CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 3858 depositata l’ 8 febbraio 2023
Tributi – IRPEG – Rimborso – Prescrizione del potere di rettifica – Termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei crediti e non dei debiti dell’Amministrazione finanziaria – Accoglimento
Fatti di causa
1. Con provvedimento del 21 giugno 2011 l’Agenzia delle entrate – Ufficio territoriale II di Torino opponeva alla società F.P. s.p.a. (ora FCA R.E.S. s.p.a., d’ora innanzi: F.R. s.p.a.) il diniego totale al rimborso del credito IRPEG di € 2.146.196,00, risultante dalla dichiarazione fiscale per l’anno d’imposta 1999 presentata dall’allora T.P. s.p.a., poi incorporata nella predetta T.P. s.p.a.
2. Avverso tale provvedimento di diniego la T.P. s.p.a. proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino la quale, con sentenza n. 58/08/2012 del 10 aprile 2012, lo rigettava, confermando la legittimità dell’operato dell’Ufficio.
3. Interposto gravame dalla T.P. s.p.a., la Commissione tributaria regionale del Piemonte, con sentenza n. 782/31/2015, pronunciata il 10 luglio 2014 e depositata il 21 luglio 2015, accoglieva l’appello, compensando le spese.
4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso la F.R. s.p.a., già F.P. s.p.a.
5. All’udienza pubblica del 14 ottobre 2022 il consigliere relatore ha svolto la relazione e – a seguito di istanza ex art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 -il P.M. ed i procuratori delle parti hanno svolto la discussione orale, rassegnando le rispettive conclusioni.
Ragioni della decisione
6. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 2946 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ. Deduce, in particolare, la ricorrente che erroneamente la C.T.R. avrebbe ritenuto l’Ufficio decaduto dal potere di controllo della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 1999, per intervenuta prescrizione del potere di rettifica, e per essere, il credito esposto dalla contribuente nella dichiarazione dei redditi, ormai consolidato, per essere stato, il diniego di rimborso, notificato oltre il termine di prescrizione decennale per l’esercizio del diritto di rettifica, termine decorrente dalla presentazione della stessa dichiarazione.
Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, 42 del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., in quanto, trattandosi di diniego di rimborso, l’Amministrazione non aveva un particolare onere di motivazione, tanto è vero che essa non era tenuta neanche ad emettere un provvedimento espresso, potendo anche serbare il silenzio che, decorso il termine di legge, diventa significativo, valendo come rigetto dell’istanza, ed essendo onere del contribuente dimostrare, invece, la sussistenza del diritto al rimborso.
7. Orbene, ciò posto, deve innanzitutto essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa della società contribuente.
Sul punto, va rilevato che la controricorrente ritiene che la sentenza impugnata, in punto di affermazione del diritto al rimborso, sia passata in giudicato, in quanto ha ritenuto che il termine decennale di prescrizione ordinaria trova applicazione anche nei confronti del diritto potere dell’Agenzia delle entrate di contestare il credito esposto in dichiarazione. Inoltre, sempre secondo la controricorrente, la sussistenza del diritto al rimborso sarebbe stata, quanto meno implicitamente, riconosciuta dall’Ufficio mediante l’invito del 29 settembre 2008 a regolarizzare la propria posizione fiscale con il pagamento delle cartelle esattoriali, ovvero a produrre documentazione dell’avvenuto pagamento, al fine di poter procedere alla convalida del rimborso in oggetto.
L’eccezione è totalmente infondata.
Innanzitutto, deve rilevarsi che la questione della rilevanza della decorrenza del termine decennale di prescrizione ai fini dell’eventuale decadenza dal potere di controllo e del “consolidamento” del credito esposto in dichiarazione costituisce l’oggetto del primo motivo di ricorso, e quindi sul punto non può assolutamente affermarsi il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.
Per quel che riguarda, invece, la comunicazione del 29 settembre 2008, ad essa non può assolutamente riconoscersi natura di riconoscimento del debito, in quanto con essa l’Ufficio si è limitata a richiedere la regolarizzazione della posizione fiscale, con riferimento ad alcune cartelle di pagamento, ovvero la documentazione dell’avvenuto pagamento, “al fine di poter procedere alla convalida del rimborso in oggetto”, e quindi trattasi di un mero atto endoprocedimentale, così come peraltro ritenuto dalla stessa C.T.R.
8. Con riferimento ai motivi di ricorso, osserva la Corte quanto segue.
8.1. Il primo motivo è fondato.
La C.T.R. ha ritenuto sussistente il diritto al rimborso, in quanto il credito indicato nella dichiarazione dei redditi ai fini IRPEG per l’anno 1999, presentata nel 2000, non era stato oggetto di alcuna rettifica successiva entro il termine di dieci anni dalla presentazione della dichiarazione, ragion per cui il credito in questione si sarebbe “cristallizzato” nell’an e nel quantum, rimanendo così preclusa ogni contestazione dei fatti che hanno originato la richiesta di rimborso.
Sul punto, va tuttavia rilevato che le sezioni unite di questa Corte, risolvendo un precedente contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che «in tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio “quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum”» (Cass., sez. U., 15 marzo 2016, n. 5069).
Ancorché simile soluzione susciti una certa disarmonia nel sistema in quanto, decorso il termine per l’accertamento, alla Amministrazione viene consentito di contestare il contenuto di un atto del contribuente solo nella misura in cui tale contestazione consente alla Amministrazione di evitare un esborso, e non invece sotto il profilo in cui la medesima contestazione comporterebbe la affermazione di un credito della Amministrazione, essa è comunque coerente con il principio di diritto che si trae dall’art. 1442, quarto comma, cod. civ., a mente del quale il contraente legittimato all’azione di annullamento del contratto può far valere la causa di annullabilità a titolo di eccezione – anche decorso il termine di prescrizione dell’azione – per contrastare l’iniziativa della controparte che lo abbia convenuto per ottenere l’adempimento.
Ne consegue, pertanto, che la sentenza impugnata debba, in parte qua, essere cassata, avendo ritenuto che l’Amministrazione non potesse più contestare il credito, nel mentre, poiché il contribuente riveste, in caso di richiesta di rimborso, la qualità di attore in senso sostanziale (ed ha quindi l’onere di provare i fatti posti a fondamento del diritto al rimborso), la stessa Amministrazione può in qualunque momento eccepire l’inesistenza del credito.
8.2. Anche il secondo motivo è fondato.
Ed invero, costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale «non potendosi attribuire alla motivazione del provvedimento di rigetto (equivalente, peraltro, al c.d. silenzio-rifiuto, del pari impugnabile) il carattere dell’esaustività, può ritenersi adeguata una motivazione del diniego che delinei gli aspetti essenziali delle ragioni del provvedimento, e che si fondi sull’insussistenza dei presupposti per il rimborso, richiamando altresì le norme di riferimento e gli eventuali provvedimenti adottati» (Cass. 5 maggio 2010, n. 10797; v. anche Cass. 18 aprile 2014, n. 8998).
Nel caso di specie, dal ricorso dell’Agenzia delle entrate si evince che il provvedimento di diniego appare adeguatamente motivato (v. pag. 2-3-4-5 del ricorso, che riportano il contenuto del provvedimento di diniego), ragion per cui, anche sotto questo profilo, la sentenza impugnata appare non corretta.
9. Consegue quindi l’accoglimento del ricorso.
La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, per nuovo giudizio, nonché per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, per nuovo giudizio, nonché per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
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