi, in una prospettiva di contenimento della spesa previdenziale.

In antitesi con le linee ispiratrici degl’interventi di riforma, si dovrebbe ipotizzare che, per i lavoratori dello spettacolo, la determinazione della “quota B” sia improntata a criteri più favorevoli, disancorati da ogni limite alla retribuzione giornaliera pensionabile o commisurati a un limite notevolmente meno severo rispetto alla “quota A”.

22.– Inoltre, un sistema, che superi il massimale della retribuzione giornaliera pensionabile e perpetui l’operatività di una retribuzione massima imponibile a fini contributivi, sarebbe disarmonico rispetto alla legge di delegazione, che non soltanto non racchiude indicazioni di sorta in ordine a tale superamento, ma vincola il legislatore a salvaguardare le esigenze di equilibrio delle gestioni previdenziali.

22.1.– L’indiscriminato superamento del massimale della retribuzione giornaliera pensionabile, a fronte del permanere di un massimale contributivo, porrebbe a repentaglio quelle esigenze di equilibrio che la legge di delegazione ha enunciato come criterio direttivo cogente, richiamato anche dalle conclusioni del Pubblico Ministero.

Tale criterio direttivo non può non orientare anche l’opera dell’interprete, chiamato ad assicurare la compatibilità del decreto legislativo con i principi e i criteri direttivi prescritti dal delegante e, di conseguenza, con la Carta fondamentale (art. 76 Cost.).

Proprio nell’esame del d.lgs. n. 182 del 1997, questa Corte, sia pure con riguardo alla diversa questione dell’incidenza dello ius superveniens sulle pensioni già liquidate, ha posto l’accento sulla necessità di un’interpretazione conforme ai principi e criteri direttivi della legge di delegazione, rimarcando che «quale canone ermeneutico preminente, il principio di supremazia costituzionale […] impone all’interprete di optare, fra più soluzioni astrattamente possibili, per quella che rende la disposizione conforme a Costituzione» (Cass., sez. lav., 24 febbraio 2006, n. 4163).

22.2.– Né si può ribattere che la gestione ENPALS, allorché è stata inglobata nell’INPS, non registrasse disavanzi di sorta.

Tale elemento, indicato dalla parte controricorrente nella memoria illustrativa, non è dirimente per un duplice ordine di ragioni.

Insuperabile, anzitutto, è il dato testuale, che indica a chiare lettere l’esigenza di salvaguardare l’equilibrio delle gestioni previdenziali, esigenza che s’impone anche come criterio interpretativo delle disposizioni adottate dal legislatore delegato.

Per altro verso, occorre avere riguardo al momento in cui le innovazioni sono state adottate, prima con la legge n. 335 del 1995 e quindi con il d.lgs. n. 182 del 1997.

Il legislatore ha dovuto soppesare tali esigenze di equilibrio, tutt’altro che ipotetiche o remote in quell’arco di tempo.

Nell’esame in sede consultiva dello schema di decreto legislativo, si è notato che «il sistema di finanziamento del Fondo pensioni dei lavoratori dello spettacolo, realizzato tramite il prelievo contributivo sulle retribuzioni, si è da tempo rivelato insufficiente a garantirne l’equilibrio finanziario, anche a causa delle favorevoli condizioni di accesso ai trattamenti pensionistici, che hanno determinato un notevole incremento dei fruitori di essi» (Undicesima Commissione Lavoro e previdenza sociale del Senato, Seduta del 23 gennaio 1997), determinando «un pesante passivo» (seduta del 6 febbraio 1997 della medesima Commissione).

Anche l’allineamento tra massimale pensionabile e massimale contributivo con riguardo alla “quota B”, nei termini ipotizzati dal controricorrente, sarebbe dissonante rispetto all’obiettivo di garantire l’equilibrio delle gestioni previdenziali e alla necessità di razionalizzare la spesa previdenziale, necessità che ha ispirato tutti gl’interventi riformatori.

23.– Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte territoriale, nel ritenere oramai superato, per la “quota B” della pensione, il limite alla retribuzione giornaliera pensionabile di cui all’art. 12, settimo comma, del d.P.R. n. 1420 del 1971, è incorsa nell’errore di diritto denunciato dal ricorrente.

24.– Il ricorso, pertanto, è accolto e la sentenza impugnata è cassata.

A norma dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., la causa dev’essere rinviata alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si uniformerà al seguente principio di diritto: «Nella determinazione della “quota B” della pensione, relativa alle anzianità maturate successivamente al 31 dicembre 1992 dai lavoratori iscritti al Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo in data anteriore al 31 dicembre 1995, non si prendono in considerazione, ai fini del calcolo della retribuzione giornaliera pensionabile, per la parte eccedente, le retribuzioni giornaliere superiori al limite fissato dall’art. 12, settimo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1420, così come da ultimo modificato dall’art. 1, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 182. Tale limite non è stato abrogato per incompatibilità dall’art. 4, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 182 del 1997».

Al giudice designato per la fase di rinvio è rimessa, inoltre, la liquidazione delle spese del presente giudizio (art. 385, terzo comma, cod. proc. civ.).

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.