CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 36940 depositata il 16 dicembre 2022
Tributi – Cartella esattoriale – Canone relativo a concessione demaniale di terreno – Deducibilità dal reddito derivante da fabbricato – Accoglimento – giudicato esterno
Fatti di causa
1. L.e P.M. hanno proposto ricorso, con tre motivi, contro l’ Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza n. 2425/2017 della Commissione tributaria regionale della Toscana, pronunciata in data 23 giugno 2017, depositata in data 17 novembre 2017 e non notificata, che ha accolto l’appello dell’ufficio avverso la sentenza n. 134/2013 della Commissione tributaria provinciale di Lucca che aveva accolto il ricorso contro la cartella esattoriale emessa ex art. 36 ter d.P.R. n.600/1973, mediante la quale si era disconosciuta la detrazione di somme corrispondenti all’ammontare del canone per l’anno 2008 relativo ad una concessione demaniale di terreno, che i M. corrispondevano al Comune di Viareggio.
2. Con la sentenza impugnata, la Commissione tributaria regionale della Toscana riteneva non deducibile dal reddito dei contribuenti, derivante dal fabbricato costruito dai M. sull’area demaniale, il canone annuo versato al Comune di Viareggio a titolo di concessione, la quale non attribuiva ai concessionari diritti assimilabili a quelli personali di godimento.
Secondo la C.t.r. andavano tenuti distinti i redditi derivanti dal fabbricato, di proprietà dei M., e quelli dell’area demaniale, sui quali il fabbricato insisteva.
3. I ricorrenti hanno depositato memoria e chiesto la trattazione orale in pubblica udienza, deducendo la formazione del giudicato sulla lite avente ad oggetto la medesima questione tra le stesse parti relativa all’anno di imposta 2009.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo, i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza con riferimento all’art.132, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
Secondo i ricorrenti, il confuso ed erroneo argomentare del giudice di appello non consentirebbe di comprendere l’iter logico giuridico a base della decisione adottata.
1.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano la falsa applicazione dell’art.36 ter d.P.R. 29 settembre 1973, n.600, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Secondo i ricorrenti, la C.t.r. aveva erroneamente ritenuto la legittimità del procedimento ex art.36 ter d.P.R. 29 settembre 1973, n.600, al di fuori dei casi tassativi per il quale era previsto, peraltro in una fattispecie in cui era necessario interpretare l’art.10 T.u.i.r. e qualificare giuridicamente il rapporto di concessione.
1.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art.10, comma 1, lett. a), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Un ulteriore errore dei giudici di appello, secondo i ricorrenti, sarebbe quello di aver ritenuto inapplicabile alla fattispecie in esame l’art.10 T.u.i.r.
2.1. Preliminarmente deve darsi atto che i ricorrenti, con la memoria, hanno dedotto la formazione del giudicato sulla lite avente ad oggetto la medesima questione tra le stesse parti relativa all’anno di imposta 2009.
In particolare, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5129/2020, aveva cassato con rinvio la sentenza della C.t.r. della Toscana, che, per l’annualità al suo esame, aveva rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate, ritenendo che il pagamento del canone fosse onere strettamente legato all’esistenza dell’immobile da cui non si può separare, pur se connesso alla concessione dell’area demaniale.
La Corte, nella citata ordinanza, dopo aver ritenuto legittimo il ricorso all’accertamento ex art.36 ter d.P.R. n.600/1973, rilevava <<l’errore in diritto della C.t.r. che non [aveva] accertato, esaminando l’atto di concessione, se il canone [era] necessario a conservare la proprietà superficiaria, con la conseguenza che in caso di mancato pagamento del canone il fabbricato non [avrebbe potuto] produrre reddito per i contribuenti, ovvero se, come afferma[va] l’Agenzia si tratta[va] di un mero corrispettivo per il godimento del bene>>.
La Corte ha precisato che non era decisiva la natura di “canone” del pagamento né la non separabilità del bene ivi insistente, quanto piuttosto se detto canone costituisse un onere gravante sul reddito del fabbricato e cioè se esso era il corrispettivo per mantenere il diritto di superficie (ovvero un mero corrispettivo per il godimento del suolo) e se, in caso di mancato pagamento del canone, la revoca della concessione avrebbe comportato, come sostengono i contribuenti facendo riferimento alle clausole dell’atto concessorio, la acquisizione della proprietà del fabbricato in capo al Comune.
Il giudice di rinvio, con sentenza n. 1556/2021, ha ritenuto che, sulla scorta delle indicazioni della Cassazione, dovesse affermarsi la deducibilità del canone di concessione, in quanto l’art. 13 della concessione prevedeva la decadenza della stessa in caso di mancato pagamento dei canoni protratto oltre due mesi dalla costituzione in mora e l’art. 17 prevedeva che in caso di revoca i manufatti erano acquisiti in proprietà al comune di Viareggio.
La sentenza della C.t.r., depositata il 23/12/2021 e notificata all’Agenzia delle entrate il 25/1/2022, è stata prodotta dai ricorrenti con l’attestazione, datata 2/5/2022, che non risultava proposta impugnazione.
Nel caso di specie, non è contestato che il contenuto della concessione, come riportato nel ricorso di parte contribuente, sia corrispondente a quello già esaminato per l’annualità 2008 e coperto dal giudicato.
Pertanto la contiguità delle annualità e la mancanza di elementi diversi portano a ritenere che sulla questione della deducibilità del canone di concessione si sia formato tra le parti un giudicato esterno, riguardante l’annualità 2008, ma estensibile all’annualità 2009, perché basato sull’accertamento degli elementi comuni attinenti alla medesima concessione.
Invero, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (cfr. Cass. S.U. n.13916/2006).
La sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, il ricorso originario dei contribuenti va accolto.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del doppio grado del giudizio di merito, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario dei contribuenti; compensa le spese del doppio grado del giudizio di merito;
condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00, per compensi, oltre il 15 per cento per spese generali, euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge.
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