CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 38123 depositata il 30 dicembre 2022
Tributi – Avviso di accertamento – IRPEG, IRAP e IVA – Raddoppio dei termini – Plusvalenze tassabili e indeducibilità di quote di ammortamento – Omessa dichiarazione e contabilizzazione di ricavi
Fatti di causa
1. In esito a verifica per gli anni 2001 e 2002 riguardante L.T.S. S.P.A. (già attiva nel settore delle telecomunicazioni e dichiarata fallita con sentenza n. 37/2003 del Tribunale di Palermo), verifica conclusasi con l’emissione di PVC addì 4 dicembre 2008, l’Ufficio di Roma 1 dell’Agenzia delle Entrate emetteva l’avviso di accertamento n. RCB030703576, notificato alla Curatela del fallimento della società in data 7 gennaio 2009, con il quale, in relazione a detti anni, venivano liquidate maggiori IRPEG, IRAP ed IVA ed irrogata un’unica sanzione per le contestate violazioni.
2. Proponeva ricorso la Curatela, eccependo, tra l’altro, l’intervenuto decorso del termine decadenziale ex art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 e l’infondatezza di tutti i rilievi.
3. La CTP di Roma, con la sentenza n. 65/07/10 depositata l’8 febbraio 2010, corretta con ordinanza del 4 giugno 2010, respingeva il ricorso, compensando le spese.
4. Proponevano appello in via principale l’Ufficio ed in via incidentale (quanto alle spese) la Curatela.
5. La CTR del Lazio, con la sentenza n. 601/14/11 depositata il 5 ottobre 2011, resa anche nel contraddittorio di tale L.S., evocato in giudizio dall’Ufficio, rilevava il difetto di legittimazione passiva di quest’ultimo e rigettava entrambi gli appelli. In particolare, con riferimento all’appello proposto in via principale dall’Ufficio, pur riformando la sentenza di primo grado per aver pronunciato (nonostante la disposta correzione) su un atto estraneo al giudizio, riteneva che l’avviso di accertamento fosse nullo in quanto emesso prima del termine di cui all’art. 12, comma 7, I. n. 212 del 2002, con assorbimento di tutte le altre questioni.
6. Avverso detta sentenza proponeva l’Agenzia delle entrate ricorso per cassazione.
7. La Sez. 6-T di questa Suprema Corte, con ordinanza n. 26715 del 18/12/2014, accoglieva il ricorso in ragione della tardività dell’eccezione di emissione dell’avviso “ante tempus”, cassando con rinvio la sentenza della CTR affinché questa, in diversa composizione, esaminasse le questioni dichiarate assorbite.
8. Riassunto dalla Curatela il giudizio dinanzi alla CTR in sede di rinvio, entrambe le parti riproponevano domande ed eccezioni già precedentemente formulate.
9. Con la sentenza in questa sede impugnata, la CTR accoglieva l’appello dell’Ufficio e condannava la Curatela alle spese.
10. Propone ricorso per cassazione la Curatela con quattro motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con articolato controricorso.
Il Sostituto Procuratore Generale presso questa Suprema Corte rassegna conclusioni come in epigrafe.
Deposita la Curatela memoria in data 20 settembre 2022.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 25 d.P.R. n. 446 del 1997, dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 1, commi 130, 131 e 132, I. n. 208 del 2015 e dell’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 128 del 2015.
1.1. La sentenza impugnata merita censura per aver rigettato l’eccezione di decadenza dai termini ordinari di accertamento sul rilievo che trova applicazione raddoppio di detti termini ex art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, dal momento che ha omesso di considerare che tale istituto è di per sé inapplicabile in materia di IRAP. Per le violazioni riguardanti l’IRAP, infatti, non sono previste sanzioni penali, sì che deve escludersi in radice la possibilità di applicare il raddoppio dei termini ordinari di accertamento, che consegue all’astratta configurabilità di ipotesi di reato.
2. Il motivo è fondato.
2.1 È bensì vero che – come ricordato dalla CTR nella sentenza impugnata – costituisce insegnamento ricevuto quello a termini del quale “il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili ‘ratione temporis’, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011” (cfr., da ultimo, Sez. 6-5, n. 17586 del 28/06/2019, Rv. 654733-01). Da ciò s’è coerentemente tratta la conclusione che “il raddoppio dei termini previsto”, parallelamente, “dall’art. 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo applicabile ‘ratione temporis’, può operare anche se la notizia di reato è emersa dopo la scadenza de/termine ordinario di decadenza” (Sez. 5, n. 36474 del 24/11/2021, Rv. 663058-01).
È parimenti vero che la Curatela non consta aver allegato e men che meno comprovato, già nei gradi di merito, l’insussistenza in fatto di elementi idonei ad integrare ipotesi di reato previste dal D.Lgs. n. 74 del 2000. Talché trova applicazione il principio (già espresso, in termini, da Sez. 5, n. 13481 del 02/07/2020, Rv. 658111-01) secondo cui “il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili ‘ratione temporis’, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario“.
2.2. Nondimeno, ed in ciò il motivo coglie nel segno, le considerazioni di cui innanzi, sicuramente valide per le riprese riguardanti l’IRPEG e l’IVA, non valgono invece per quella riguardante l’IRAP, di per sé sottratta al raddoppio dei termini ex art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973.
In tal senso si è infatti già espressa a più riprese questa Suprema Corte, osservando che “il cd. ‘raddoppio dei termini’, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali” (in tal senso, da ultimo, Sez. 6-5, n. 10483 del 03/05/2018, Rv. 647996-01).
Alla luce di quanto precede, il motivo deve essere accolto e, non essendo necessari ulteriori verifiche in punto di fatto, sussistono i presupposti affinché questa Suprema Corte, pronunciando nel merito della controversia, annulli l’avviso, limitatamente alla ripresa riguardante l’IRAP, siccome tardivamente notificato solo il 7 gennaio 2009, a fronte di un accertamento riguardante gli anni 2001 e 2002.
3. Gli ulteriori tre motivi di ricorso, per l’evidente comunanza di censure, possono essere enunciati, illustrati e valutati congiuntamente.
3.1. Con il secondo motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4, e 61 D.Lgs. n. 546 del 1992, degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost.
3.1.1. Quanto al merito dell’avviso di accertamento, la Curatela aveva sollevato numerose ed analitiche doglianze, tutte nuovamente esposte ed illustrate nell’atto introduttivo del giudizio di rinvio. In particolare, la Curatela aveva contestato – con argomentazioni riassunte in ricorso – tutti e cinque i rilievi mossi dall’Ufficio, riguardanti, rispettivamente, l’emersione di plusvalenze tassabili e l’indeducibilità di quote di ammortamento (primo rilievo), l’omessa dichiarazione e contabilizzazione di ricavi (secondo rilievo), l’indeducibilità di costi non documentati e non inerenti (terzo rilievo) l’indeducibilità, a titolo di costo, di oneri di gestione non documentati (quarto rilievo) e l’emersione di componenti positivi di reddito (quinto rilievo).
Il capo della sentenza impugnata con cui la CTR respinge le doglianze di merito della Curatela esibisce, alla stregua di quanto questa sostiene nel motivo in disamina, una motivazione meramente apparente, atteso che la CTR ha soltanto indicato gli elementi da cui avrebbe tratto il proprio convincimento negativo, senza alcuna disamina logica e giuridica delle argomentazioni addotte dalla Curatela a sostegno delle proprie ragioni.
3.2. Con il terzo motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 600 del 1973, degli artt. 86, 102, 103, 104 e 109 d.P.R. n. 917 del 1986, degli artt. 54 e 55 d.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ.
3.2.1. Con il motivo in disamina, che si articola in cinque sottopartizioni, tante quanti sono i rilievi contenuti nell’avviso di accertamento su cui la CTR, giusta il motivo precedente, avrebbe reso una motivazione meramente apparente, la Curatela, rilievo per rilievo, reitera la denuncia di infondatezza degli stessi alla stregua delle argomentazioni già proposte nei precedenti grado di giudizio, soggiungendo come erroneo sia il riferimento operato dalla CTR, nella sentenza impugnata, alla natura induttiva dell’accertamento, posto che nella specie emerge dallo stesso avviso essere stato l’accertamento condotto ai sensi dell’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 600 del 1973: trattandosi, dunque, di accertamento analitico, o al più analitico induttivo, anche le eventuali presunzioni utilizzate avrebbero dovuto essere gravi, precise e concordanti, ai sensi della lett. d) della disposizione da ultimo citata, ovvero rispondenti ai requisiti dell’art. 2729 cod. civ.
3.3. Con il quarto motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti.
3.3.1. Con il motivo in disamina, la Curatela, premesso che già nei precedenti gradi di giudizio aveva contestato nel merito, sulla base di fatti specifici, ciascun rilievo mosso nell’avviso, osserva come, dalla lettura della sentenza impugnata, emerga che la CTR abbia omesso di considerare detti fatti. Di conseguenza la medesima li ripropone, sostanzialmente riproducendo le argomentazioni sottese alla denuncia di infondatezza dei rilievi nei termini già esposti nel precedente motivo.
4. Tutti i motivi sono inammissibili e comunque manifestamente infondati.
4.1. Muovendo dall’ultimo, che in realtà pare assumere priorità in ordine logico, il dedotto omesso esame non sussiste, a misura che si consideri come la CTR abbia espressamente preso in considerazione le doglianze dalla Curatela avanzate nel merito contro i cinque rilievi di cui all’avviso di accertamento ed altrettanto espressamente, con una pur breve, ma compiuta, motivazione, li abbia disattesi.
D’altro canto, anche a voler ritenere che l’omesso esame cada sulle argomentazioni in sé addotte dalla Curatela a sostegno della confutazione dei rilievi e (in relazione, peraltro, solo ad alcuni di questi), per il tramite di tali argomentazioni, sui documenti in esse richiamati, il motivo, non scevro da profili di aspecificità e non autosufficienza per mancata riproduzione di detti documenti, comunque sarebbe votato all’inammissibilità in ragione del non essere deducibile, con il mezzo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di prospettazioni difensive, detto mezzo riguardando unicamente l’omesso esame di fatti storici, non individuati e non allegati, come tali, dalla Curatela.
4.2. Quanto precede rende altresì conto della non condivisibilità delle censure di cui al secondo motivo. Non corrisponde al vero che la CTR si sia limitata ad una motivazione apparente e dunque inesistente. Quel che la Curatela omette di considerare è l’affermazione della CTR relativa al non essere stato “fornito alcun valido elemento in grado di superare le presunzioni utilizzate dall’Amministrazione finanziaria”, ragion per cui – senza che sul punto si registrino deduzioni contrarie della Curatela stessa – l’Ufficio non ha potuto effettuare le necessarie verifiche (ovviamente con riferimento alle contestazioni dei rilievi) sulla base della documentazione contabile (“fatture, libri cespiti, o inventari”).
In siffatto contesto argomentativo, vero è che la CTR erroneamente definisce induttiva la ricostruzione del reddito effettuata dall’Ufficio, siccome l’avviso evoca il comma 1, e non il comma 2, dell’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973.
Tuttavia – in disparte che il ricorso, nuovamente in violazione del principio di autosufficienza, omette di trascrivere l’avviso, così impedendo un diretto apprezzamento della metodologia accertativa utilizzata (analitica “tout court” ovvero analitico-induttiva) – a venire in linea di conto è che i rilievi si basavano sugli stessi dati esposti dalla Curatela in dichiarazione, eppure dalla stessa non documentalmente giustificati.
Ciò è quanto la CTR espressamente evidenzia laddove osserva che “l’Ufficio non ha potuto verificare”, con riguardo alle plusvalenze, “l’eventuale avvenuto acquisto di nuovi beni” (addotto dalla Curatela a giustificazione delle stesse), né, con riguardo agli altri rilievi, “la natura dei crediti e dei costi indicati nel modello unico” (sebbene si trattasse di elemento necessario per il relativo inquadramento).
Talché – nel conciso ma lineare ragionamento della CTR – l’Ufficio, “in assenza di alcuna documentazione contabile di supporto”, non ha potuto far altro, alla stregua di un approccio in certo qual modo ragionieristico, che, da un lato, effettuare la “somma del valore delle plusvalenze accertate e delle omesse dichiarazioni di ricavi[,] traendone una componente positiva di reddito”, e, dall’altro, recuperare a tassazione “i costi non giustificati e[d] indicati nel modello unico”).
In definitiva, quel che la CTR pone in luce è il non essere stata in grado la Curatela di idoneamente comprovare i propri asserti, a supporto dei dati pur dichiarati, e, quindi, di non aver assolto all’onere della prova sulla medesima incombente.
In considerazione di ciò, la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure mossele nel secondo motivo.
4.3. Né, “a fortiori”, alcun fondamento hanno quelle rassegnate nel terzo, di per sé inammissibile, siccome volto a sollecitare a questa Suprema Corte un diretto apprezzamento delle tesi patrocinate dalla Curatela nei gradi di merito a contestazione dei rilievi. In tal guisa, devolve la Curatela a questa Suprema Corte questioni giust’appunto di merito, già apprezzate e risolte dalla CTR, in spregio dei canoni cui il giudizio di legittimità è astretto.
5. In punto di spese di lite, sussistono valide ragioni, alla luce dell’esito del giudizio, per la loro compensazione.
5.1. In particolare:
– devono essere compensate le spese dell’intero giudizio (compresi dunque i gradi di merito) in relazione alla ripresa riguardante l’IRAP;
– devono essere integralmente compensate le spese del giudizio di cassazione (in relazione, cioè, altresì alle riprese ulteriori rispetto a quella riguardante l’IRAP).
P.Q.M.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, annulla e cassa la sentenza impugnata e, decidendo la controversia nel merito, annulla l’avviso di accertamento per cui è causa limitatamente alla ripresa riguardante l’IRAP.
Rigetta gli ulteriori motivi di ricorso.
Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio in relazione alla ripresa riguardante l’IRAP.
Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione anche in relazione alle riprese ulteriori rispetto alla suddetta.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 dicembre 2019, n. 33320 - In tema di accertamento, il cd. "raddoppio dei termini", previsto dall'art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione anche per l'IRAP, poiché le violazioni delle relative…
- MINISTERO FINANZE - Decreto ministeriale 01 febbraio 2024 Modalità di utilizzo dei dati fiscali relativi ai corrispettivi trasmessi al Sistema tessera sanitaria Art. 1 Definizioni 1. Ai fini del presente decreto si intende per: a) «dati fiscali», i…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 06 maggio 2020, n. 8539 - Il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento all'IRAP posto che, «non essendo l'IRAP un'imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in relazione alla…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 12835 depositata il 22 aprile 2022 - Il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento all'Irap posto che, non essendo l'Irap un'imposta per la quale siano previste sanzioni penali è evidente che in…
- CORTE di CASSAZIONE - Ordinanza n. 23662 depositata il 3 agosto 2023 - La disciplina dell'art. 2 commi 1 e 2 del d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, ha circoscritto il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 17 aprile 2019, n. 10695 - Il cd. raddoppio dei termini previsto dall'art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini prolungati sono anch'essi fissati…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- E’ onere del notificante la verifica della c
E’ onere del notificante la verifica della correttezza dell’indirizzo del destin…
- E’ escluso l’applicazione dell’a
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 9759 deposi…
- Alla parte autodifesasi in quanto avvocato vanno l
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 7356 depositata il 19…
- Processo Tributario: il principio di equità sostit
Il processo tributario, costantemente affermato dal Supremo consesso, non è anno…
- Processo Tributario: la prova testimoniale
L’art. 7 comma 4 del d.lgs. n. 546 del 1992 (codice di procedura tributar…