CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 37562 depositata il 22 dicembre 2022

Tributi – Storno di fatture – Variazioni dell’imponibile o dell’imposta – Accordi per emettere note di credito – Rigetto

Fatti di causa

Si legge dalla sentenza impugnata che la P.A. s.p.a. impugnò l’avviso di accertamento relativo all’anno 2004, lamentando, quanto all’IVA, l’erronea interpretazione da parte dell’Agenzia delle entrate della normativa di cui all’art. 26 del d.P.R. n.633 del 1972, che l’aveva portata a disconoscere lo storno di una serie di fatture, conseguente a un successivo accordo intervenuto tra la contribuente e alcuni suoi clienti, volto all’annullamento delle operazioni sottostanti le fatture originarie.

La Commissione tributaria provinciale dichiarò il ricorso inammissibile per la mancata costituzione della ricorrente nel termine di giorni 30 dalla notificazione del ricorso, rilevando, incidentalmente, anche l’infondatezza del ricorso nel merito.

La decisione, appellata dalla Società, è stata confermata con diversa motivazione, dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.), con la sentenza indicata in epigrafe.

Il Giudice di appello -accertata l’erroneità della declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo, in quanto risultava, documentalmente, la tempestività della costituzione in giudizio-riteneva, nel merito, legittimo l’atto impositivo impugnato.

In particolare, la C.T.R. – accertato in fatto che la Società aveva provveduto a stornare il 30 settembre 2005, attraverso l’ emissione di note di credito e in virtù di accordo successivo con i clienti, fatture emesse in data 31 maggio 2004 – rilevava che, nel caso in esame, non si era nel contesto…della detrazione di cui all’art.19, ma nel contesto specifico dell’art.26, riferito alle possibili variazioni dell’imponibile o dell’imposta con la conseguenza dell’insuperabilità del termine annuale (“le disposizioni del comma precedente non possono essere applicate dopo il decorso di un anno alla effettuazione delle operazioni imponibili…).

Avverso questa sentenza la P.A. s.r.l., in liquidazione, propone ricorso articolato su due motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione alla pubblica udienza, nelle forme di cui all’art.23, comma 8 bis, della legge n.176 del 2020, in prossimità della quale il P.G., nella persona del Sostituto Procuratore generale A.P. ha depositato le sue conclusioni, chiedendo il rigetto del ricorso, mentre la ricorrente ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. Preliminarmente, va disattesa la richiesta, articolata in memoria dalla difesa della ricorrente, di interruzione del giudizio ovvero di dichiarazione di estinzione dello stesso, per essere stata la Società, dopo la chiusura della procedura fallimentare cui era stata sottoposta, cancellata dal Registro delle imprese, in data 5 marzo 2020.

1.1. L’allegazione di tale evento è, infatti, irrilevante, alle luce di quanto affermato da tempo dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. 3, n. 2583 del 1976 e, in relazione alla cancellazione della società, Cass. Sez.L. n.3323 del 2014), onde al pari dell’evento morte, registratosi successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, anche l’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese della società, dopo la proposizione del ricorso per cassazione, debitamente comunicata dal suo difensore, non è causa di interruzione del processo in sede di legittimità (v. Cass., n. 2625 del 02/02/2018).

2. Con il primo motivo di ricorso, articolato ai sensi dell’art.360, primo comma, numeri 3 e 5 cod.proc.civ., la ricorrente si duole che la C.T.R. abbia omesso di pronunciarsi sulla richiesta, articolata nell’atto di appello, di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata e dell’avviso di accertamento. La ricorrente, inoltre, sussistendo il fumus boni iuris e il periculum in mora chiede a questa Corte di sospendere l’esecutività della sentenza di secondo grado e dell’avviso di accertamento, ricorrendone i requisiti di legge.

2.1 La censura e la domanda sono inammissibili. La mancata sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado è, infatti, superata dall’avvenuta emissione della sentenza di secondo grado (sfavorevole alla Società), mentre per l’inammissibilità della domanda rivolta a questa Corte, è sufficiente rammentare che il potere di sospensione è rimesso dall’invocato art. 373 cod.proc.civ. al Giudice di appello e non al Giudice di legittimità.

3. Con il secondo motivo, anch’esso articolato ai sensi dell’art.360, primo comma, num.3 e num.5 cod.proc.civ., si deduce la violazione dell’art. 26 e dell’art.19 del d.P.R. n.633 del 1972 nonché dell’art.2033 cod.civ., nonché l’omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione.

3.1. Le censure non sono meritevoli di accoglimento perché inammissibili. Il mezzo di impugnazione, infatti, nei termini in cui è formulato, tenta di rimettere in discussione il merito della controversia, contestando l’accertamento in fatto, compiuto dal Giudice di merito, in ordine all’insussistenza di accordi preesistenti con i clienti a fondamento dell’emissione delle note di credito e, quindi, lo storno delle fatture già emesse. Il dedotto vizio di violazione di legge trova, infatti, il suo abbrivio dal contestato vizio di contraddittorietà, illogicità e insufficienza della motivazione resa sul punto dalla C.T.R.

Tale censura, però, essendo stata la sentenza impugnata depositata il 7 ottobre 2013, è inammissibile trovando applicazione il vigente disposto dell’art.360, primo comma, num.5 cod.proc.civ., come autorevolmente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza del 7 aprile 2014 n.8053.

3.2 Ciò posto, e rimasto esente da censura l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito in ordine all’esclusione dell’esistenza di accordi anteriori a giustificazione dell’emissione di note di credito, la censura attinente alla violazione di legge è, in ogni caso infondata, trovando applicazione, come ritenuto dal Giudice di appello, il terzo comma dell’art.26 del d.P.R. n.633 del 1972 rispetto al quale la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 39182 del 09/12/2021) ha affermato che :<<In tema di Iva, secondo la disciplina di cui all’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo applicabile “ratione temporis”, le note di variazione in diminuzione sono emesse facoltativamente dal cedente o dal prestatore di servizi entro termini differenziati a seconda della causa che ne giustifica l’emissione, non essendo previsto alcun limite temporale per le cause di sopravvenuta inesigibilità del credito indicate nel comma 2; limite che, al contrario, è da individuarsi in un anno dall’operazione imponibile nel caso in cui la sopravvenuta inesigibilità è frutto di un accordo tra le parti>>.

4. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso va rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali liquidate in complessivi euro 6.000,00 (seimila) oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art.13, comma 1, quater del d.P.R. n.115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.