CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 37463 depositata il 21 dicembre 2022
Tributi – Avviso di accertamento – IRES – Deduzione IRAP – Cooperativa di produzione e lavoro – Scopo mutualistico – Agevolazioni tributarie in favore delle società cooperative – Accoglimento
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, di cui all’epigrafe, che (per quanto qui ancora interessa) ha accolto l’ appello erariale avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Palermo, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla M.S. società cooperativa a responsabilità limitata contro l’avviso d’accertamento che, per l’anno d’imposta 2010, le aveva imputato un maggior reddito d’impresa ai fini Ires, per effetto del disconoscimento della deduzione dell’Irap, della quale la contribuente, quale cooperativa di produzione e lavoro, aveva fruito ai sensi dell’art. 11 d.P.R. 16 ottobre 1973, n. 601.
Secondo l’Ufficio, infatti, difettava in concreto il perseguimento dello scopo mutualistico da parte della cooperativa.
La contribuente non si è costituita.
L’Agenzia delle entrate ha prodotto memoria ai fini della trattazione del giudizio presso la sesta sezione di questa Corte con il procedimento di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ., terminato con la rimessione del procedimento a questa sezione.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Ufficio ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli art. 11 e 14, d.P.R. n. 601 del 1973, in relazione all’art. 1, comma 462, della legge 31 dicembre 2004, n. 311; nonché degli artt. 2512, 2513, 2514 e 2545-sexies cod. civ..
Assume l’Agenzia che la CTR avrebbe errato nel ritenere che il perseguimento in concreto dello scopo mutualistico non fosse da escludere, ai fini dell’applicazione della controversa agevolazione, nonostante la cooperativa, attraverso l’impiego dei soci lavoratori, avesse svolto attività di prestazione di servizi (nella specie di gestione dei magazzini della committente) esclusivamente a favore della E.L.V. s.r.l., con la quale aveva concluso contratto di appalto, e sebbene la stessa cooperativa non avesse mai operato ristorni a favori dei suoi soci nel periodo oggetto di verifica (dal 2006 al 2010).
Secondo la ricorrente, tali dati avrebbero piuttosto dovuto indurre la CTR ad accertare che la cooperativa, nell’anno d’imposta controverso, non aveva provveduto semplicemente all’inserimento lavorativo dei suoi soci, ma aveva svolto attività imprenditoriale, prestando servizi in favore dei terzi.
2. Tanto premesso, il motivo è fondato.
Infatti, l’art. 11 del d.P.R. n. 601 del 1973, dispone che:
«I redditi conseguiti dalle società cooperative di produzione e lavoro e loro consorzi sono esenti dalla imposta sul reddito delle persone giuridiche e dalla imposta locale sui redditi se l’ammontare delle retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci che prestano la loro opera con carattere di continuità, comprese le somme di cui all’ultimo comma, non è inferiore al cinquanta per cento dell’ammontare complessivo di tutti gli altri costi tranne quelli relativi alle materie prime e sussidiarie. Se l’ammontare delle retribuzioni è inferiore al cinquanta per cento ma non al venticinque per cento dell’ammontare complessivo degli altri costi l’imposta sul reddito delle persone giuridiche e l’imposta locale sui redditi sono ridotte alla metà.
Per le società cooperative di produzione le disposizioni del comma precedente si applicano a condizione che per i soci ricorrano tutti i requisiti previsti, per i soci delle cooperative di lavoro, dall’art. 23 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni.
Nella determinazione del reddito delle società cooperative di produzione e lavoro e loro consorzi sono ammesse in deduzione le somme erogate ai soci lavoratori a titolo di integrazione delle retribuzioni fino al limite dei salari correnti aumentati del venti per cento.».
A sua volta, l’art. 1, comma 462, della legge n. 311 del 2004, nel delimitare l’ambito di applicabilità della norma appena citata, statuisce che: «L’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, e successive modificazioni, si applica limitatamente al reddito imponibile derivante dall’indeducibilità dell’imposta regionale sulle attività produttive.».
Inoltre, l’art. 14 del d.P.R. n. 601 del 1973, a sua volta prevede che:
«Le agevolazioni previste in questo Titolo si applicano alle società cooperative, e loro consorzi, che siano disciplinate dai principi della mutualità previsti dalle leggi dello Stato e siano iscritti nei registri prefettizi o nello schedario generale della cooperazione.
I requisiti della mutualità si ritengono sussistenti quando negli statuti sono espressamente e inderogabilmente previste le condizioni indicate nell’art. 26 del D. Lgs. C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni, e tali condizioni sono state in fatto osservate nel periodo di imposta e nei cinque precedenti, ovvero nel minor periodo di tempo trascorso dall’approvazione degli statuti stessi.
I presupposti di applicabilità delle agevolazioni sono accertati dall’amministrazione finanziaria sentiti il Ministero del lavoro o gli altri organi di vigilanza.».
3. Nell’interpretare l’art. 14 del d.P.R. n. 601 del 1973, questa Corte ha ritenuto che: « In tema di agevolazioni tributarie in favore delle società cooperative, la conformità degli statuti ai principi legislativi in materia di mutualità comporta una presunzione di spettanza delle agevolazioni o esenzioni tributarie, sicché il procedimento di verifica dei “presupposti di applicabilità” di cui all’art. 14, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, che prevede come obbligatorio il preventivo parere degli organi di vigilanza, attiene ai soli casi in cui detta presunzione legale non operi, salva la facoltà dell’amministrazione di disconoscere le agevolazioni, per ogni singolo periodo d’imposta, sulla base di dati concreti, atti a dimostrare che la veste “mutualistica” funge da copertura ad una normale attività imprenditoriale. In tale ottica, il parere preventivo degli organi di vigilanza riguarda i soli requisiti soggettivi della società cooperativa, mentre l’ordinario potere di accertamento degli uffici finanziari ha ad oggetto la natura e le modalità di svolgimento dell’attività produttiva della cooperativa stessa.» (Cass. 08/05/2006, n. 10544; conforme Cass. 04/03/2015, n. 4300), «di modo che, sotto questo profilo, nessun limite incontra l’ordinario potere di accertamento spettante all’amministrazione finanziaria, la cui attività, al riguardo, va ritenuta legittima, indipendentemente dall’esistenza o meno del suddetto parere.» (Cass. 18/10/2018, n. 26179).
In ordine poi alla natura ed all’oggetto della presunzione legale, e quindi al contenuto della relativa prova contraria, con specifico riferimento proprio ai “ristorni ai soci” (ma trattando il caso in cui essi risultavano effettivamente pagati ai soci), è stato precisato che:« In tema di agevolazioni tributarie in favore delle società cooperative, la conformità degli statuti ai principi legislativi in materia di mutualità comporta una presunzione di spettanza delle agevolazioni o esenzioni tributarie. Tale presunzione è relativa e non impedisce all’Amministrazione finanziaria di disconoscere, per ogni singolo periodo di imposta, le agevolazioni suddette, sempreché fondi il suo accertamento su dati concreti, atti a dimostrare che la veste “mutualistica” funge da copertura ad una normale attività imprenditoriale. Se la prova circa la mancanza, in concreto, dei requisiti della mutualità riesce, a nulla rileva l’eventuale parere del Ministero del lavoro favorevole alla cooperativa; in tal caso, i “ristorni ai soci” effettuati “sub specie” di mutualità diventano mere distribuzioni di utili.» (Cass. 20/06/2005, n. 13280).
Inoltre, riguardo alla necessaria persistenza, nel singolo anno d’imposta d’interesse, dei presupposti dell’agevolazione, ed alla predisposizione dei dati attraverso i quali l’Amministrazione possa esercitare il relativo controllo, è stato puntualizzato che:« In tema di agevolazioni tributarie in favore di società cooperative, per l’applicazione del beneficio previsto dall’art. 12 della l. n. 604 del 1977, n. 604, non è sufficiente che la cooperativa possieda i requisiti necessari per entrare nel sistema agevolativo ma è necessario, pur in assenza di esplicita indicazione legislativa, che essa abbia, con riferimento allo specifico periodo di imposta, regolarmente presentato la dichiarazione dei redditi e correttamente tenuto la contabilità, in quanto l’Amministrazione finanziaria deve essere messa in condizione di svolgere il proprio compito di controllo ed accertamento dei presupposti per godere dei benefici in questione.» (Cass. 18/12/2017, n. 30371).
L’esigenza della verifica della concreta sussistenza dei presupposti dell’agevolazione, ovvero della reale finalità mutualistica dell’ente cooperativo, già derivante dall’interpretazione giurisprudenziale del dato normativo nazionale, è stata estesa e rafforzata dai criteri interpretativi dettati dalla Corte di giustizia (con la sentenza 8 settembre 2011, cause riunite C-78/08 e C-80/08) in materia di società cooperative di produzione e lavoro (ma comunque pertinenti in generale la conformità a principi euro-unitari di quelle agevolazioni attribuite dal legislatore nazionale a società cooperative, ma non anche ad altri operatori costituiti in forma di società a scopo di lucro).
La citata pronuncia è stata originata dal rinvio pregiudiziale disposto da Cass. 08/02/2008, n. 3030, in seguito all’introduzione, ad opera del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, della nozione di mutualità prevalente, che consente alle società cooperative di avvalersi dei benefici fiscali previsti dagli artt. 10-14 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 (applicabili ratione temporis) anche laddove l’apporto personale dei soci non abbia carattere totalitario, con il conseguente venir meno dell’effettiva funzione mutualistica del soggetto.
La Corte di giustizia ha ritenuto che: « Esenzioni fiscali come quelle in discussione nelle cause principali, concesse alle società cooperative di produzione e lavoro in forza di una normativa nazionale del genere di quella contenuta nell’art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, recante disciplina delle agevolazioni tributarie, nella versione in vigore dal 1984 al 1993, costituiscono un «aiuto di Stato» ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE solamente nel caso in cui tutte le condizioni di applicazione di tale disposizione siano soddisfatte. In una situazione come quella all’origine delle controversie di cui è investito il giudice del rinvio, spetterà a quest’ultimo valutare nello specifico il carattere selettivo delle esenzioni fiscali di cui trattasi, nonché la loro eventuale giustificazione alla luce della natura o della struttura generale del sistema tributario nazionale nel quale si inseriscono, stabilendo, segnatamente, se le società cooperative di cui alle cause principali si trovino di fatto in una situazione analoga a quella di altri operatori costituiti in forma di società a scopo di lucro e, qualora ciò si verificasse, se il trattamento fiscale più favorevole riservato alle menzionate società cooperative sia, da un lato, inerente ai principi fondamentali del sistema impositivo vigente nello Stato membro interessato e, dall’altro, conforme ai principi di coerenza e di proporzionalità.»
(Corte giustizia, 8 settembre 2011, Ministero dell’Economia e delle Finanze, cause riunite C-78/08 e C-80/08).
In applicazione di tali principi, questa Corte ha quindi affermato che: « In tema di agevolazioni tributarie in favore delle società cooperative di produzione e lavoro, secondo i vincolanti criteri interpretativi dettati dalla Corte di giustizia (con la sentenza 8 settembre 2011, cause riunite C-78/08 e C-80/08), il giudice nazionale deve valutare il carattere selettivo e la giustificazione, alla luce della struttura generale del sistema tributario nazionale, delle esenzioni fiscali di cui all’art. 11 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, che costituiscono un “aiuto di Stato”, verificando se effettivamente i beneficiari siano enti a finalità mutualistica, che operano nell’interesse economico dei soci, con cui intrattengano una relazione non solo commerciale, ma personale particolare, in cui essi partecipino attivamente ed abbiano diritto ad un’equa ripartizione dei risultati economici.» (Cass. 24/02/2015, n. 3653). E la stessa giurisprudenza di legittimità ha successivamente ribadito che « In tema di agevolazioni tributarie a favore di società cooperative – secondo i vincolanti criteri interpretativi dettati dalla Corte di giustizia (sentenza 8 settembre 2011, cause riunite C-78/08 e C80/08) – il giudice nazionale deve valutare il carattere selettivo e la giustificazione, alla luce della struttura generale del sistema tributario nazionale, delle esenzioni fiscali di cui all’art. 11 del d.P.R. n. 601 del 1973, costituenti un “aiuto di Stato”, verificando se effettivamente i beneficiari siano enti a finalità mutualistica, se operino nell’interesse economico dei soci con cui intrattengano una relazione non solo commerciale, ma personale, in cui essi partecipino attivamente e abbiano diritto a un’equa ripartizione dei risultati economici.
(Fattispecie relativa a cooperativa di produzione e lavoro in cui la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, ritenendo necessaria la considerazione complessiva e coordinata della natura e delle modalità di svolgimento dell’attività svolta dalla cooperativa, onde escludere, a fronte di ristorni ai soci, deviazioni dal concetto di mutualità, con conseguente necessità di verifica del rispetto dell’art. 2545- sexies c.c. e delle previsioni statutarie contenute nell’atto costitutivo).» (Cass. 23/12/2019, n. 34343).
Quanto poi agli eventuali limiti processuali della predetta valutazione rimessa al giudice nazionale, deve rilevarsi che questa Corte (con riferimento a fattispecie legale e fattuale diversa, ma con principi applicabili comunque al caso di specie, in quanto attinenti in generale al potere-dovere del giudice di conformarsi al diritto comunitario nella decisione della controversia) ha già chiarito che « In tema di imposta di registro, e con riferimento alla fusione di società mediante incorporazione, la contestazione da parte dell’Ufficio della possibilità d’invocare l’art. 4 della direttiva n. 69/335/CEE del Consiglio, del 17 luglio 1969 (come modificata dalla direttiva n. 73/80/CEE del Consiglio, del 9 aprile 1973, (in applicazione del principio di effettività del diritto comunitario) e dalla direttiva n. 85/303/CEE del Consiglio, del 10 giugno 1985), indipendentemente dalle ragioni poste a base della relativa deduzione, vale ad introdurre, anche in sede di legittimità (analogamente a quanto accade in presenza di una pronuncia di illegittimità costituzionale o di “ius superveniens”), l’indagine in ordine alla sussistenza del presupposto prescritto dalla predetta disposizione ai fini dell’esenzione dall’imposta proporzionale, ovverosia alla sussistenza di un effettivo conferimento nel capitale dell’incorporata, ed implica quindi l’esclusione del beneficio nell’ipotesi in cui l’incorporante detenga già l’intero capitale dell’incorporata. Il potere-dovere del giudice di conformarsi al diritto comunitario nella decisione della controversia comporta infatti la necessaria disapplicazione delle regole processuali di diritto interno che, precludendo in sede di legittimità l’esame di questioni non specificamente dedotte dal ricorrente e l’introduzione di nuove questioni di fatto, impediscono la piena applicazione delle norme comunitarie.» (Cass., Sez. U., 18/12/2006, n. 26948; conformi Cass. 09/09/2008, n. 22705; Cass. 23/06/2010, n. 15190; Cass. 29/12/2010, n. 26285)
4. Tanto premesso, deve rilevarsi che nel caso di specie, come risulta dalla stessa sentenza impugnata, la circostanza che la E.L.V. s.r.l. fosse l’unica committente della cooperativa ed il fatto che quest’ultima non avesse erogato ristorni ai soci per una serie continuata e prolungata di esercizi (dal 2006 al 2010) appartenevano al contraddittorio, come risulta dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso ( che indica, nel ricorso, il riferimento alla relativa fonte istruttoria – p.v.c. della guardia di finanza- ed alla sua produzione nel merito).
La CTR, pur in presenza dell’obbligo, derivante dal diritto comunitario, di valutare l’effettiva sussistenza dello scopo mutualistico, al fine di evitare la possibile concessione di un aiuto di Stato indebito, ha ritenuto apoditticamente l’unicità della committente, e la stessa prolungata e continuata assenza totale del pagamento di ristorni ai soci lavoratori della cooperativa, un dato «assolutamente ininfluente», contestualmente identificando il perseguimento dello scopo statutario della contribuente nel mero fatto di aver comunque la cooperativa «garantito il lavoro-appunto- ai soci lavoratori», impiegandoli nell’esecuzione dell’appalto in questione.
La prospettiva, meramente formale, nella quale si colloca l’accertamento operato dal giudice a quo è univocamente confermata dall’affermazione esplicita, ed erronea per quanto già rilevato, che « L’art. 11 del DPR 601/73 subordina l’applicazione del beneficio dell’esenzione soltanto al raggiungimento di un determinato rapporto fra ammontare delle retribuzioni corrisposte ai soci ed altri costi, parametro questo, debitamente raggiunto dalla società cooperativa.».
E’ allora palese che la CTR si sia limitata ad una valutazione meramente formale ed astratta dello scopo mutualistico della cooperativa di lavoro, che, ai sensi della legge 3 aprile 2001, n. 142 (e successive modifiche ed integrazioni), è caratterizzata dal fine di ricercare e garantire occasioni di lavoro ed occupazione (a condizioni tendenzialmente migliori, sia in termini qualitativi che economici, rispetto a quelle offerte dal mercato), ai propri soci lavoratori, che ad essa sono legati da un duplice rapporto, associativo e di lavoro. In astratto, la circostanza che la cooperativa, svolgendo la propria attività nella fornitura di servizi, impieghi i soci lavoratori nell’esecuzione dell’appalto con terzi committenti, non è quindi deviante rispetto allo scopo statutario mutualistico disciplinato dal ritto nazionale; ma il predetto assetto normativo, specie comunitario, non può prescindere dalla verifica effettiva se la contribuente, beneficiaria dell’agevolazione, sia concretamente un ente a finalità mutualistica, e se operi nell’interesse economico dei soci con cui intrattenga una relazione non solo commerciale, ma personale, in cui essi partecipino attivamente e abbiano diritto a un’equa ripartizione dei risultati economici.
Con riferimento, in particolare, a tale ultimo aspetto, la CTR ha omesso ogni reale valutazione del dato relativo al ripetuto mancato riconoscimento, da parte della cooperativa, ai soci lavoratori, dei cosiddetti “ristorni ai soci”, previsti dall’art. 2545-sexies cod. civ., assumendone apoditticamente l’irrilevanza.
Invero questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, in tema di società cooperativa, i cosiddetti “ristorni” vanno tenuti distinti dagli utili in senso proprio, pur avendo con essi in comune la caratteristica della aleatorietà (in quanto la società può distribuirli solo se la gestione mutualistica dell’impresa si chiuda con un’eccedenza dei ricavi rispetto ai costi). Mentre, infatti, gli utili costituiscono remunerazione del capitale e sono perciò distribuiti in proporzione al capitale conferito da ciascun socio, i “ristorni” costituiscono uno degli strumenti tecnici per attribuire ai soci il vantaggio mutualistico (nel caso di specie maggiore retribuzione) derivante dai rapporti di scambio intrattenuti con la cooperativa, traducendosi, nelle cooperative di produzione e lavoro, in un’ integrazione della retribuzione corrisposta dalla cooperativa per le prestazioni del socio (Cass. 08/09/1999, n. 9513; conforme Cass. 22/05/2015, n. 10641).
E’ quindi vero che il rischio d’impresa incide sull’ an e sul quantum dell’obbligazione di corresponsione del ristorno, eventuale e non predefinita (Cass. 22/05/2015, n. 10641, cit.). Così come è vero che, in tema di società cooperative, non è previsto un obbligo della società di procedere (ed un correlato diritto del socio) alla distribuzione ai soci di tutte le eccedenze derivanti dalla gestione mutualistica intervenuta con gli stessi, ne’ esso può intendersi connaturato allo scopo mutualistico (inteso come gestione di servizi a favore dei soci), essendo demandata all’assemblea ogni valutazione circa la destinazione da attribuire a dette eccedenze, e ciò anche per quel che attiene alla sussistenza in concreto delle condizioni per far luogo ai rimborsi per i cosiddetti “ristorni” (Cass. 08/09/1999, n. 9513, cit.).
Dunque, la stessa ricorrenza dei “ristorni” presuppone che la loro formazione e la loro ripartizione avvengano in conformità alle disposizioni di cui al predetto art. 2545-sexies cod. civ. e nel rispetto dei criteri che siano stati dettati nell’atto costitutivo (Cass. 23/12/2019, n. 34343).
La mancata erogazione di ristorni può quindi essere compatibile, in astratto, con il perseguimento dello scopo mutualistico. Tuttavia, in concreto, la prolungata e continuata mancanza di ristorni, in concorso con altri elementi, non è a priori priva di possibile rilevanza indiziaria in tal senso, ove si consideri che comunque gli stessi ristorni costituiscono lo strumento per attribuire ai soci lavoratori proprio una parte rilevante del vantaggio mutualistico (la maggiore retribuzione) perseguito, il cui costante mancato conseguimento può essere in ipotesi sintomatico di una strutturale deviazione dalla finalità cooperativa.
Tanto premesso, deve tuttavia rilevarsi che a fronte del dato (indicato nel ricorso con riferimento alla relativa fonte istruttoria – p.v.c. della guardia di finanza- ed alla sua produzione nel merito) della mancata erogazione di ristorno ai soci per una serie continuata e prolungata di esercizi (dal 2006 al 2010), la valutazione della CTR si è limitata sostanzialmente a prendere atto di tale circostanza, prescindendo totalmente da qualsiasi apprezzamento della sussistenza o meno dei presupposti stessi (sostanziali e formali) dei “ristorni”, quindi venendo meno a quelle esigenze di verifica concreta rimesse al giudice nazionale.
In tale prospettiva il giudice a quo avrebbe dovuto altresì concretamente valutare il dato relativo all’unicità della committente della cooperativa (individuato dai verificatori come potenziale indizio di una relazione diretta tra lavoratori e committente, con distorsione dello scopo mutualistico della cooperativa), che ha invece ritenuto a priori ininfluente, sulla base della mera considerazione che l’impiego dei soci lavoratori, e la proporzione tra le retribuzioni ad essi corrisposte e gli altri costi, fossero sufficienti a dimostrare il perseguimento del fine statutario, «avendo la Cooperativa dato lavoro ai soci lavoratori».
Nella sostanza, quindi, la sentenza impugnata va cassata , con rimessione al giudice a quo, al quale è rimesso, in conformità ai principi sinora illustrati, di apprezzare in concreto, prima isolatamente e poi in coordinazione reciproca, gli elementi indiziari relativi all’eventuale deviazione, nella fattispecie concreta esaminata, dal concetto di mutualità concepito dalla normativa nazionale interpretata alla luce dei criteri dettati dai vincolanti principi euro-unitari già esposti.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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