CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 38132 depositata il 30 dicembre 2022
Tributi – Avviso di pagamento – Accise su consumi di energia elettrica – Addizionale provinciale – Qualifica di soggetto “autoproduttore” – Dichiarazione di consumo di energia elettrica – Decorrenza del termine di prescrizione – Riunione dei ricorsi
Fatti di causa
1. Con sentenza n.621/2/2018 della Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, veniva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli proposto avverso la sentenza n.499/2/2017 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Potenza, la quale aveva accolto il ricorso della società T.V. S.p.a. avente ad oggetto l’avviso di pagamento relativo ad accise su consumi di energia elettrica, relativamente agli anni di imposta 2008, 2009 e 2010 per Euro 579.171,77 oltre addizionale provinciale pari ad Euro 1.708.089,26 e spese. Le riprese venivano adottate a seguito di distinti p.v.c. con cui l’Amministrazione contestava la dichiarazione di consumo di energia elettrica resa dalla società per i suddetti anni di imposta sul presupposto che il soggetto autoproduttore fosse tale rispetto al consumo per uso proprio e delle società consorziate dell’energia elettrica autoprodotta, mentre per quella prodotta in eccesso rispetto ai propri bisogni e ceduta a terzi, non poteva essere considerato autoproduttore, né l’energia elettrica ceduta poteva essere ritenuta destinata all’autoconsumo.
2. Conseguentemente, la T. non poteva godere dell’esenzione di cui all’art. 52, co. 3, lett. f) del TUA, cumulando la soglia di consumo mensile superiore a 1.200.000 kWh maturata da ogni società del Consorzio Utenti Energia Elettrica di cui la ricorrente faceva parte e, al contrario, siffatta soglia doveva essere conteggiata per ciascuna singola società anche se collocata nella medesima area industriale in cui era allocata la contribuente.
3. Secondo la medesima logica, l’Agenzia riteneva anche che, riguardo al raggiungimento del limite massimo del consumo di 200.000 kWh mensili per l’applicazione dell’addizionale provinciale di cui all’art. 6, co. l, lett. c) del D. L. 511/1988, era da escludere la cumulabilità dei consumi di più stabilimenti produttivi.
4. In sede di contraddittorio procedimentale le osservazioni della società venivano parzialmente accolte e, ai fini della definizione della presente controversia, si poneva anche la questione della eventuale incompatibilità e conseguente disapplicazione della disciplina in materia di addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica di cui all’art. 6, decreto-legge n. 511/1988, per contrasto con la Direttiva n. 2008/118/CE, anche relativamente a parte dei periodi di imposta oggetto di causa, precedenti alla entrata in vigore della suddetta Direttiva avvenuta il l gennaio 2009.
5. Instaurato il processo, a differenza del giudice di prime cure il quale interpretava l’art. 57, co. 3 del TUA nel senso di far decorrere il dies a qua del termine di prescrizione del diritto alla riscossione delle accise dalla data del consumo dell’energia, la CTR riteneva non maturata la prescrizione del diritto alla riscossione delle accise. Ciò sia in quanto i termini di prescrizione per il recupero delle accise sull’energia elettrica erano considerati decorrere dalla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale di cui all’art. 53 comma 8 TUA quanto all’anno di imposta 2008, sia, circa le restanti due annualità, in forza della notifica dei PVC quali atti interrruttivi utili. Per l’effetto, in riforma della decisione di primo grado che si era pronunciata sulla questione preliminare della prescrizione ritenuta assorbente, la CTR accoglieva l’appello e confermava le riprese di cui all’avviso di pagamento.
6. Avverso la decisione la società propone il ricorso iscritto all’RGN 5213/2019, affidato a sei motivi, cui resiste l’Agenzia con controricorso.
7. Contro la medesima sentenza del giudice d’appello n.621/2/2018 depositata il 23 novembre 2018, la società proponeva ricorso per revocazione ex art.395 n.4 cod. proc. civ. avanti alla CTR lamentando il fatto che il giudice avrebbe omesso di esaminare i motivi inerenti il merito e la fondatezza della pretesa fiscale richiamate nelle proprie controdeduzioni, limitandosi a pronunciarsi solo sulla preliminare questione relativa alla prescrizione del diritto alla riscossione, come già aveva fatto il giudice di prime cure. La Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, con sentenza n. 154/01/20 depositata in data 1 dicembre 2020, dichiarava l’inammissibilità della proposta revocazione ritenendo che la fattispecie non rientrasse nell’errore revocatorio.
8. In seno al ricorso iscritto all’RGN 14302/2021 la società propone ricorso per cassazione contro la sentenza n. 154/01/20 del giudice d’appello, ricorso affidato a tre motivi, cui replica l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con controricorso.
9. In entrambi i processi la contribuente propone istanza di riunione con discussione orale e deposita memorie illustrative.
Ragioni della decisione
10. Pregiudizialmente, in presenza di stretta connessione soggettiva ed oggettiva tra i processi, in accoglimento dell’istanza della contribuente ex art.274 cod. proc. civ. dev’essere disposta la riunione della controversia più recente, iscritta all’RGN 14302/2021, a quella più risalente iscritta all’RGN 5213/2019.
11. Sulla base di un ordine logico, dev’essere quindi preliminarmente esaminato il ricorso per cassazione RGN 14302/2021 proposto contro la sentenza della CTR resa sul ricorso per revocazione perché, se accolto, inciderebbe in via pregiudiziale sul ricorso per cassazione iscritto all’RGN 5213/2019.
12. Con il primo motivo di ricorso iscritto all’RGN 14302/2021, in relazione all’art. 360, comma l, n. 3) cod. proc. civ., viene prospettata la violazione e falsa applicazione dell’art. 395, n. 4) cod. proc. civ., perché la sentenza della CTR n. 154/01/20 avrebbe erroneamente l negato la sussistenza di un errore di natura revocatoria commesso dal giudice estensore della sentenza n.621/2/2018, pur in presenza di un errore di percezione del contenuto dei propri atti processuali, nello specifico le controdeduzioni, da parte del Giudice adito.
Gli ulteriori due motivi ripropongono la censura declinandola come causa di nullità della sentenza per motivazione apparente in violazione dell’art. 36, co. 2, n. 4) del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, dell’art. 132, co. l, n. 4) cod. proc. civ. e in coerenza con l’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, co. l, n. 4) cod. proc. civ. (seconda censura), nonché di nullità della sentenza per violazione degli artt. 61 e 35 del d.lgs. 546/1992, 276 e 277 cod. proc. civ., 18 disp. att. c.c., 395, co. l, n.4, cod. proc. civ., in rapporto all’art. 360, co. l, n. 4) cod. proc. civ. (terza censura) per aver la CTR mancato di rilevare che la sentenza revocanda era incorsa in errore di percezione circa il contenuto delle controdeduzioni in appello articolate dalla società.
13. In particolare, la società ritiene che l’affermazione contenuta a pag. l della sentenza della CTR n. 621/2/2018, ove si legge che: «in data 25.01.18 si costituisce in giudizio la contribuente mediante deposito di controdeduzioni con le quali insiste per la conferma della sentenza di primo grado», rivelerebbe la mancata percezione da parte di tale Giudice della circostanza che la società contribuente, oltre a difendersi sul motivo di appello proposto dall’Ufficio inerente alla prescrizione, avesse riproposto in secondo grado anche tutte le altre eccezioni e richieste già formulate in primo grado, mentre la sentenza n. 621/2/2018 si pronunciava solo sulla questione della prescrizione accogliendo l’appello e, per l’effetto, confermando le riprese, benché la sentenza di primo grado, impugnata dall’Ufficio, avesse a sua volta deciso solo sulla questione inerente alla presunta prescrizione del diritto dell’Agenzia alla riscossione, senza pronunciarsi sugli altri motivi di ricorso dedotti dalla società, in particolare su quelli relativi al merito della pretesa.
14. I motivi, interconnessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati. La configurabilità dell’errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza o inesistenza di un qualcosa che la realtà effettiva, quale documentata in atti, induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione dei motivi del ricorso (in tal senso, Cass. 28.06. 2005, n. 13915).
E’ infatti condiviso il principio secondo il quale l’errore revocatorio implica il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti, una dalla sentenza e l’altra dai documenti ed atti processuali, con assoluta immediatezza e senza necessità di particolari indagini ermeneutiche o di argomentazioni induttive. Un errore di tal genere, pertanto, non è ravvisabile nel caso di errore che costituisca frutto dell’apprezzamento, implicito od esplicito, delle risultanze processuali, perché l’errore rilevante deve concretizzarsi nella falsa percezione di un atto processuale, e non nella sua omessa od errata valutazione (in tal senso, Cass. 24.02.2005, n. 6511).
La sentenza della CTR n. 621/2/2018, come riporta lo stesso ricorso e come evidenziato dalle difese in sede di discussione orale in udienza, ha dato conto del «deposito di controdeduzioni» da parte della società, e ha preso posizione sul loro contenuto, ritenuto di «conferma della sentenza di primo grado».
Non si tratta di un errore percettivo dunque, ma, eventualmente, di valutazione giuridica rilevante sotto il profilo dell’omessa pronuncia circa le doglianze non decise in primo grado in quanto rimaste assorbite nella decisione del giudice di prime cure ed effettivamente riproposte nelle controdeduzioni, errore peraltro denunciato nel ricorso RGN 5213/2019.
Al rigetto del ricorso RGN 14302/2021 segue la compensazione delle spese di lite, tenuto conto che l’espressione non chiara usata dalla sentenza n. 621/2/2018 ha ragionevolmente imposto alla difesa della società un’ulteriore impugnazione revocatoria in via prudenziale.
15. Con il primo motivo del ricorso RGN 5213/2019 – articolato in rapporto all’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. – viene prospettata la violazione dell’art.112 cod. proc. civ. in cui è incorso il giudice per omessa pronuncia, dal momento che la sentenza impugnata ha deciso unicamente sulla questione afferente alla prescrizione, omettendo di pronunciarsi su tutte le altre doglianze sollevate dalla società contribuente con il ricorso introduttivo e riproposte in sede di controdeduzioni in appello e così poste all’attenzione della CTR.
16. Il motivo è fondato. Dalla lettura della sentenza impugnata appare evidente l’assenza di pronuncia sulle questioni rimaste assorbite in primo grado e riproposte in appello, come era facoltà della società fare in quanto integrale vincitrice in primo grado. In particolare, alle pagg. 12 e 13 del ricorso sono riprodotte le questioni sulle quali il giudice non si è pronunciato, relative a: illegittimità dell’addizionale e dell’accisa e loro non debenza a seguito dell’avvenuta abrogazione della stessa ad opera del d.l 16/2012; qualifica di soggetto “autoproduttore “e, quindi, di “produttore unico” della società, anche nei rapporti con i consorziati, ed conseguente esenzione da accisa e limitazione dell’addizionale; irrilevanza della Circolare delle Dogane e dei Monopoli prot. 130439 del 13 dicembre 2013 per il caso di specie; legittimo affidamento riposto dalla società nella propria qualità di soggetto unico e autoproduttore; danno ingiusto procato alla società.
La CTR, dopo aver statuito differentemente dal giudice di prime cure nel senso che la pretesa impositiva non era stata tardivamente azionata dall’Ufficio, avrebbe poi dovuto pronunciarsi sulle questioni suddette, rimaste assorbite dalla decisione di primo grado la quale aveva accolto la doglianza preliminare circa la prescrizione.
17. L’accoglimento del primo determina l’assorbimento del secondo motivo, relativo alla medesima questione, in cui la prospettata nullità della sentenza ai fini dell’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. viene declinata ai sensi della violazione dell’art.56 del d.lgs. n. 546/1992.
18. Con il terzo motivo – in relazione all’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ. – viene prospettata la violazione e falsa applicazione degli artt.57 del d.lgs. n.504/1995, 12 preleggi, 2935 cod. civ., per aver la sentenza impugnata nel decidere sulla questione della prescrizione, attribuito all’art. 57 citato altro senso da quello fatto palese dal significato proprio delle parole in esso contenute, ritenendo che il dies a qua della prescrizione quinquennale in esso prevista debba essere ricondotto al momento in cui il diritto di accertamento e liquidazione delle imposte sub iudice, accise su consumi di energia elettrica e relative addizionali, avrebbe potuto essere fatto valere, come postula l’art. 2935 cod. civ., nel termine per la presentazione della dichiarazione annuale dei consumi, piuttosto che alla data in cui è avvenuto il consumo, come espressamente previsto nell’art. 57.
Il quarto motivo, agli effetti dell’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ., deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.57 del d.lgs. n.504/1995, 2935 cod. civ., perché la sentenza impugnata ha interpretato le suddette disposizioni nel senso che il termine quinquennale per il recupero delle accise su energia elettrica e relative addizionali decorre dal giorno “ultimo” di scadenza del termine di legge entro cui presentare la dichiarazione di consumo di energia elettrica, invece che dalla data di effettiva presentazione della dichiarazione medesima da parte del contribuente, tenuto conto che l’Ufficio è in condizione di far valere il diritto al più tardi da quest’ultima data e che la scadenza del successivo termine di legge non ha alcuna incidenza su tale condizione.
Con il quinto motivo – agli effetti dell’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ. – viene censurata la decisione di appello con riferimento alle medesime previsioni di legge oggetto delle precedenti censure, nella parte in cui stabilisce che il termine quinquennale decorre dalla data di effettiva presentazione della dichiarazione annuale di consumo da parte del contribuente, data in cui l’Ufficio è condizione di far valere il diritto – e quindi nel caso di specie dal 2 marzo 2009, giorno in cui T. ha (pacificamente) presentato detta dichiarazione -, ma poi individua quel dies a quo, pur rettamente inteso in termini astratti, nel giorno “ultimo” di scadenza del termine di legge entro cui presentare la dichiarazione di consumo di energia elettrica, ritenuto essere il 16 marzo 2009.
19. I tre motivi in disamina, strettamente interconnessi e incentrati sulla statuizione della CTR circa la prescrizione, possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati nei limiti che seguono, quanto all’annualità 2008.
Premesso che i periodi di imposta oggetto di ripresa sono successivi alla riforma introdotta dal d.lgs 2 febbraio 2007 n.26 attuativo della direttiva che ha ristrutturato il quadro comunitario della tassazione di prodotti energetici inclusa l’elettricità, e che sulla questione oggetto di censura non è sostanzialmente mutato il quadro normativa, va rammentato che l’art.57 comma 3 TUA prevede che «il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta è di cinque anni dalla data in cui è avvenuto il consumo. In caso di comportamenti omissivi la prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito».
20. Al proposito, questa Corte con sentenza 19.10.2019 n.26145 ha confermato l’orientamento preesistente della Sezione (ad es. Cass. 3034/2019) secondo il quale è necessario fare riferimento alla presentazione della dichiarazione annuale di cui all’art. 53 comma 8 TUA e 55 comma l TUA per individuare il dies a qua di decorrenza del termine.
Tale insegnamento va ulteriormente precisato, ai fini della soluzione del caso in esame, chiarendo che l’art.57 comma 3 TUA va interpretato alla luce di una chiave sistemica della disciplina sulle accise, in termini non dissimili da quanto avviene per le imposte dirette e I’IVA, secondo il quale il momento dichiarativo è fondamentale per l’accertamento, in quanto attua il tributo.
Non bisogna dunque far riferimento alla scadenza del termine per presentare la dichiarazione annuale, ma alla concreta presentazione della dichiarazione, perché è allora che si integra il momento dichiarativo e viene reso noto il presupposto per l’esercizio dell’azione di recupero dell’accisa. Questa interpretazione, in continuità ed evoluzione dell’insegnamento già saldo in Sezione, non sovrappone le modalità di computo dei termini di accertamento in materia di accise sull’energia elettrica a quelle previste in materia di imposte dirette e di imposizione armonizzata, perché per quelle è rilevante la data di scadenza del termine per presentare la dichiarazione, mentre per le accise ha rilevanza la data di effettiva presentazione della dichiarazione. Il parziale disallineamento è dovuto alle differenze testuali e sistematiche tra l’art 57 e le norme sulla decadenza dei poteri di accertamento quanto all’IVA e alle imposte dirette.
21. Deve dunque farsi riferimento al momento dichiarativo e, in applicazione di tale criterio, va constato nel caso di specie che la pretesa per accise su consumi di energia elettrica e relative addizionali relativa all’annualità 2008 è da considerarsi prescritta, tenuto conto che il PVC è stato notificato il 14 marzo 2014 allorquando il termine prescrizionale quinquennale era già spirato, a fronte di dichiarazione di consumo di energia elettrica presentata dal contribuente il 2 marzo 2009, termine questo da cui decorre la prescrizione, maturatasi dunque il 2 marzo 2014.
I motivi in disamina, nel resto, sono infondati, perché quanto alle annualità 2009 e 2010 il diverso PVC è stato notificato il 24 dicembre 2014 sulla base dell’accertamento fattuale condotto dalla CTR e dunque prima della scadenza del quinquennio, come affermato dalla sentenza impugnata. Va anche dato conto del fatto che a pag.5 del ricorso si riporta (senza riprodurre le relate di notifica) la prospettazione difensiva dell’Agenzia secondo la quale per le due annualità suddette due sarebbero i PVC notificati dall’Amministrazione finanziaria, uno in data 24 dicembre 2014, per l’anno di imposta 2009 e uno in data 16 luglio 2015, per l’anno di imposta 2010, ma ciò non cambierebbe l’esito ai fini della non maturata prescrizione per sua tempestiva interruzione.
22. Con il sesto motivo di ricorso – in rapporto all’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. – si deduce anche la violazione dell’art.115 comma 1 cod. proc. civ.. Con la doglianza il ricorrente contesta la decisione della CTR perché ha ritenuto che la dichiarazione di consumo di energia elettrica sia stata presentata, per l’anno 2008, il 16 marzo 2009 e da tale giorno, inteso quale data di creduta presentazione della dichiarazione, ha fatto decorrere il termine di prescrizione quinquennale, desumendo il mancato decorso del termine quinquennale per essere stato notificato il PVC in data 14 marzo 2014 sia incorsa in violazione dell’art. 115, comma 1, cod. proc. civ., e pertanto del principio di non contestazione. La società precisa che aveva allegato quale data di presentazione della dichiarazione il 2 marzo 2009 e l’Agenzia non aveva mosso al riguardo alcuna contestazione ed anzi aveva confermato l’allegazione, risultando il 2 marzo 2009 quale data di presentazione della dichiarazione concordemente indicata dalle parti.
Tale circostanza sarebbe di rilievo, ove il termine di prescrizione sia calcolato a decorrere dalla data di effettiva presentazione della dichiarazione, così che avrebbe dovuto concludersi che, a fronte di dichiarazione presentata il 2 marzo 2009 per l’imposta del 2008, il relativo termine di prescrizione quinquennale fosse decorso alla data del 2 marzo 2014 e dunque che la notifica del PVC intervenuta il 14 marzo 2014 non fosse in grado di interrompere la prescrizione.
23. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse, essendo già state accolte le precedenti doglianze sulla prescrizione con riferimento all’anno di imposta 2008.
24. Per effetto dell’accoglimento del ricorso N. RG 5213/2019 nei limiti sopra indicati, la sentenza è cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, per ulteriore esame e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Riunisce il ricorso RGN 14302/2021 al ricorso RGN 5213/2019;
rigetta il ricorso RGN 14302/2021 e compensa le spese di lite;
quanto al ricorso RGN 5213/2019, accoglie il primo motivo e, nei limiti di cui in motivazione, i motivi terzo, quarto, quinto, assorbito il secondo e rigettato il ricorso nel resto, cassa la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Basilicata n.621/02/18 depositata in data 23 novembre 2018 e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, per ulteriore esame e per la liquidazione delle spese di lite;
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso RGN 14302/2021, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 -bis, se dovuto.
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