CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 38015 depositata il 29 dicembre 2022
Lavoro – Pensione di anzianità – Riliquidazione delle pensione – Art. 38, lett. d), D.L. n. 98/2011 – Decadenza – Decorrenza – Accoglimento
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 29.5.2019, la Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato decaduto L.G. dal diritto ad aver riliquidata la quota B della pensione di anzianità liquidatagli con decorrenza 1.12.2011 sulla base delle disposizioni di cui all’art. 4, comma 8. D.Igs. n.182/1997, senza l’applicazione del tetto massimo di cui all’art. 12, comma 7 0 , d.P.R. n. 1420/1971.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che la fattispecie ricadesse nell’ambito di applicazione dell’art. 38, lett. d), d.l. n. 98/2011 (conv. con l. n. 111/2011), che ha esteso il regime della decadenza di cui all’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, anche alle domande di riliquidazione della pensione e, ravvisato il decorso di oltre un triennio tra la data di liquidazione della prestazione (13.1.2012) e quella di proposizione del giudizio di primo grado (13.10.2015), ha rigettato senz’altro la domanda di riliquidazione, compensando tuttavia le spese.
Avverso tali statuizioni L.G. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura.
l’INPS ha resistito con controricorso. Il Pubblico Ministero ha depositato memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso, sia pure per motivazioni inerenti al merito della lite. In vista dell’udienza pubblica, anche parte ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 434 c.p.c., per avere la Corte di merito accolto l’appello dell’INPS nonostante che non avesse specificamente censurato l’affermazione del primo giudice secondo cui il termine di decadenza decorreva non dalla data di liquidazione della prestazione, ma da quella della domanda di ricostituzione.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 38, comma 4, d.l. n. 98/2011 (conv. con l. n. 111/2011), 47, d.P.R. n. 639/1970, e 6, d.l. n. 103/1991 (conv. con l. n. 166/1991), per avere la Corte territoriale rigettato interamente la domanda piuttosto che applicare la decadenza limitatamente ai ratei pregressi ultratriennali.
Ciò posto, il primo motivo è infondato.
Va premesso, al riguardo, che – come correttamente ricordato da parte ricorrente – le Sezioni Unite di questa Corte, nell’individuare la portata precettiva delle disposizioni di cui agli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo riformulato dall’art. 54, d.l. n. 83/2012 (conv. con l. n. 134/2012), hanno bensì fissato il principio di diritto secondo cui l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, ma hanno avuto cura di precisare che la maggiore o minore ampiezza e specificità delle doglianze di cui abbisogna l’appello non può che dipendere dall’ampiezza e specificità con cui la pronuncia di primo grado ha affrontato e risolto la questione in senso sfavorevole alla parte impugnante (così Cass. S.U. n. 27199 del 2017, seguita da numerosissime successive conformi).
Ora, nel caso di specie, risulta che il primo giudice ha ritenuto inapplicabile alla fattispecie l’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, nella parte in cui – a seguito della modifica introdotta dall’art. 38, d.l. n. 98/2011 (conv. con l. n. 111/2011) – ha previsto che il termine decadenziale dovesse trovare applicazione anche nei casi di riconoscimento parziale della prestazione, sul rilievo che la previsione normativa, introducendo una nuova ipotesi di decadenza, non potesse disciplinare prestazioni (parzialmente) liquidate anteriormente alla sua entrata in vigore (si veda la motivazione della sentenza di prime cure, debitamente trascritta a pag. 20 del ricorso per cassazione), e che l’INPS ha appellato la decisione sostenendone l’erroneità lì dove, richiamandosi ad un messaggio dell’Istituto medesimo (n. 4774/14), aveva per l’appunto sostenuto che “la decadenza in questione trova applicazione esclusivamente per le prestazioni pensionistiche riconosciute a partire dal 6.7.2011”, ossia dalla data di entrata in vigore del d.l. n. 98/2011, cit. (si veda l’appello INPS, debitamente riprodotto in parte qua a pag. 21 del ricorso per cassazione). E risultando dunque per tabulas che l’odierno controricorrente ha impugnato la statuizione a sé sfavorevole in modo affatto rispettoso del significato della prescrizione dell’art. 434 c.p.c., avendo censurato precisamente l’affermazione della sentenza di primo grado concernente l’inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, non pare davvero il caso di immorare oltre.
È invece fondato il secondo motivo: è sufficiente sul punto ricordare che questa Corte, nell’interpretare la portata della previsione di cui all’art. 47, d.P.R. n. 639 del 1970, per come modificato dall’art. 38, comma 1, lett. d), d.l. n. 98/2011 (conv. con l. n. 111/2011), ha definitivamente chiarito che la decadenza triennale si applica solo alle differenze sui ratei maturati precedenti il triennio dalla domanda giudiziale, coerentemente con la previsione dell’art. 6, d.l. n. 103/1991 (conv. con l. n. 166/1991), atteso che, dovendo il diritto a pensione considerarsi come diritto fondamentale, irrinunciabile, imprescrittibile e non sottoponibile a decadenza (cfr., tra le numerose, Corte cost. nn. 71 del 2010, 345 del 1999, 246 del 1992 e 203 del 1985), una diversa interpretazione, che applicasse la decadenza all’intera pretesa di rideterminazione, travolgendo anche i ratei infratriennali e soprattutto futuri, sarebbe incompatibile con l’art. 38 Cost. tutte le volte in cui la misura della prestazione riconosciuta o pagata non salvaguardasse il nucleo essenziale della prestazione (così Cass. nn. 17430 del 2021 e 123 del 2022).
Pertanto, in accoglimento del secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
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