CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 37737 depositata il 23 dicembre 2022

Tributi – IVA – Contabilità separata – Condono ex art. 9 L. n. 289 del 2002 – Natura commerciale o meno dell’attività svolta dal Comitato – Esclusività o prevalenza dell’esercizio di attività commerciale o agricola – Criteri – Accoglimento 

Fatti di causa

L’Agenzia delle entrate rigettava la richiesta di rimborso Iva per l’anno 2000 presentata dalla F.T.A.S. (già C.T.A.), per difetto del presupposto soggettivo, non esercitando attività d’impresa, e in ogni caso, quanto alle attività commerciali asseritamente svolte, per la mancata tenuta della contabilità separata ai sensi dell’art. 19-ter d.P.R. n. 633 del 1972.

L’impugnazione della contribuente era accolta dalla CTP di Messina;

la sentenza era confermata dalla CTR che riteneva illegittimo il rifiuto avendo il contribuente richiesto il condono ex art. 9 l. n. 289 del 2002, da cui la preclusione della potestà accertativa dell’Ufficio.

Su ricorso dell’Agenzia delle entrate, la Corte di cassazione, con sentenza n. 14072 del 07/06/2017, cassava con rinvio la decisione della CTR per essere il citato art. 9 inapplicabile in materia di Iva in quanto in contrasto con l’ordinamento unionale.

Riassunto il giudizio, la CTR in epigrafe, con la sentenza n. 540/2/19, rigettava il ricorso della contribuente, ritenendo che l’ente avesse natura mista (commerciale e non commerciale), da cui il disconoscimento del diritto alla detrazione Iva, e al conseguente rimborso, per l’omessa tenuta di contabilità separata.

F.T.A.S. ricorre per cassazione con due motivi, poi illustrato con memoria, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Ragioni della decisione

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e/o errata interpretazione degli artt. 4 e 19-ter d.P.R. n. 633 del 1972.

Lamenta, in particolare, che la CTR, ai fini dell’individuazione della natura della Fondazione (ente ad attività mista commerciale e non commerciale) si sia limitata ad attribuire rilevanza alle disposizioni statutarie della Fondazione (e non anche a quelle del Comitato e della visura camerale prodotta) privilegiando aspetti formali e trascurando quelli sostanziali, il cui concreto accertamento avrebbe fatto emergere che l’attività svolta, nell’anno 2000, era esclusivamente commerciale, come, del resto, evidenziato nella CTU già esperita dalla CTP.

Deduce, inoltre, l’erronea considerazione, da parte della CTR, delle finalità pubblicistiche e istituzionali ai fini della valutazione sulla natura commerciale dell’ente, elemento, invece, da ritenersi privo di rilievo, come pure priva di rilievo doveva ritenersi la circostanza che i ricavi dell’attività fossero insufficienti a coprire i costi, poi pareggiati con sovvenzioni pubbliche.

1.1. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., omesso esame di fatto decisivo in ordine alla natura commerciale o meno dell’attività del Comitato.

2. Il primo motivo è ammissibile: la doglianza non mira, in sé, a contestare l’accertamento sulla natura di ente svolgente attività non commerciale operato dalla CTR ma critica i criteri in base ai quali è stato operato il suddetto accertamento, ossia se esso debba avvenire in astratto, in base alle risultanze dello Statuto (e/o di altri elementi meramente formali), ovvero in base all’attività in concreto svolta.

2.1. Il motivo, oltre che ammissibile, è fondato nei termini e limiti che seguono.

3. L’ambito di applicazione dell’art. 19 ter d.P.R. n. 633 del 1972 postula che l’ente svolga, al contempo, attività commerciale e non commerciale (rectius: attività economica e non economica); in tale evenienza il riconoscimento del diritto di detrazione dell’Iva per la sola attività commerciale, svolta in via non prevalente od esclusiva, è subordinato alla tenuta di una contabilità separata.

Si tratta, invero, di una fattispecie riconducibile alla medesima tipologia di situazioni che giustificano l’istituto del pro-rata di cui al precedente art. 19 bis d.P.R. n. 633 del 1972, con la differenza che il soggetto non è una impresa ma uno dei soggetti previsti dall’art. 4, secondo comma, n. 2 d.P.R. n. 633 del 1972 (ossia «enti pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica»), la cui attività non ha «per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole».

Occorre sottolineare, sul punto, che la qualità del soggetto non comporta l’ineludibile applicazione dell’art. 19 ter d.P.R. n. 633 del 1972 posto che, qualora l’ente svolga, in via esclusiva o prevalente, attività commerciale, è applicabile l’ordinario regime in forza del secondo comma dell’art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972.

3.1. La questione di fondo, dunque, si incentra sulla valutazione dell’attività dell’ente – se esso consista, o meno, nell’esercizio esclusivo o principale di attività commerciali – e sulla individuazione dei parametri in base ai quali debba essere operato un tale accertamento, ancorati alle (sole) indicazioni previamente definite con lo statuto o, comunque, con atti formali, ovvero, in concreto, con riguardo all’attività effettivamente svolta dall’ente.

La problematica, pertanto, investe le stesse nozioni di attività economica, di prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso, nonché degli ulteriori requisiti per la qualificazione delle operazioni come imponibili e per l’insorgenza e l’esercizio del diritto di detrazione e del conseguente diritto di rimborso.

Invero, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto necessario e fondante ai fini dell’applicazione dell’art. 19 ter d.P.R. n. 633 del 1972 un accertamento in concreto in ordine al carattere prevalente o meno dell’attività commerciale esercitata da questi soggetti (v. Cass. n. 7145 del 25/05/2001; Cass. n. 22644 del 02/12/2004; v. anche Cass. n. 17169 del 26/08/2015 in motivazione), pur senza definirne il complessivo contesto di riferimento.

Va sottolineato, infatti, che la controversia riguarda l’Iva, sicché il quadro entro il quale è necessario esaminare i profili in questione è costituito, in primo luogo, dalla disciplina unionale e dalle decisioni della Corte di giustizia.

4. L’art. 2 della direttiva n. 77/388/CEE (sostanzialmente sovrapponibile, peraltro, all’art. 2, par. 1, lett. c) della direttiva n. 2006/112/CE che ha sostituito la prima) prevede:

«Sono soggette all’imposta sul valore aggiunto:

1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale; […]».

L’art. 4 della direttiva n. 77/388/CEE (di contenuto identico all’art. 9 della direttiva n. 2006/112/CE; poi anche Sesta Direttiva) prevede inoltre che:

«1. Si considera soggetto passivo chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche di cui al paragrafo 2, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività.

2. Le attività economiche di cui al paragrafo 1 sono tutte le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle delle professioni liberali o assimilate. Si considera in particolare attività economica un’operazione che comporti lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità. […]».

4.1. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia (v. ex multis Corte di giustizia, 6 ottobre 2009, SPÖ Landesorganisation Kärnten, C-267/08, punti 17, 19 e 20; Corte di giustizia, 2 giugno 2016, Lajvér Meliorációs Nonprofit Kft, C-263/15, punti 19 e ss; Corte di giustizia, 15 aprile 2021, EQ, C-846/19, punti 26 e ss), ai fini dello svolgimento di una attività economica, non è rilevante la qualifica del soggetto passivo, che può anche essere un ente territoriale (e, dunque, a maggior ragione una Fondazione), dovendosi verificare unicamente se l’attività svolta:

a) sia qualificabile come attività economica riconducibile ad una delle operazioni indicate nella direttiva;

b) sia stata effettuata a titolo oneroso;

c) comporti lo sfruttamento di un bene per ricavarne introiti dotati di stabilità.

4.2. Sotto il primo profilo, giova osservare che la nozione di attività economica è definita dalla direttiva con una ampia latitudine poiché è «comprensiva di tutte le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi e, in particolare, delle operazioni che comportino lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità» , con la precisazione che la nozione stessa è considerata in termini obbiettivi nel senso che «l’attività è considerata di per se stessa, indipendentemente dai suoi scopi o dai suoi risultati» (CGUE, SPÖ, punti 15-17; Corte di giustizia, 5 luglio 2018, Marle Participations SARL, punto 22).

In questa prospettiva, dunque, non ha rilievo – per l’ascrizione dell’attività svolta tra quelle astrattamente rilevanti ai fini della Sesta Direttiva – il fatto che essa è stata realizzata in funzione del perseguimento di obbiettivi e finalità pubblicistiche dell’ente.

Neppure ha rilievo per la valutazione della natura dell’attività la circostanza che le operazioni siano state finanziate, anche in misura considerevole, con sovvenzioni e/o aiuti pubblici poiché, come già rilevato, la nozione di attività economica «ha un carattere oggettivo e si applica indipendentemente non solo dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi, ma altresì dal modo di finanziamento scelto dall’operatore interessato, anche quando si tratta di sovvenzioni pubbliche» (CGUE, Lajvér Meliorációs Nonprofit Kft, punto 38).

4.3. Sotto il secondo profilo, va rilevato che una prestazione di servizi deve ritenersi effettuata a titolo oneroso, e, quindi, configura una operazione imponibile, «soltanto quando tra il prestatore e l’utente intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente» (Corte di giustizia, 12 maggio 2016, Gemeente Borsele, C[1]520/14, punto 24; Corte di giustizia, 29 ottobre 2009, Commissione CE c. Repubblica di Finlandia, C-246/08, punto 45; CGUE, SPÖ, punto 19; CGUE, EQ, punto 36).

Occorre invero sottolineare che la circostanza che un’operazione economica «venga svolta ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo è irrilevante» ai fini della qualificazione di tale operazione come «negozio a titolo oneroso» poiché questa nozione presuppone «unicamente l’esistenza di un nesso diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi ed il corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo» (CGUE, Gemeente Borsele, punto 26; CGUE, EQ, punto 43).

Giova precisare che, in applicazione dei medesimi principi, questa Corte (Cass. n. 529 del 14/01/2021) ha già affermato che «il distacco di personale dalla società controllante a quella controllata costituisce un’operazione economica inerente all’esercizio dell’attività di impresa ed in particolare una prestazione di servizi che, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia in causa C-94/19 dell’art. 1, par. 2, della sesta direttiva 77/388/CEE, deve ritenersi onerosa e quindi imponibile purché sussista un nesso di corrispettività tra il servizio reso e la somma ricevuta, anche in mancanza di lucratività».

4.4. Quanto al «conseguimento di introiti» rilevante ai fini dell’art. 4 della Sesta Direttiva, infine, l’operazione, per essere imponibile, deve determinare lo sfruttamento del bene (materiale od immateriale) per ricavarne introiti aventi un certo grado di stabilità.

La Corte di giustizia ha precisato che tale requisito impone di verificare se il corrispettivo ricevuto per le prestazioni «non costituisca una remunerazione solo parziale delle prestazioni effettuate o da effettuare e che la sua entità non sia stata stabilita in ragione dell’esistenza di altri fattori eventuali e idonei, se del caso, a rimettere in discussione il nesso diretto tra le prestazioni e il loro corrispettivo» (CGUE, Lajvér Meliorációs Nonprofit Kft, punto 49).

Per meglio chiarire questo aspetto, va rilevato che la Corte di giustizia ha posto in risalto situazioni in cui l’entità delle somme percette per i servizi prestati risulti sproporzionata al valore della prestazione, sì da determinare la qualificazione del corrispettivo percepito a mero “canone” o, addirittura, a far escludere che la prestazione fosse in realtà rivolta al mercato, assolvendo, invece, alla realizzazione di un servizio e/o interesse pubblico in via assolutamente prevalente.

In tal senso si è espressa la Corte (CGUE, Gemeente Borsele, punto 33) con riguardo ad una vicenda relativa ad un servizio di trasporto scolastico fornito da un Comune dietro versamento di “contributi”, che, tuttavia, non erano dovuti da tutti gli utilizzatori ma solo da un terzo di essi, sicché ammontavano solo al 3% del totale dei costi di trasporto, mentre il saldo era finanziato con fondi pubblici, sicché «uno scarto del genere tra i costi di funzionamento e gli importi percepiti come corrispettivo per i servizi offerti è tale da suggerire che il contributo a carico dei genitori debba essere assimilato a un canone piuttosto che ad una retribuzione vera e propria».

In termini analoghi (CGUE, Commissione CE c. Repubblica di Finlandia, punto 50) con riferimento ai servizi di consulenza giuridica prestati dietro parziale remunerazione da parte degli uffici di assistenza pubblica, dove la Corte ha rilevato che solo un terzo del lavoro di assistenza era parzialmente retribuito dai beneficiari, per un valore totale di 1,9 milioni di euro a fronte di spese lorde di gestione pari a 24,5 milioni di euro, sicché «lo scarto è tale da suggerire che la remunerazione parziale a carico dei beneficiari debba essere assimilata a un canone, la cui riscossione non conferisce da sola carattere economico ad una determinata attività, piuttosto che ad una retribuzione vera e propria».

Con esito diverso – ma in linea con i medesimi principi – si è affermato (CGUE, EQ, punto 53), con riguardo ad una attività di rappresentante legale di maggiorenni, che l’attività restava soggetta all’Iva poiché il prestatore traeva dalla attività «redditi a carattere permanente» e il livello del compenso era determinato «secondo criteri che ne garantiscano l’idoneità a coprire le spese di funzionamento sostenute da tale prestatore».

La sussistenza del requisito deve essere verificata in concreto sulla base di una pluralità di parametri, esemplificativamente indicati dalla Corte di giustizia, nel raffronto tra le circostanze nelle quali l’interessato effettua la prestazione di servizi in questione e quelle in cui viene di solito realizzata questo tipo di prestazione di servizi, nell’entità della clientela e quanta di essa fornisce una controprestazione, nell’importo degli introiti, nei criteri di determinazione delle tariffe e/o dei compensi e, comunque, in tutte le circostanze rilevanti nella specifica vicenda (CGUE, Gemeente Borsele, punti 30 e 31; CGUE, Commissione CE c. Repubblica di Finlandia, punti 47-49).

5. Alla luce dei principi esposti, dunque, emergono gli errori di diritto in cui è incorsa la CTR, che ha fondato il suo accertamento per ritenere che la Fondazione (il Comitato) svolgesse, in prevalenza, attività non economica in base alle risultanze statutarie e al «perseguimento di finalità a carattere pubblicistico», valutate in sé conformanti anche delle «attività commerciali in concreto esercitate dall’ente, con la promozione e lo svolgimento di spettacoli e manifestazioni a carattere locale» e, dunque, in astratto.

La valutazione, invece, nel rispetto dei principi sopra esposti, avrebbe dovuto essere operata in concreto in relazione all’attività effettivamente svolta.

Inoltre, la CTR non ha tenuto nella corretta considerazione la fruizione di «rilevanti contributi pubblici» posto che tale elemento è stato apprezzato ai fini della valutazione della natura dell’attività, ambito in cui la circostanza resta priva di ogni rilievo, mentre, più adeguatamente, integra uno dei concorrenti parametri utili alla valutazione del requisito dell’idoneità dell’attività svolta di conseguire introiti.

6. Va pertanto affermato il seguente principio:

«In caso di attività svolte da enti pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica, la valutazione sulla esclusività o prevalenza dell’esercizio di attività commerciale o agricola va operata in concreto e non in astratto in base alle sole risultanze statutarie e formali, dovendosi valutare se e in quale misura le operazioni realizzate dall’ente: a) siano riconducibile alle attività economiche di cui dall’art. 4, par. 2, della direttiva n. 77/388/CEE (e, poi, all’art. 9 della direttiva n. 2006/112/CE), b) siano effettuate a titolo oneroso e c) comportino lo sfruttamento di un bene al fine di conseguirne introiti. Ai fini di tale verifica non rilevano né lo scopo perseguito dall’attività, né il conseguimento di risultati, mentre è necessario che: 1) sussista un nesso diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi ed il corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo, ossia un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni; 2) l’attività sia diretta al conseguimento stabile di introiti, tenuto conto, a tale scopo, delle condizioni in cui è effettuata la prestazione in raffronto a quelle in cui essa viene di solito realizzata, dell’entità della clientela, dell’importo degli introiti, dei criteri di determinazione delle tariffe, dei compensi e/o dei prezzi praticati, nonché degli altri elementi pertinenti, sì da verificare se le somme percepite, ancorché di importo ridotto rispetto ai costi sostenuti, costituiscano un effettivo corrispettivo dotato di stabilità o siano assimilabili ad un canone, inidoneo a conferire carattere di economicità alla prestazione»

7. Il secondo motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo.

8. In conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia in diversa composizione per l’ulteriore esame.

Il giudice del rinvio, in particolare, dovrà attenersi – per la valutazione delle attività della F.T.A.S., già C.T.A. – al principio di diritto sopra enunciato, alla luce delle indicazioni della Corte di giustizia di cui al punto 4 della motivazione.

P.Q.M.

In accoglimento del primo motivo, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia in diversa composizione.