CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 3835 depositata l’ 8 febbraio 2023
Tributi – Avvisi di accertamento – Esposizione di componenti negative non sussistenti – IVA, IRES e IRAP – Fattura emessa per operazione inesistente – Simulazione assoluta della cessione del contratto di leasing – Rigetto
Fatti di causa
1. A seguito di verifica fiscale conclusasi con processo verbale del 24 ottobre 2007, l’Agenzia delle entrate notificò a L.M.S. s.r.l. tre avvisi di accertamento con i quali, in relazione agli anni 2004, 2005 e 2006, venivano ripresi a tassazione maggiori redditi in conseguenza della rilevata esposizione di componenti negative non sussistenti.
Alla società contribuente, nel 2004, era stato ceduto un contratto di leasing di azienda da parte di tale M. s.r.l. Quest’ultima società era interamente posseduta dagli stessi soggetti che detenevano le quote della ricorrente; il corrispettivo, pari ad € 700.000,00, era stato interamente versato in contanti;
e, a distanza di breve tempo dal perfezionanamento dell’affare, la cedente, senza aver assolto ai propri obblighi contrattuali, era stata dichiarata fallita.
Sulla base di tali circostanze, suffragate da ulteriori elementi indicati negli atti impositivi, e quindi sulla ritenuta sussistenza di una continuità soggettiva nell’utilizzo dell’azienda condotta in leasing, l’Amministrazione aveva ritenuto simulato il contratto di cessione.
Da tanto erano conseguiti i seguenti rilievi:
(a) per l’anno di imposta 2004, l’indebita detrazione Iva sulla fattura concernente l’acquisto dell’azienda in leasing, trattandosi di fattura emessa per operazione inesistente;
(b) per l’anno di imposta 2005, e ai fini Iva, Ires e Irap, costi e voci negative di reddito da disconoscere, in quanto inerenti alla medesima operazione negoziale;
(c) un maggior reddito per l’anno di imposta 2006, in seguito al recupero a tassazione di costi non deducibili sulla base del medesimo contratto.
La società impugnò gli avvisi innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, la quale – con due distinte sentenze, l’una concernente i primi due avvisi, l’altra il restante – rigettò i ricorsi.
2. I separati appelli proposti dalla contribuente furono riuniti e decisi in senso a lei sfavorevole dalla Commissione tributaria regionale del Lazio.
I giudici regionali ritennero fittizia l’operazione di leasing, realizzata allo scopo di far detrarre l’Iva a L.M. s.r.l., mentre la simulata cedente si trasferiva all’estero e cessava la propria attività, sottraendosi così a tutti gli adempimenti fiscali dovuti in ragione della cessione; di qui la sussistenza di una fatturazione su operazioni inesistenti, idonea a generare in capo alla contribuente un credito di imposta nei confronti
dell’Amministrazione per assolvere ai propri debiti tributari, che giustificava il ricorso dell’Erario all’accertamento di tipo induttivo, in effetti utilizzato nella specie.
3. Avverso detta sentenza la società contribuente – successivamente posta in liquidazione, e della quale medio tempore è intervenuto il fallimento – ha proposto ricorso per cassazione affidato a nove motivi. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo di ricorso denunzia omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
La società contribuente si duole del fatto che la C.T.R. non abbia preso in considerazione gli elementi probatori da lei evidenziati al fine di escludere che vi fosse continuità nell’utilizzo dell’azienda fra le parti del contratto.
1.1. La censura è inammissibile ai sensi dell’art. 348-ter cod. proc. civ., vertendosi in fattispecie nella quale la ricorrente è risultata soccombente in entrambi i giudizi di merito, sulla base di statuizioni fondate sui medesimi rilievi in fatto, che hanno disatteso i diversi argomenti – sostanziali e probatori – da lei proposti.
2. Con il secondo motivo, denunziando violazione degli artt. 1414 e 2697 cod. civ., la ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza di una simulazione assoluta della cessione del contratto di leasing.
Assume, al riguardo, che tale decisione sarebbe fondata sul solo ed obiettivo rilievo di un sostanziale collegamento fra le società parti del contratto, senza alcuna considerazione di ulteriori circostanze soggettive di segno contrario, in specie attinenti ai motivi economici dell’affare, e ciò quantunque la giurisprudenza di questa Corte evidenzi la necessità di tener conto, nell’ambito di tale verifica, anche di tali circostanze.
Detto motivo può essere scrutinato unitamente al quinto, con il quale, denunziando violazione dell’art. 1414, commi primo e secondo, cod. civ., la ricorrente si duole del fatto che la C.T.R., pur essendo emerso che l’azienda ceduta in leasing era anche da lei sostanzialmente utilizzata, essendo conforme al suo oggetto sociale, abbia comunque ritenuto sussistere un’ipotesi di simulazione assoluta.
2.1. Entrambi i motivi sono inammissibili.
Con essi, dietro l’apparente denunzia di una violazione di legge, la ricorrente sollecita infatti il riesame dei complessivi elementi fattuali della vicenda, già oggetto di apprezzamento da parte dei giudici di merito, e come tale estraneo al perimetro proprio del presente giudizio di legittimità.
3. Con il terzo motivo di ricorso, denunziando violazione dell’art. 2359 cod. civ., la società contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, quale circostanza prodromica al rilievo della simulazione, ha affermato sussistere l’appartenenza delle parti contraenti «al medesimo gruppo societario», rimarcandone il collegamento, e perciò negandone la distinta personalità giuridica.
Una tale affermazione, ad avviso della ricorrente, si porrebbe in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il collegamento fra imprese gestite da società di un medesimo gruppo non fa venir meno l’autonomia soggettiva di queste.
3.1. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi.
La ricorrente, infatti, si sofferma su espressioni utilizzate dalla sentenza d’appello a corredo del proprio percorso argomentativo – che la censura non scalfisce – sovrapponendovi proprie considerazioni, quale quella sulla mancanza di soggettività autonoma delle parti contraenti, che non trovano alcun riscontro nel provvedimento impugnato.
Vero è, piuttosto e come già poc’anzi rilevato, che in punto all’affermata appartenenza delle società parti del contratto di leasing «al medesimo gruppo societario», la sentenza d’appello ha ritenuto persuasiva la pluralità degli elementi fattuali riportati in seno all’atto impositivo, con apprezzamento in fatto che in questa sede non può essere confutato.
4. Il quarto mezzo deduce violazione dell’art. 102 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3.
Secondo la ricorrente, l’affermata sussistenza di una cessione simulata del contratto avrebbe dovuto indurre i giudici di merito a disporre l’integrazione del contraddittorio anche nei confronti della cedente, la quale – peraltro – avrebbe avuto interesse a contraddire in relazione al tema del pagamento del corrispettivo.
4.1. La censura è manifestamente infondata.
Invero, l’accertamento della simulazione è circostanza che, nel presente giudizio, rileva solo in via incidentale, ovvero quale elemento significativo dell’accertata emissione di fatture per operazioni inesistenti e delle conseguenti violazioni fiscali.
Il litisconsorzio necessario con tutte le parti (effettive e simulate) del contratto sussiste, invece, solo laddove la domanda principale sia volta a far rilevare l’apparenza contrattuale, ovvero a che sia data esecuzione al contratto del quale venga invece eccepita la simulazione (v. ad es. Cass. n. 13388/2018; Cass. n. 9618/2014; Cass. n. 8957/2014); ma si tratta, evidentemente, di tema del tutto estraneo all’accertamento del credito tributario.
5. Il sesto, settimo e ottavo motivo possono essere scrutinati congiuntamente in quanto connessi.
Con il primo di essi, infatti, la ricorrente, denunziando violazione dell’art. 3, commi secondo e terzo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, assume che, anche a voler ritenere simulata la cessione per mancanza di prova del versamento del prezzo, sarebbe emersa la sussistenza di un’operazione a titolo gratuito che, in quanto inerente alla sua attività di impresa, dava luogo a prestazioni soggette ad Iva.
Con il successivo mezzo di gravame, poi, denunziando violazione dell’art. 2, comma primo e comma secondo, num. 4, del medesimo decreto, rileva che sarebbe comunque stato assoggettato ad Iva il trasferimento delle merci giacenti nel magazzino, quantunque accedente ad un contratto a titolo gratuito.
Con l’ottavo motivo, infine, denunziando violazione dell’art. 3, comma primo, comma secondo, num. 1, e comma terzo, svolge analoghe considerazioni per l’Iva sulla concessione di beni in locazione.
5.1. Tutte e tre le censure non superano il vaglio di ammissibilità, riferendosi ad un’argomentazione – quella in base alla quale la cessione del contratto di leasing sarebbe avvenuta a titolo gratuito – mai dedotta in giudizio prima d’ora dalla ricorrente, che ha sempre (ed anche nella presente sede) rappresentato la sussistenza di una reale operazione di cessione di leasing finanziario.
6. Da ultimo, l’ottavo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 109, comma quinto, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
La contribuente sostiene che non potrebbe comunque dubitarsi del fatto che gli oneri da lei sostenuti per la gestione dell’azienda – quali i canoni di leasing, quelli di locazione dell’immobile, le spese per utenze ed altri – siano effettivi e inerenti, e come tali deducibili dal proprio imponibile; critica, pertanto, la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la pretesa erariale in parte qua.
6.1. Anche tale motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi.
I giudici d’appello, infatti, hanno escluso la deducibilità dei costi a valle del rilievo dell’esistenza di operazioni inesistenti; essi, pertanto, non hanno indagato circa il fatto che i costi fossero o meno deducibili in ragione della sussistenza dei requisiti di effettività e inerenza, ma ne hanno tratto il convincimento negativo quale diretta conseguenza dell’inesistenza dell’operazione che li avrebbe generati.
7. Il ricorso è pertanto complessivamente meritevole di rigetto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 12.000,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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