CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 37248 depositata il 20 dicembre 2022
Indicazione carente dei motivi di appello – Superamento del periodo di comporto – Assenza per infortunio sul lavoro – Mancata indicazione della motivazione dell’ordinanza che aveva dichiarato inammissibile l’appello – Errore di fatto revocatorio – Inammissibilità
Fatti di causa
1. Con ricorso ex art. 391 bis, co. 1, e 395 n. 4) c.p.c., depositato il 323.5.2020, la I.F.C.A. s.p.a. chiedeva a questa Corte di revocare la propria sentenza, in epigrafe meglio indicata, con la quale era stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione ex art. 348 ter, comma terzo, c.p.c. che la medesima società, a seguito dell’ordinanza della Corte d’appello di Firenze depositata il 7.12.2017 (R.G. n. 1241/2016), dichiarativa dell’inammissibilità del suo appello contro la sentenza n. 925/2016 del Tribunale di Firenze, depositata il 27.10.2016 (R.G. n. 1221/2015), aveva proposto contro quest’ultima sentenza, e che, nulla provvedendo circa le spese (in assenza di costituzione della lavoratrice intimata), aveva, però, dichiarato sussistenti nei confronti della società ricorrente per cassazione i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
2. La ricorrente in revocazione ha affidato la sua impugnazione ad unico articolato motivo.
3. L’intimata è rimasta tale, in quanto, nonostante la regolare notificazione del ricorso, non ha inteso nuovamente costituirsi.
5. Il P.G. ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, o comunque disporne il rigetto.
5. La ricorrente ha prodotto memoria.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso, l’impugnante denuncia ex artt. 391 bis, comma primo, e 395 n. 4) c.p.c. un errore di fatto, consistente in un’errata percezione materiale del contenuto del ricorso per cassazione e omessa pronuncia.
2. Più in particolare, assume che la precedente sentenza di questa Corte n. 23514/2019 aveva dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto da I.F.C.A., <poiché quest’ultimo non avrebbe fatto “espressa analitica menzione almeno dei motivi di appello, se non pure della motivazione dell’ordinanza dichiarativa della ammissibilità” (n.d.r.: rectius, “dell’inammissibilità”)>.
Sostiene che la “decisione della Corte di Cassazione di cui si chiede la revocatoria è fondata su un evidente ed immediatamente percettibile errore di fatto perché, diversamente da quanto si assume in tale decisione, il ricorso per cassazione proposto dalla società conteneva espressamente sia “il motivo” di appello proposto da I. contro la sentenza di primo grado (come vedremo dall’esame anche dell’atto di appello, esso era infatti uno solo), sia l’integrale stesura dell’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità emanata dalla Corte di Appello di Firenze”.
Sempre secondo la ricorrente, quanto sopra risulterebbe “in modo immediatamente percettibile dalla mera lettura:) dei punti 5 e 9 del ricorso per cassazione, in cui è stato riportato “il motivo” di appello proposto avverso la sentenza di primo grado; b) del punto 10 del medesimo ricorso per cassazione in cui è stata trascritta integralmente l’ordinanza della Corte territoriale che ha proclamato l’inammissibilità dell’appello”.
Passa, quindi, a meglio illustrare tali suoi assunti.
3. Ritiene il Collegio che il ricorso debba essere giudicato inammissibile anzitutto per difetto dell’occorrente specificità dell’unica censura; specificità richiesta invece dall’art. 366, comma primo, n. 4), c.p.c., applicabile all’impugnazione che qui ci occupa a mezzo del rimando anche a tale ultima disposizione ad opera dell’art. 391 bis, comma primo, c.p.c. (dove recita: “… la parte interessata può chiederne … la revocazione con ricorso ai sensi degli articoli 365 e seguenti” del codice di rito civile). In particolare, tale carenza di specificità si appalesa in termini di non pertinenza rispetto a quanto effettivamente considerato da questa Corte nella motivazione dell’impugnata sua sentenza.
4. Occorre premettere che nella parte motiva di tale decisione, nell’illustrare perché il ricorso dell’epoca dovesse essere dichiarato inammissibile, si era scritto testualmente: “4. La società ricorrente, infatti, non ha indicato i motivi di appello, se non in modo del tutto generico, secondo ciò che emerge dall’esposizione dei fatti di causa e in particolare dai paragrafi 5 e 9: là dove è meramente denunciata l’erroneità della esclusione dal computo del periodo di comporto dei giorni di assenza per infortunio sul lavoro (cfr. ricorso per cassazione, p. 6) e là dove viene censurata l’ordinanza della Corte territoriale per non avere “colto le articolate argomentazioni dedotte con l’atto di appello” dalla società, peraltro richiamate con la pura e semplice riproposizione dell’assunto originario, in via di estrema sintesi, di una considerazione unitaria, da parte della disposizione collettiva, di malattia e infortunio ai fini del superamento del periodo di comporto (cfr. ricorso per cassazione, p. 7)”.
4.1. Tale essendo l’effettivo tenore della motivazione di questa Corte nella sentenza ora impugnata, nella parte specificamente riferita al giudizio in fatto sui motivi d’appello in questione, all’evidenza l’impugnante attribuisce alla Corte stessa affermazioni mai fatte.
Per la precisione, infatti, la Corte, nel § 4 testé trascritto, non aveva attribuito all’allora ricorrente per cassazione di non aver fatto “espressa analitica menzione almeno dei motivi di appello”, bensì aveva ritenuto che la ricorrente non avesse “indicato i motivi di appello, se non in modo del tutto generico”.
Certamente, inoltre, nella sentenza gravata non era ascritto di non aver dato conto anche “della motivazione dell’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità”, come pare opinare l’attuale ricorrente.
Quest’ultima, invero, confonde la parte su riportata di motivazione con i successivi § 5 e 6 della medesima motivazione, nei quali erano stati richiamati, a suffragio del rilievo nel senso dell’inammissibilità del ricorso, dei precedenti di legittimità (Cass. n. 10722/2014 e v. 26936/2016), espressivi di un principio di diritto, tuttora ribadito, e, cioè, che: “Nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, proponibile ai sensi dell’art. 348-ter, comma 3, c.p.c., l’atto d’appello, dichiarato inammissibile, e la relativa ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., costituiscono requisiti processuali speciali di ammissibilità, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 366, n. 3, c.p.c., è necessario che nel suddetto ricorso per cassazione sia fatta espressa analitica menzione almeno dei motivi di appello, se non pure della motivazione dell’ordinanza dichiarativa della inammissibilità, al fine di evidenziare l’insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame (così successivamente anche, tra le altre, Cass. civ., sez. lav., 20.9.2019, n. 23514; id., sez. I, 3.12.2020, n. 27703).
4.2. In definitiva, i rilievi della Corte riguardavano esclusivamente l’indicazione del tutto carente dei motivi d’appello (indicazione, comunque, anzitutto essenziale in base al richiamato orientamento), e non anche la mancata indicazione della motivazione dell’ordinanza che aveva dichiarato inammissibile l’appello contro la sentenza di prime cure.
D’altronde, nel proprio ricorso per cassazione (che l’impugnante ha incorporato nell’atto ora in esame) era in effetti riprodotto integralmente il testo di quella ordinanza (cfr. pagg. 7-17 di quel ricorso); ragion per cui è fin troppo ovvio che era stata così indicata compiutamente anche la parte motiva di quel provvedimento, sicché messi in rilievo in proposito era stato svolto da questa Corte.
4.3. Occorre adesso ricordare che, secondo le Sezioni Unite di questa Corte, il combinato disposto degli artt. 391-bis e 395, comma 1, n. 4, c.p.c. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione. L’errore di fatto revocatorio consiste, difatti, in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato (così Cass. civ., sez. un., 3.3.2020, n. 5906).
Inoltre, l’esistenza o l’inesistenza dedotta può riguardare un fatto sostanziale o processuale (come sarebbe nel caso che ci occupa, nel senso che l’errore di fatto riguarderebbe il contenuto di un atto processuale, vale a dire, il ricorso per cassazione nelle parti in cui erano stati indicati i motivi d’appello).
4.4. Ebbene, secondo quanto avanti illustrato, l’errore di percezione che l’attuale ricorrente in revocazione attribuisce alla precedente sentenza di questa Corte è piuttosto imputabile ora alla stessa ricorrente nella sua impugnazione circa quanto effettivamente considerato in quella decisione.
4.5. In ogni caso, ulteriore ragione d’inammissibilità dell’unico motivo di revocazione e, perciò, dell’intero ricorso è costituita dal rilievo che quanto ivi asserisce l’impugnante non corrisponde al paradigma dell’impugnazione a critica vincolata di cui alla revocazione disciplinata dal combinato disposto degli artt. 391-bis, comma primo, e 395 n. 4) c.p.c.
4.6. Più in particolare, come si è visto, è la stessa ricorrente ad assumere che nei punti 5 e 9 del ricorso per cassazione era stato riportato “il motivo” di appello proposto avverso la sentenza di primo grado (per quanto già detto, è ininfluente il richiamo al punto 10 del medesimo ricorso per cassazione, in cui era trasfusa l’intera ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello, perché alcun rilievo era stato svolto in merito nella sentenza ora impugnata).
Ed è sempre la ricorrente, nel riportare a pag. 43 del ricorso in esame i contenuti, rispettivamente, dei punti 5 e 9 del precedente ricorso, a fornire conferma che quei punti non riportavano nulla di più e di diverso di quello che la Corte aveva esposto al § 4 innanzi sopra trascritto della parte motiva della decisione qui gravata in revocazione.
Asserisce adesso la ricorrente che quelle indicazioni fossero specifiche (cfr. pagg. 43-44 del ricorso in esame).
Per tal modo, tuttavia, fa valere, non l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali (ossia, l’errore di fatto rilevante e deducibile in sede di revocazione), ma un errore di giudizio o di valutazione, circa la ritenuta del tutto generica indicazione dei motivi d’appello.
4.7. Esclusivamente per completezza di disamina, allora, nota il Collegio che per constatare l’evidente manchevolezza delle indicazioni in questione nel ricorso per cassazione giudicato inammissibile sarebbe sufficiente rimandare alla mera lettura del § 5 a pag. 6 e del § 9 a pag. 7 di tale atto.
Per giunta, di tali carenze deduttive fornisce patente riprova sempre la ricorrente.
In questa sede, difatti, è stato riprodotto testualmente (e riversato nel ricorso in esame, ma ciò non era stato fatto nel pregresso ricorso per cassazione) l’intero ricorso in appello a suo tempo interposto contro la sentenza di primo grado. Ebbene, com’è agevole verificare, nel testo di tale scritto – in cui peraltro si parla di “motivi che seguono” (cfr. all’inizio di pag. 11), e non quindi di un unico motivo d’appello, come ora si asserisce -, l’esposizione di quei motivi di gravame occupa ben 20 pagine circa (dalla pag. 7 alla pag. 27 per la precisione).
E’ allora evidente che le scarne indicazioni su quali fossero i motivi d’appello, contenute nelle poche frasi ai punti 5 e 9 del ricorso per cassazione, neppure rappresentassero un riassunto brachilogico ma fedele degli estesi motivi d’appello effettivamente formulati.
5. Nulla dev’essere disposto quanto alle spese in difetto di costituzione dell’intimata, ma la ricorrente è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per revocazione. Ai sensi dell’art. 13 comma 1, quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.