CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 38126 depositata il 30 dicembre 2022
Tributi – Avviso di pagamento – Accisa e addizionali per l’energia elettrica – Prescrizione – Denuncia di attivazione – Dichiarazione di consumo – Dichiarazione annuale di cui all’art. 55 TUA, comma 1 – Accoglimento
Fatti di causa
Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva notificato alla società E.E. s.p.a. un avviso di pagamento con il quale aveva contestato l’omesso pagamento dell’accisa e delle relative addizionali per l’energia elettrica erogata in favore della società B. s.r.I., operante all’interno del polo petrolchimico di Ferrara, avendo ritenuto che quest’ultima società fosse da considerarsi consumatore finale e non già, a sua volta, fabbricante; avverso l’atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Ferrara; l’Agenzia delle dogane aveva quindi proposto appello.
La Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: era corretto ritenere che, relativamente alle pretese relative agli anni 2000, 2001 ed inizio 2002, le stesse erano da considerarsi prescritte, atteso che non poteva ritenersi che nella fattispecie vi fosse stato un comportamento omissivo della contribuente, con conseguente spostamento del dies a quo al momento della successiva scoperta dell’illecito, posto che, invece, già dal giorno 8 gennaio 2002 la contribuente aveva provveduto alla denuncia di attivazione e comunicato che la società B. s.r.l. era il soggetto fabbricante, in quanto tale tenuto ad assolvere all’obbligo di pagamento dell’accisa;
circa, poi, la individuazione della soggettività passiva, la circostanza che era stato accertato che il quantitativo di energia elettrica utilizzato dalla B. s.r.l. fosse superiore o inferiore a quello ad essa erogato dalla contribuente doveva indurre a ritenere che la stessa B. s.r.l. era un soggetto assimilato al fabbricante, avendo acquistato da più fornitori, ai sensi dell’art. 53, TUA, quindi unico soggetto passivo nel pagamento dell’imposta; era onere dell’Agenzia delle dogane fornire la prova della qualità della società B. s.r.l. di consumatore, non potendosi far gravare sulla contribuente l’onere di verificare il mancato possesso della licenza fiscale di esercizio da parte della B. s.r.I..
Avverso la suddetta pronuncia ha quindi proposto ricorso l’Agenzia delle dogane affidato a quattro motivi di ricorso, cui ha resistito la contribuente depositando controricorso, illustrato con successiva memoria.
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. A.C., ha depositato le proprie conclusioni con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 57, TUA, e dell’art. 2935, cod. civ..
In particolare, evidenzia parte ricorrente che, relativamente agli anni 2000 e 2001, la contribuente non aveva presentato alcuna dichiarazione di consumo e che, inoltre, relativamente all’anno 2002 (inizio), non poteva essere considerata quale comportamento attivo, rilevante ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, la denuncia di attivazione dell’attività di grossista.
Secondo parte ricorrente, la previsione contenuta nell’art. 57, cit., fa riferimento alla presentazione della dichiarazione di consumo ed al conseguente versamento, non potendo assumere rilevanza la presentazione della denuncia volta ad acquisire la licenza fiscale, poiché, sotto questo profilo, il contribuente è comunque rimasto inerte all’obbligo di presentazione della dichiarazione di consumo, elemento in relazione al quale soltanto può iniziare a decorrere il termine di prescrizione, con conseguente spostamento del termine di inizio della prescrizione alla scoperta del comportamento omissivo di mancato pagamento dell’imposta.
Il motivo è fondato.
Va disattesa, in primo luogo, l’eccezione di inammissibilità del presente motivo proposta dalla controricorrente, basata sulla considerazione che con la censura proposta verrebbe ad essere sollecitata una nuova valutazione dei fatti di causa, avendo il giudice del gravame già accertato quale fosse il momento di decorrenza del termine di prescrizione.
In realtà, quel che parte ricorrente censura è la non corretta sussunzione della fattispecie nel paradigma normativo di riferimento, in particolare la rilevanza da dare alla denuncia inviata da E.E. s.p.a. ai fini della decorrenza del termine di prescrizione e, in particolare, la non corretta valorizzazione della suddetta denuncia.
Va quindi evidenziato che l’art. 57, comma 3, d.lgs. n. 504/1995, in materia di decorrenza del termine di prescrizione delle accise sull’energia elettrica, prevede che: «Il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta è di cinque anni dalla data in cui è avvenuto il consumo. In caso di comportamenti omissivi la prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito».
La previsione normativa, in particolare, contempla due diversi momenti di decorrenza del termine di prescrizione, che fanno riferimento o alla data del consumo ovvero della scoperta dell’illecito.
Con riferimento al primo profilo, quello cioè che ha a riferimento il momento in cui “è avvenuto il consumo”, questa Corte (Cass. civ., 12 febbraio 2019, n. 4034), ha precisato che, con tale allocuzione, si intende fare riferimento al momento in cui è possibile verificare che il contribuente-fabbricante abbia adempiuto agli obblighi di legge e, dunque, a quello di presentazione della dichiarazione annuale di cui all’art. 55 TUA, comma 1.
Nella presente controversia è pacifico che E.E. s.p.a. non ha compiuto alcuna dichiarazione di consumo, ma, in data 8 gennaio 2002, ha presentato la denuncia di attivazione comunicando, come si evince dalla sentenza censurata, che “la propria cliente B. s.r.l. era soggetto “fabbricante” di energia elettrica, tenuto direttamente ad assolvere alle imposte di consumo”.
Si pone quindi la questione di verificare sulla base di quali presupposti può trovare applicazione la previsione dell’ultimo periodo dell’art. 57, comma 3, cit., in particolare quando possa dirsi che, in considerazione del comportamento omissivo del contribuente, il termine di prescrizione inizi a decorrere solo dal momento della scoperta del fatto illecito.
La Corte costituzionale, con sentenza 26 ottobre 2021, n. 200, pronunciando sulla questione di legittimità costituzionale della previsione in esame, per contrasto con gli artt. 3 e 24, Cost., pur avendo ritenute inammissibili le questioni prospettate in considerazione della prioritaria valutazione del legislatore in ordine alla individuazione dei mezzi più idonei al conseguimento di un fine costituzionalmente necessario, ha evidenziato come la norma si presti a non individuare in maniera certa il dies a quo di inizio del computo, così esponendo a tempo indeterminato il contribuente alle pretese del fisco, potenzialmente avanzabili anche a distanza di decenni dall’insorgenza dell’obbligo rimasto adempiuto.
In quest’ambito, tuttavia, la medesima Corte ha evidenziato come l’intervento richiesto dalle ordinanze di rimessione avrebbe l’effetto di un intervento manipolativo-additivo, la cui scelta, invero, è prioritariamente affidata alla discrezionalità del legislatore ed ha quindi dichiarato inammissibili le questioni.
Ciò precisato, allo stato, dunque, della disciplina normativa in esame comunque vigente, occorre procedere ad una sua applicazione che miri ad evitare il rischio adombrato dalla suddetta pronuncia costituzionale, cioè di una lesione del diritto di difesa del contribuente e di un irragionevole effetto discriminatorio per il contribuente tenuto al pagamento dell’accisa.
Ragionando entro questa direttiva interpretativa, il punto di partenza, ai fini dell’applicazione della previsione normativa, non può essere il fatto in sé di un omesso versamento di quanto dovuto, poiché questo attiene all’obbligazione tributaria di pagamento ed integra la condotta sanzionata.
Lo ha chiarito la Corte (Cass. civ., 22 novembre 2021, n. 35903), che ha precisato che: «La struttura della norma postula che i “comportamenti omissivi” non possano essere identificati con il fatto contestato. Questi, infatti, rilevano perchè impeditivi della “scoperta del fatto illecito”, ossia, con riguardo alla fattispecie in giudizio, l’omesso versamento. In altri termini, l’omesso versamento integra la condotta sanzionata e, dunque, in quanto tale non può anche coincidere con il fatto che ha impedito di scoprire la condotta stessa».
Di per sé, dunque, il mancato pagamento dell’accisa non può costituire presupposto per l’applicazione della previsione normativa in esame: è dunque necessario procedere ad una ulteriore analisi interpretativa, al fine di chiarire quando possa dirsi sussistente una condotta omissiva che renda giustificabile l’individuazione del dies a quo del termine di prescrizione con riferimento al successivo momento della scoperta del fatto illecito.
In questo ambito, si deve ritenere che solo i “comportamenti” omissivi”, cioè ulteriori rispetto alla condotta tipica e sanzionata, possano rilevare ai fini della corretta applicazione della previsione in esame, mentre sono privi di incidenza, per l’espresso dato letterale della norma, i comportamenti attivi. Ciò si spiega, del resto, sul rilievo che le condotte omissive sono, in quanto tali, suscettibili di occultare il fatto illecito e, dunque, di impedire il controllo da parte dell’amministrazione.
Sul punto, è stato precisato (Cass. civ., 16 ottobre 2020, n. 22597; Cass. civ., 12 novembre 2019, n. 29204) che: «Per comportamento omissivo deve, piuttosto, intendersi (…), una condotta illecita volta a celare la debenza dell’imposta attraverso alterazioni documentali o contabili di non immediata e facile percezione da parte dell’Amministrazione, tanto da dover essere “scoperta” attraverso apposita indagine o, quantomeno, un’autodenuncia del contribuente».
Quel che può, quindi giustificare uno spostamento del dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione rispetto a quello dell’omessa dichiarazione e che preservi il principio di difesa e di non discriminazione, secondo quanto evidenziato dalla pronuncia della Corte costituzionale, è, invero, non tanto l’omessa dichiarazione, ma necessariamente un comportamento ulteriore del contribuente che impedisca all’amministrazione finanziaria di avere precisa contezza della esistenza dell’obbligazione tributaria e di identificazione del soggetto passivo: sotto tale profilo, quel che assume rilevanza e che giustifica l’applicazione della previsione normativa in esame è la realizzazione di una condotta, riconducibile allo stesso contribuente, di occultamento della realtà dei fatti.
È quindi solo questa condotta, anche colposa, riconducibile allo stesso contribuente che rende giustificabile, nell’ottica del legislatore, uno spostamento del termine di prescrizione, poiché si impone a carico dell’amministrazione finanziaria una attività di disvelamento della realtà fattuale che giustifica un diverso momento di partenza del termine di prescrizione: realtà fattuale che risulta celata proprio in relazione al comportamento del contribuente. È dunque sotto tale ottica che può trovare giustificazione a danno del contribuente uno spostamento del dies a quo del termine di prescrizione: la circostanza, cioè, che l’attività di controllo dell’amministrazione viene ad essere contrastata da un comportamento del medesimo contribuente che ha alterato la realtà dei fatti.
Sotto tale ambito, la scoperta del fatto illecito va configurata in tutte quelle ipotesi in cui l’amministrazione doganale, verificatasi una situazione di alterazione della realtà fattuale, ha potuto successivamente acquisire elementi idonei di conoscenza di una realtà diversa rispetto a quella conseguente al comportamento del contribuente e, quindi, accertare l’omesso versamento del pagamento dell’accisa da parte del soggetto passivo, potendo solo da tale momento esercitare il proprio potere impositivo.
Con riferimento al caso di specie, il giudice del gravame ha accertato che la ricorrente, in data 8 gennaio 2002, aveva inviato una denuncia di attivazione, con allegato l’elenco dei clienti riforniti, tra cui la B. s.r.I., con la precisazione che “a tale società ha fornito energia elettrica dal 1° gennaio 2000 e che la stessa è da intendersi equiparata al fabbricante, ai fini del pagamento delle accise, secondo la normativa t.u.a. di riferimento”(vd. sentenza ctr pag. 2).
In sostanza, con la suddetta dichiarazione la società aveva messo a conoscenza l’Agenzia delle dogane solo del fatto che: a) non aveva provveduto al pagamento delle accise per le annualità dal 2000 fin all’inizio del 2002; b) il mancato pagamento era dipeso dalla circostanza che la B. s.r.l. era da considerarsi fornitore.
Dunque, per gli anni precedenti alla denuncia di attivazione, la società aveva omesso di compiere le dovute comunicazioni all’Agenzia delle dogane, con conseguente non operatività del termine di prescrizione, e con la suddetta denuncia la contribuente aveva, inoltre, compiuto una comunicazione non corrispondente alla realtà, celando, anche colposamente, la realtà effettiva, posto che solo a seguito dei successivi controlli l’Agenzia delle dogane potè verificare che la B. s.r.l. non era un soggetto fabbricante.
Quella comunicazione, dunque, non può essere presa a base per individuare il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione, poiché si tratta di una comunicazione nella quale era stato riportata la non veritiera circostanza, successivamente disconosciuta dall’Agenzia, che il soggetto passivo dell’imposta fosse la B. s.r.l..
È in questa condotta, diretta a celare l’effettiva soggettività passiva di E.E. s.p.a. che deve, invero, dirsi concretizzato il comportamento omissivo della suddetta società che ha giustificato la successiva attività di verifica della effettiva sussistenza, nei confronti di B. s.r.l., della qualifica di soggetto passivo dell’imposta in quanto “fabbricante”.
In questo ambito, l’emersione del fatto illecito, nella vicenda in esame, è da ricondursi al momento in cui l’Agenzia delle dogane, fatti i successivi controlli, ebbe modo di verificare la non veridicità della suddetta circostanza.
La stessa parte controricorrente riporta il contenuto del p.v.c. (vd. pag. 9, controricorso) da cui si evince che “in seguito all’esame della denuncia presentata e su incarico dell’Ufficio i funzionari si sono recati presso il cliente finale sopra indicato, con lo scopo di controllare la corretta applicazione delle disposizioni di legge riguardanti l’imposizione fiscale sull’energia elettrica”.
Non correttamente, dunque, il giudice del gravame ha ritenuto che la suddetta comunicazione abbia comportato la conoscenza da parte dell’agenzia doganale della sussistenza del fatto illecito.
Come detto, la comunicazione si limitava a indicare la B. s.r.l. quale soggetto, a propria volta, fabbricante ed in questo non può riscontrarsi alcuna emersione del fatto illecito, poiché al momento in cui l’Agenzia delle dogane ricevette la suddetta comunicazione non era stata messa nelle condizioni di verificare l’esattezza o meno della stessa, in quanto non era ancora in possesso di tutti gli elementi per potere riscontrare la circostanza dell’omesso versamento nonché se la B. s.r.l. fosse o meno un fabbricante.
La effettiva conoscenza, ai nostri fini, del fatto illecito deve essere invece configurata nel successivo momento di emersione, dunque della scoperta della non veridicità di quanto dichiarato.
La sentenza, dunque, è viziata per violazione di legge, per non avere fatta corretta applicazione dei suddetti principi.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
In particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame ha omesso di considerare che, per gli anni 2000 e 2001, la società non aveva presentato alcuna dichiarazione di consumo, con conseguente impossibilità per l’Agenzia di disporre le dovute verifiche, e, per l’anno 2002, aveva provveduto ad inoltrare la denuncia nel febbraio 2003, quindi entro i cinque anni del termine di prescrizione.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del presente motivo.
Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 52 e 53, TUA, nonché per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, e ssgg., cod. civ. e dei principi di riparto dell’onere della prova.
In particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame ha erroneamente ritenuto che, nella vicenda in esame, doveva escludersi che la E.E. s.p.a. fosse da considerarsi soggetto passivo di imposta, atteso che, invece, la presunta fornitura da parte della B. s.r.l. da più di un fornitore non poteva avere rilevanza al fine della spostamento della soggettività passiva nei confronti della stessa, in quanto la suddetta società era priva di apposita licenza.
Inoltre, si censura la sentenza per avere ritenuto che fosse onere dell’amministrazione doganale procedere alle dovute verifiche in ordine alla effettiva sussistenza, a carico della B. s.r.l., della qualifica di soggetto assimilato al produttore, posto che, invece, era la E.E. s.p.a., nella sua veste di cliente grossista, che avrebbe dovuto accertarsi che la suddetta società non poteva rivestire la qualifica di soggetto passivo, non possedendo alcuna licenza fiscale di esercizio.
Infine, evidenzia parte ricorrente la particolarità del sistema di fornitura realizzata, nel caso di specie, mediante l’intervento di un terzo soggetto (E. s.p.a.) che procedeva alla distribuzione dell’energia elettrica ed era responsabile della misurazione del relativo dato, con possibili disallineamenti nelle letture delle misure evidenziate dai contatori rispetto al totale dell’energia elettrica distribuita nonché errori di misura, sicchè le differenze evidenziate negli allegati al p.v.c. dovevano essere inserite in questo specifico contesto.
Il motivo è fondato.
Va disattesa l’eccezione di inammissibilità del motivo in esame proposto dalla controricorrente basata sulla considerazione che verrebbe ad essere prospettata una nuova valutazione di merito in ordine alla questione, già oggetto di accertamento, della natura di B. s.p.a. quale soggetto fabbricante.
In realtà, quel che parte ricorrente censura è la possibilità di utilizzare elementi indiziari al fine di potere addivenire all’accertamento della natura di soggetto fabbricante di B. s.p.a.: sotto tale profilo, si tratta di una questione che attiene alla verifica della sussistenza dei presupposti in diritto per il riconoscimento della suddetta qualifica, come prospettato con il presente motivo di ricorso, in particolare la ragione di censura si fonda sulla necessità, in dirittoi che il riconoscimento della qualifica di soggetto fabbricante postula l’ottenimento della specifica licenza.
Ciò precisato, è pacifico che E.E. s.p.a. era un grossista venditore di energia elettrica che aveva ceduto energia elettrica a diversi acquirenti, fra i quali B. s.r.I..
In questo ambito, il giudice del gravame ha ritenuto che da diversi elementi indiziari poteva evincersi che B. s.r.l. aveva acquistato energia elettrica da più fornitori e che, pertanto, era stato comunicato all’Agenzia delle dogane che quest’ultima società era da considerarsi quale soggetto equiparato al fabbricante; ha, inoltre, ritenuto che era onere dell’Agenzia delle dogane accertare la
sussistenza, nei confronti della B. s.r.I., della effettiva qualifica di soggetto assimilato al produttore, mentre per la Edison s.p.a. era sufficiente la dichiarazione alla stessa resa dalla B. s.r.l. di essere un soggetto fabbricante.
Va quindi osservato che E.E. s.p.a., in quanto cliente grossista, è da considerarsi, ai sensi dell’art. 2, comma 5, d.lgs. n. 79/1999, quale persona giuridica che acquista energia elettrica a scopo di rivendita all’interno o all’esterno del sistema in cui è stabilita.
In quanto tale, alla stessa sono applicabili le previsioni di cui all’art. 53, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 504/1995, essendo assimilato al produttore di energia elettrica, in quanto acquista per rivendere energia elettrica, e quindi sottoposto agli obblighi di chi esercita un’officina di produzione.
Pertanto, su di essa gravava l’obbligo di denunciare preventivamente la propria attività all’Ufficio dell’Agenzia delle dogane competente per territorio e di dichiarare ogni variazione, di prestare una cauzione sul pagamento dell’accisa, di presentare una dichiarazione di consumo annuale, contenente, oltre alle indicazioni relative alla denominazione, alla sede legale, al codice fiscale, al numero della partita IVA del soggetto, all’ubicazione dell’eventuale officina, tutti gli elementi necessari per l’accertamento del debito d’imposta relativo ad ogni mese solare, nonché l’energia elettrica prodotta, prelevata o immessa nella rete di trasmissione o distribuzione.
La possibilità che il produttore di energia elettrica, od il soggetto ad esso assimilato, non sia tenuto al pagamento dell’accisa, avvalendosi del regime di sospensione dell’imposta, postula, tra le varie specifiche ipotesi disciplinate dal legislatore, che questi abbia trasferito il prodotto ad altro soggetto nei cui confronti si applichi il medesimo regime di sospensione.
Sotto tale profilo, perché potesse validamente applicarsi, nella ipotesi in esame, il regime sospensivo di imposta, era necessario che il soggetto al quale era trasferita l’energia elettrica avesse a propria volta acquisito regolarmente la qualifica di soggetto produttore o di soggetto ad esso assimilato, in quanto tale tenuto agli adempimenti di cui all’art. 53, cit., dovendosi altrimenti ragionare in termini di svincolo irregolare.
La circostanza, dunque, che la cessione di energia elettrica sia compiuta nei confronti di un soggetto cui non si applichi, a sua volta, il regime di sospensione dell’imposta, assume rilevanza ai fini della assoggettabilità del venditore all’obbligo di pagamento dell’accisa.
L’art. 2, comma 2, d.lgs. cit., prevede che l’accisa è esigibile all’atto della immissione in consumo del prodotto nel territorio dello Stato e, in particolare, che: «Si considera immissione in consumo anche: a) lo svincolo, anche irregolare, di prodotti sottoposti ad accisa da un regime sospensivo».
In sostanza, qualora sia avvenuto lo svincolo irregolare di un prodotto sottoposto ad accisa in regime sospensivo, si ritiene dal legislatore verificata la condizione di esigibilità, con conseguente obbligo del pagamento dell’accisa da parte del soggetto venditore.
Con riferimento al caso di specie, la circostanza che il soggetto acquirente di energia elettrica da parte della E.E. s.p.a., sebbene fosse stato dichiarato “fabbricante”, non avesse richiesto la licenza fiscale di esercizio, avrebbe dovuto condurre il giudice del gravame ad escludere che fosse stato regolarmente operato lo svincolo dal deposito fiscale.
In realtà, come detto, non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto di potere procedere alla equiparazione di chi acquista da due o più fornitori al fabbricante (in forza della specifica previsione di cui all’art. 53, comma 2, lett. b-bis., applicabile ratione temporis), sulla base di elementi indiziari, essendo, invece, necessario verificare che il soggetto acquirente avesse, a sua volta, regolarmente acquistato la qualifica di produttore, sebbene ad esso assimilato.
D’altro lato, non correttamente il giudice del gravame ha ritenuto che fosse onere dell’amministrazione doganale compiere un accertamento della qualifica del soggetto in favore del quale era stata effettuata la fornitura di energia elettrica, non potendosi fare gravare sul cedente l’onere di verificare se il cessionario fosse o meno in possesso della licenza fiscale di esercizio.
In realtà, sul produttore o sul soggetto ad esso assimilato che si avvale del regime di sospensione dell’imposta gravano gli obblighi di verifica della regolarità dello svincolo nei confronti del soggetto in favore del quale è avvenuta la cessione e, dunque, ha l’onere di verificare se questi fosse o meno titolare, a sua volta, dell’autorizzazione per l’assunzione della qualifica di soggetto assimilato al produttore, con la conseguenza che, ove manchi l’autorizzazione, lo svincolo è irregolare, con conseguente obbligo di pagamento dell’accisa dal parte del cedente.
Come questa Corte ha precisato (Cass. civ., 5 giugno 2020, n. 10684), dalla struttura dell’imposta in esame si ricava che i fatti generatori identificano soggetti ben determinati, coerentemente con la caratterizzazione tipologica del tributo che postula, per poter risultare efficace e garantire un gettito costante all’erario, la concentrazione del controllo (in termini, Cass., sez. un., 31 dicembre 2018, n. 33687; 19 aprile 2013, n. 9567; 6 agosto 2014, n. 17627 e, tra le ultime, 1 febbraio 2019, n. 3050; 30 ottobre 2019, nn. 27791 e 27792).
Il che implica che il controllo deve essere compiuto su soggetti specifici, posto che solo a coloro che esercitano officine di energia elettrica è rilasciata, successivamente alla verifica degli impianti, una licenza di esercizio, in luogo dell’autorizzazione (art. 53, commi 5 e 7, nel testo risultante dalla novella del 2007). Il che è coerente con l’art. 5 del medesimo decreto che, nel delineare il regime del deposito fiscale, che è quello relativo alla fabbricazione, alla lavorazione e alla detenzione dei prodotti soggetti ad accisa e in regime sospensivo (in conformità all’art. 11, paragrafo 2, della direttiva n. 92/12/CEE), stabilisce -comma 2- che “l’esercizio del deposito fiscale è subordinato al rilascio di una licenza…”.
Ed è proprio la polarizzazione su soggetti predeterminati che è utile a combattere i fenomeni elusivi paventati.
Il soggetto passivo ha la possibilità di verificare la sussistenza dei presupposti per le agevolazioni o per le esenzioni e pone l’Agenzia nelle condizioni di liquidare l’imposta e di svolgere i propri controlli sulla base della dichiarazione di consumo annuale.
E la dichiarazione, “oltre alle indicazioni occorrenti per l’individuazione della ditta (denominazione, sede, ubicazione dell’officina, codice fiscale e numero della partita I.V.A.), deve contenere tutti gli elementi necessari per l’accertamento del debito d’imposta” (D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 55, comma 5, nel testo antecedente al 2007, riprodotto e integrato dall’art. 53, comma 8, nel testo novellato nel 2007): sicchè consente di contabilizzare i consumi che si sono effettuati per tipologia di tassazione e di liquidare il relativo importo, il che agevola l’attività di verifica e aiuta a scongiurare l’evasione.
Sotto tale profilo, non può rilevare quanto affermato da questa Corte con le pronunce n. 19321/2011, 12431/2007, 12589/2004, valorizzate dal Pubblico Ministero per sostenere le conclusioni in termini di rigetto del presente motivo di ricorso.
Quelle pronunce (cui fa richiamo anche la recente pronuncia 28 giugno 2019, n. 17513), fanno riferimento alla diversa questione dell’eventuale riconoscimento del diritto ad una agevolazione e si è, coerentemente, ritenuto che la mancata ottemperanza alle prescrizioni di cui agli artt. 53 e 55, non produce effetti preclusivi del diritto alle esenzioni o alle agevolazioni, posto che tali adempimenti non costituiscono il presupposto indefettibile per il sorgere delle relative posizioni giuridiche soggettive, essendo adempimenti funzionali al rilascio della licenza di esercizio o costituiscono prescrizioni meramente eventuali, disposte dall’amministrazione nell’esercizio del potere riconosciuto dalla legge per rendere più agevoli gli accertamenti ed i controlli contabili-amministrativi.
Ma, per l’appunto, quelle pronunce avevano riguardo al diverso profilo della sussistenza o meno del riconoscimento di una agevolazione o di una esenzione, ed avevano, correttamente, ritenuto di dovere fare applicazione del principio unionale di proporzionalità, secondo cui una mera irregolarità di carattere formale non può condurre all’applicazione di un regime impositivo diverso da quello spettante sulla base della fattispecie sostanziale e, quindi, dovendosi fare riferimento alla sostanza giuridica della fattispecie impositiva.
È evidente, quindi, la diversità di posizioni giuridiche che vengono in rilievo rispetto alla presente fattispecie: qui non si tratta di valutare se, al di là del mero dato formale, debba comunque riconoscersi la prevalenza della sostanza sulla forma ai fini del riconoscimenti di un diritto all’esenzione o di una agevolazione; sì tratta, invece, di verificare se, come visto, lo svincolo dal regime di sospensione dell’imposta sia stato correttamente osservato, poiché da esso deriva la considerazione dell’assoggettamento o meno all’accisa da pare del soggetto venditore, quindi della sua soggettività passiva.
Non correttamente, quindi, il giudice del gravame ha ritenuto che la qualifica dell’acquirente quale soggetto assimilato al produttore potesse essere individuata sulla base di elementi indiziari ed a prescindere dalla sua formale titolarità di soggetto assimilato al produttore e che, inoltre, era onere dell’amministrazione doganale procedere al suddetto accertamento.
L’accoglimento del terzo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del quarto, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in particolare per non avere verificato se la B. s.r.l. era titolare di una licenza fiscale e se, inoltre, E.E. s.p.a. era consapevole della natura di consumatore finale della suddetta società, nonchè, infine, per non avere tenuto conto del fatto che la differenza di energia fatturata trovava giustificazione nella particolarità del sistema di distribuzione da parte di un soggetto terzo, con possibilità di errori di misurazione, suscettibili di fatturazione a conguaglio.
In conclusione, sono fondati il primo motivo e terzo motivo, assorbiti il secondo ed il quarto, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado dell’Emilia-Romagna, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo e terzo motivo di ricorso, assorbiti il secondo ed il quarto, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Corte di giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche ai fini della liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
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