CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 38131 depositata il 30 dicembre 2022
Tributi – Cartella di pagamento – Accise – Imposta di fabbricazione di oli minerali e derivati in autotrazione – Società contribuente esposta a duplice richiesta di pagamento dell’accisa da parte delle autorità di diversi Stati membri – Art. 12, n. 3, della Direttiva n. 76/308/CEE – Violazioni verificatesi in successione in più Stati nel corso della circolazione di uno stesso bene soggetto ad accisa – Accoglimento
Fatti di causa
1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 620/07/17, veniva rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli avverso la sentenza n.1474/12/2016 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la quale aveva accolto il ricorso della società K. S.p.a., già S.I. S.p.a. avente ad oggetto la cartella di pagamento relativa ad accise, imposta di fabbricazione di oli minerali e derivati in autotrazione, relativamente all’anno di imposta 2009. Nel dettaglio, l’Ufficio non aveva riconosciuto sussistente la condizione per l’applicazione del regime di sospensione dell’imposta che assisteva la spedizione per trasferimento di prodotti energetici verso il destinatario infracomunitario E.G.P. S.r.l. con sede nella Repubblica Ceca, per un importo di Euro 1.191.758,58.
2. La cartella faceva seguito a un processo verbale di constatazione datato 20 febbraio 2014, con il quale si accertava uno svincolo irregolare di prodotti energetici estratti da un deposito fiscale della società S.L.N. S. r.I., incorporata da S.I. S.p.a. e trasferiti verso la Repubblica Ceca.
3. Il giudice di prime cure accoglieva il ricorso, ritenendo che la società contribuente avesse estinto il debito tributario e il giudice d’appello rigettava l’impugnazione dell’Ufficio, sul presupposto che la contribuente avesse provato di avere proceduto al pagamento delle accise dovute presso la dogana della Repubblica Ceca, con conseguente inesigibilità del medesimo tributo in Italia, pena la duplicazione dell’imposta.
4. Avverso la decisione l’Agenzia ha proposto il ricorso iscritto all’RGN 22350/2017, affidato ad un motivo, cui ha resistito la società con controricorso. La controversia è stata oggetto di rinvio a nuovo ruolo per trattazione congiunta con la controversia iscritta al n. 35490/2019 R.G. relativa all’avviso di pagamento dal quale trae origine la cartella impugnata nel presente giudizio, avviso oggetto della sentenza della CTR del Friuli-Venezia Giulia n. 135/03/19 depositata in data 19 settembre 2019.
5. In seno a questo secondo processo l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha articolato un motivo di ricorso avverso la sentenza della CTR che confermava la decisione di primo grado di accoglimento del ricorso introduttivo in presenza di già avvenuto pagamento del tributo presso la dogana ceca, cui ha replicato la contribuente con controricorso, confermando la circostanza che S.I. S.p.a., oggi K. S.p.a., in via meramente cautelativa, aveva versato in data 28.2.2014 il tributo richiesto dall’autorità doganale della Repubblica Ceca.
La contribuente ha depositato in entrambi i ricorsi istanza di discussione orale e memorie illustrative.
Ragioni della decisione
6. Pregiudizialmente, in presenza di stretta connessione soggettiva ed oggettiva, ex art.274 cod. proc. civ. dev’essere disposta la riunione della controversia più recente, iscritta all’RGN 35490/2019, a quella più risalente iscritta all’RGN 22350/2017.
7. Con un unico motivo a fondamento del ricorso RGN 22350/2017 proposto avverso la cartella di pagamento, in relazione all’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ., l’Agenzia ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del d.lgs. n.504/1995 (Testo Unico Accise, TUA) per aver la CTR erroneamente ritenuto esistente nella fattispecie un caso di duplicazione d’imposta. L’Ufficio precisa che la società contribuente non ha pagato in Italia alcuna imposta a titolo di accisa sulle spedizioni sottostanti alla cartella per cui è causa, e che la sospensione della riscossione non ha integrato alcuna doppia imposizione.
8. Con la censura posta a base del RGN 35490/2019 proposto contro l’avviso di pagamento, ai fini dell’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ., l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli prospetta la violazione, oltre che del citato art. 7 TUA, anche degli artt. 3, 5, 7 e 20 della Direttiva 92/12/CE e dell’art.28 del Regolamento 389/12 per aver il giudice d’appello mancato di tener conto che l’appuramento della circolazione infracomunitaria di prodotti energetici ai fini delle accise esige l’asseverazione del destinatario di averli ricevuti e, qualora nella collaborazione unionale sulla circolazione delle accise lo Stato di destinazione informi che dette asseverazioni sono false, legittimamente l’Italia recupera le accise evase.
Parte ricorrente deduce anche l’irrilevanza del fatto che, dopo l’inizio delle indagini, l’esportatore italiano abbia pagato presso la Dogana ceca essendo necessario pagare il vero creditore o che, in presenza della prova della falsità del raggiungimento dello Stato di destinazione, corroborata dal pagamento dopo la scoperta della non debenza delle accise a detto Stato, seguita dal contenzioso in corso, questo si ritenga creditore, rilevando il luogo della commessa violazione che ritiene essere l’Italia, Stato del mittente e dell’uscita dal deposito fiscale del prodotto in regime sospensivo.
9. I motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.
Ai sensi della citata previsione di legge, lettera d) «Se i prodotti spediti dal territorio dello Stato non giungono a destinazione in un altro Stato membro e non è possibile stabilire il luogo in cui sono stati immessi in consumo, l’irregolarità o l’infrazione si considera commessa nel territorio dello Stato e si procede alla riscossione dei diritti di accisa con l’aliquota in vigore alla data di spedizione dei prodotti, salvo che, nel termine di quattro mesi dalla data di spedizione, non venga fornita la prova della regolarità dell’operazione ovvero la prova che l’irregolarità o l’infrazione è stata effettivamente commessa fuori dal territorio dello Stato». Non è controverso il fatto che la medesima pretesa erariale oggetto della presente controversia sia stata esercitata autonomamente nei confronti del contribuente da parte delle autorità doganali della Repubblica Ceca e che presso tale Stato membro sia pendente il relativo giudizio.
10. Questa Corte, proprio sul versante doganale con riferimento ad analoga vicenda sostanziale di una società contribuente esposta a duplice richiesta di pagamento dell’accisa da parte delle autorità di diversi Stati membri, ha disposto rinvio pregiudiziale ex art.267 TFUE alla Corte di Giustizia (Cass, Sez. 5, n. 02395/2019).
In particolare, la Sezione si è chiesta se il disposto di cui all’art. 12, n. 3, della Direttiva n. 76/308/CEE, circa l’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure, come modif. dalla Direttiva n. 2001/44/CE, in relazione all’art. 20 della Direttiva n. 92/12/CEE, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa, possa essere interpretato nel senso che, nel giudizio avviato avverso gli atti esecutivi di riscossione, possa costituire oggetto di disamina, ed eventualmente in quali limiti, il presupposto del luogo (di effettiva immissione in consumo) in cui l’irregolarità o l’infrazione sia stata effettivamente commessa qualora la medesima pretesa, fondata sulle stesse ed uniche operazioni di esportazione, venga avanzata, autonomamente, nei confronti del contribuente dallo Stato richiedente e dallo Stato adito, e presso quest’ultimo siano pendenti, contemporaneamente, sia il giudizio sulla pretesa interna sia quello sull’attività di riscossione per l’altro Stato, assumendo un tale accertamento valore ostativo alla richiesta di assistenza e, dunque, a tutti gli atti esecutivi. Orbene, la Corte del Lussemburgo con sentenza 24 febbraio 2021, C-95/19, Silcompa, in risposta al quesito, ha pregiudizialmente affermato che la suddetta norma comunitaria deve essere interpretata nel senso che, nell’ambito di un’azione di contestazione riguardante i provvedimenti esecutivi adottati nello Stato membro in cui ha sede l’autorità adita, l’organo competente di tale Stato membro può rifiutare di accogliere la domanda di recupero dei diritti di accisa, presentata dalle autorità competenti di un altro Stato membro, per quanto riguarda prodotti irregolarmente svincolati da un regime sospensivo, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo l, della Direttiva 92/12, come modificata dalla Direttiva 92/108, qualora tale domanda sia fondata sui fatti riguardanti le medesime operazioni di esportazione che siano già oggetto di un recupero dei diritti di accisa nello Stato membro in cui ha sede l’autorità adita.
11. Nell’ambito di siffatto quadro, va reiterato quanto già statuito da questa Corte con la sentenza n.26509/2021, la quale per prima ha fatto applicazione di tale principio di diritto proprio in una controversia relativa all’avviso di pagamento adottato anche per irregolare svincolo dal deposito, rammentando come la Corte di Giustizia abbia chiarito che la Direttiva n. 92/12 ha inteso fissare un certo numero di regole al fine di assicurare che l’esigibilità delle accise sia identica in tutti gli Stati membri così da evitare, in linea di principio, «le doppie imposizioni nelle relazioni tra Stati membri» (punto 44, Silcompa).
Inoltre, l’art. 20 della citata Direttiva «mira, in particolare, a determinare lo Stato membro che è il solo autorizzato a riscuotere i diritti di accisa sui prodotti interessati qualora siano state commesse, nel corso della circolazione, un ‘irregolarità o un ‘infrazione» (punto 45, Siicampa).
12. La Corte del Lussemburgo ha specificato, sul punto, che occorre tenere distinto il fatto generatore del tributo, costituito dalla fabbricazione in uno Stato membro o dalla importazione dei prodotti, dall’esigibilità dei diritti di accisa, che, invece, è ancorata «all’atto di immissione in consumo dei prodotti, ( … ) nozione che include altresì lo svincolo, anche irregolare, da un regime sospensivo» (punto 47, Silcompa).
Ne deriva che, ove sia noto e certo il luogo in cui sia avvenuta l’infrazione o una irregolarità idonea a comportare l’esigibilità del diritto d’accisa, la facoltà di riscossione spetta allo Stato membro del luogo in questione (art. 20, par. 1, dir. 92/12). Diversamente, invece, l’art. 20, par. 2 e 3, dir cit. stabilisce delle presunzioni, rispettivamente, a favore «dello Stato membro in cui l’infrazione sia stata accertata» ovvero, qualora i prodotti non siano giunti a destinazione e non sia possibile stabilire dove la violazione si è verificata, a favore dello “Stato membro di partenza”» (punto 54, Silcompa).
13. E’ stato anche chiarito che rispetto a tali regole l’art. 20, par. 4, della citata Direttiva prevede anche un possibile meccanismo correttivo ove sia accertato, entro tre anni dal rilascio del DDA, il luogo di effettiva infrazione (e, in tal caso, è previsto il rimborso delle somme originariamente riscosse). La Corte, tuttavia, ha precisato che questa indicazione, con i limiti temporali ivi stabiliti, «riguarda non già una situazione di conflitto di competenze» tra gli Stati membri quanto piuttosto l’ipotesi in cui è chiaro che il luogo di effettiva violazione è diverso da quello inizialmente determinato (punto 56, Silcompa). Con riguardo a tale circostanza che spetta al giudice nazionale determinare la Corte di Giustizia ha ritenuto, in concreto, configurabili due ipotesi:
a) nel corso della circolazione dei prodotti si siano verificate una pluralità di violazioni: in tal caso, tuttavia, ai fini dell’applicazione dell’art. 20 dev’essere presa in considerazione «so/o la prima di esse, vale a dire quella che ha avuto come conseguenza lo svincolo dei prodotti nel corso della circolazione dal regime sospensivo dei diritti di accisa» (punto 65, Silcompa);
b) le autorità di uno Stato membro abbiano fondato la propria ripresa su una delle presunzioni di cui all’art. 20, mentre le autorità di altro Stato membro abbiano accertato che l’irregolarità sia stata effettivamente commessa nel suo territorio; in questo caso, tuttavia, una volta decorso il termine di tre anni previsto dall’art. 20, par. 4, della Direttiva n. 92/12 nessuno Stato membro può più validamente avvalersi di questa competenza per far valere il proprio diritto di riscossione (punto 67, Silcompa).
14. I giudici del Lussemburgo, in secondo luogo, con riguardo alle disposizioni in tema di mutua assistenza per la riscossione dei crediti d’accisa, dopo aver sottolineato che la ripartizione delle competenze tra autorità richiedente – sulle controversie sul titolo e sul credito – e autorità richiesta – quanto ai provvedimenti esecutivi – è «espressione del principio di fiducia reciproca tra le autorità nazionali interessate» (punto 73, Silcompa), ha tuttavia evidenziato che:
a) la disciplina di cui alla Direttiva n. 76/308 non riguarda l’ipotesi «nella quale vengono fatti valere due crediti concorrenti fondati, in sostanza, sulle stesse operazioni di esportazione, l’uno accertato da un organo dello Stato membro in cui ha sede l’autorità adita e l’altro accertato da un organo dello Stato membro in cui ha sede l’autorità richiedente e che beneficia, nel primo Stato membro, di un trattamento nazionale», restando l’ipotesi disciplinata, invece, dalla Direttiva n. 92/12 (punto 75, Silcompa);
b) l’autorità adita, seppure in via eccezionale, può sempre verificare «se l’esecuzione del titolo sia atta a ledere, in particolare, l’ordine pubblico di tale Stato membro e, eventualmente, a non accordare in tutto o in parte l’assistenza o a subordinarla al rispetto di talune condizioni» (punto 76, Silcompa). Peraltro, risulta «difficilmente concepibile che al titolo esecutivo che consente il recupero del credito sia data esecuzione nello Stato membro in cui ha sede l’autorità adita se detta esecuzione è tale da condurre ad una situazione in cui si potrebbe procedere, in violazione della Direttiva n. 92/12, alla doppia riscossione dei diritti di accisa gravanti sostanzialmente sulle stesse operazioni relative ai medesimi prodotti» sicché «è necessario consentire all’organo competente dello stesso Stato membro di rifiutare l’esecuzione di tale titolo» dal momento che la soluzione contraria implicherebbe che «in uno stesso sistema nazionale, possano coesistere due decisioni definitive riguardanti l’imposizione degli stessi prodotti soggetti ad accisa, una fondata sul loro svincolo irregolare dal regime sospensivo e l’altra fondata sulla loro successiva immissione in consumo» (punti 78 -80, Silcompa).
15. Alla luce di quanto precede, qualora più violazioni si siano verificate in successione in più Stati nel corso della circolazione di uno stesso bene soggetto ad accisa, solo la prima di esse, vale a dire quella che ha avuto come conseguenza lo svincolo dei prodotti nel corso della circolazione dal regime sospensivo dei diritti di accisa, deve essere presa in considerazione, ai fini dell’applicazione dell’art. 20 della Direttiva, nella misura in cui tale infrazione o irregolarità abbia avuto l’effetto di immettere i prodotti in consumo, ai sensi dell’art. 6 della stessa.
Nella presente fattispecie è pacifico che la prima infrazione sia intervenuta nel territorio della Repubblica italiana mediante lo svincolo irregolare delle partite di gasolio dirette nella Repubblica Ceca, dal momento che il destinatario infracomunitario E.G.P. S.r.l. con sede nella Repubblica Ceca non aveva ricevuto la merce e i timbri apposti sui documenti di trasporto restituiti al deposito fiscale sono risultati falsi.
16. Conseguentemente, alla luce della diritto eurounitario di cui si è dato conto, come interpretato dalla Corte di Giustizia e dal momento che l’accisa è esigibile all’atto della immissione in consumo del prodotto nel territorio dello Stato ex art.2 del Testo unico del 26/10/1995 n. 504 è corretta la prospettazione dell’Ufficio e il motivo trova accoglimento senza che vi sia violazione del divieto di doppia imposizione, non solo perché il versamento del tributo presso l’autorità doganale ceca non è definitivo essendo stato corrisposto dalla società in via meramente cautelativa, come si legge a pag.3 del controricorso della società depositato nel ricorso RGN 35490/19, ma anche perché – se del caso – può essere evitato in sede esecutiva facendo valere il titolo giudiziale italiano definitivo e il conseguente pagamento presso l’Amministrazione finanziaria dell’altro Stato comunitario.
17. L’accoglimento dei ricorsi riuniti determina la cassazione delle sentenze impugnate e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, le cause possono essere decise nel merito, ex art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., con il rigetto degli originari ricorsi introduttivi.
18. La novità della questione la cui risoluzione ha implicato l’applicazione di recente giurisprudenza della Corte di Giustizia giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Riunisce la controversia iscritta all’RGN 35490/2019 a quella iscritta all’RGN 22350/2017;
Accoglie i ricorsi riuniti, cassa le sentenze impugnate e, decidendo la causa nel merito, rigetta gli originari ricorsi introduttivi.
Compensa tra le parti le spese di lite degli interi giudizi.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE - Sentenza 11 giugno 2020, n. C-242/19 - Diritto al rimborso dell’IVA ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso - Il trasferimento, da parte di un soggetto passivo, di beni in provenienza da uno Stato…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 novembre 2021, n. 34186 - Inammissibile è la deduzione relativa alla spettanza della detrazione in proporzione ai mesi di effettiva percezione del reddito, in quanto questione non trattata nella sentenza impugnata,…
- CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 36211 depositata il 12 dicembre 2022 - In tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell'art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni "gravi, precise e concordanti", laddove il requisito della…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 05 marzo 2021, n. 6293 - Il ricorso per cassazione per violazione di legge è inammissibile ove il ricorrente non dia contezza di se e in quale sede processuale una questione giuridica - implicante un accertamento di…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 04 giugno 2019, n. 15198 - Per il diritto eurounitario una imposizione indiretta, aggiuntiva sul consumo di energia elettrica, consumo già colpito dalle accise armonizzate, è possibile, a termini dei paragrafi 1 e 2 della…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 27 ottobre 2022, n. 31863 - In tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il lavoratore in pensione ha diritto alla reintegr
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n . 32522 depositata il 23 novembre…
- Il dolo per il reato di bancarotta documentale non
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 42856 depositata il 1…
- La prescrizione in materia tributariava eccepita d
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27933 depositata il 4 ottobre 20…
- Il giudice penale per i reati di cui al d.lgs. n.
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 44170 depositata il 3…
- E’ legittimo il licenziamento per mancata es
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 30427 depositata il 2 novembre 2…