CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 3878 depositata l’ 8 febbraio 2023
Tributi – Avviso di accertamento IRAP – C.d. rottamazione delle frequenze – Cessione della radiofrequenza televisiva – Trattamento fiscale a fini IRAP della misura compensativa ricevuta dalla società per la cessione volontaria delle frequenze televisive – Accoglimento – la tecnica di redazione dei cosiddetti ricorsi <<assemblati>> o <<farciti>> implica una pluralità di documenti integralmente riprodotti all’interno del ricorso, senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti. Tale eccesso di documentazione integrata nel ricorso non soddisfa la richiesta alle parti di una concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione
Fatti di causa
1. La Commissione tributaria provinciale di Vicenza respingeva il ricorso della s.r.l. C.V. avverso un avviso di accertamento relativo ad IRAP per l’anno d’imposta 2012, in relazione al contributo di euro 1.660.295,44 previsto per la c.d. rottamazione delle frequenze.
2. La Commissione tributaria regionale del Veneto accoglieva l’appello della parte contribuente; in particolare affermava che la cessione della radiofrequenza televisiva, pur avvenuta su base volontaria, avesse natura sostanzialmente espropriativa perché la perdita della possibilità di utilizzare la frequenza utilizzata per legge provoca una decisiva perdita di efficienza televisiva dell’azienda che basa la propria attività sulla disponibilità della banda di frequenza mediante la quale veicolare il proprio prodotto televisivo; ne consegue la sostanziale perdita di valore dell’azienda stessa e quindi un danno emergente dalla necessaria ottemperanza al dettato normativo cosicché l’indennità ricevuta ha natura risarcitoria e straordinaria, erogata dallo Stato al fine di risarcire il danno emergente derivato dalla cessione delle frequenze, risarcimento sul quale l’IRAP non è dovuta.
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate, affidato ad un motivo di impugnazione.
La società si è costituita con controricorso e in prossimità dell’udienza camerale ha deposito memoria insistendo per il rigetto del ricorso.
Con ordinanza depositata in data 6 luglio 2022 la sesta sezione della Corte ha rimesso la causa alla sezione ordinaria, ove è stata rimessa alla pubblica udienza del 6 dicembre 2022, svoltasi nelle forme di cui all’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte per l’accoglimento del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Oggetto di lite è il trattamento fiscale a fini IRAP della misura compensativa ricevuta dalla società per la cessione volontaria delle frequenze televisive ad essa in uso, prevista dall’art. 1, comma 9,della l. 13 dicembre 2010, n. 220, nel quadro delle procedure per l’assegnazione di diritti d’uso di frequenze radioelettriche da destinare a servizi di comunicazione elettronica mobili in larga banda, e dal successivo decreto ministeriale MISE 23 gennaio 2012.
L’art. 1, comma 9, della l. n. 220 del 2010 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato) infatti, nel quadro delle procedure per l’assegnazione di diritti d’uso di frequenze radioelettriche da destinare a servizi di comunicazione elettronica mobili in larga banda con l’utilizzo della banda 790-862 MHz, ha previsto un successivo decreto ministeriale <<per definire i criteri e le modalità per l’attribuzione, entro il 31 dicembre 2011, in favore degli operatori abilitati alla diffusione di servizi di media audiovisivi in ambito locale, di misure economiche di natura compensativa, a valere sugli introiti della gara di cui al comma 8, per una percentuale pari al 10 per cento degli introiti della gara stessa e comunque per un importo non eccedente 240 milioni di euro, finalizzate al volontario rilascio di porzioni di spettro funzionali alla liberazione delle frequenze di cui al comma 8>>.
In attuazione di tale legge, è stato emanato il d.m. MISE 23 gennaio 2012 (Attribuzione di misure compensative finalizzate al volontario rilascio di porzioni di spettro funzionali alla liberazione delle frequenze della banda 790-862 MHz) che all’art. 1, comma 2, dopo aver determinato l’ammontare complessivo dello stanziamento, prevede, nella determinazione della misura, che <<L’importo di cui al comma 1 viene ripartito, per ogni regione indicata nella Tabella A di cui al seguente comma 3 e già digitalizzata alla data di entrata in vigore della legge 13 dicembre 2010, n. 220, e successive modificazioni e integrazioni, in relazione alla popolazione della singola regione e all’effettivo numero di frequenze da liberare, tenuto conto dei diritti d’uso di frequenze in tecnica digitale in ambito locale rilasciati in ognuna delle suddette regioni in coincidenza con il passaggio al digitale, delle esigenze di coordinamento internazionale e degli accordi procedimentali. L’importo così determinato per ogni regione viene ripartito per ogni frequenza, equivalente nell’ambito di ciascuna regione, da liberare. L’importo per ogni frequenza di ciascuna regione, indicato nella Tabella B di cui al seguente comma 3, costituisce la misura compensativa per ogni frequenza di ambito regionale rilasciata>>.
L’art. 11-bis del d.l. n. 69 del 2013, conv. in l. n. 98 del 2013, in vigore dal 21 agosto 2013, ha regolato tale contributo solo a fini IRES, prevedendo che dette misure economiche compensative percepite dalle emittenti televisive locali a titolo risarcitorio a seguito del volontario rilascio delle frequenze siano da qualificare come contributi in conto capitale di cui all’art. 88, terzo comma, lett. b), t.u.i.r. (con conseguente possibilità di farli concorrere, in quote costanti nell’esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi esercizi non oltre il quarto), ma nulla ha disposto in merito al trattamento a fini IRAP.
2. La CTR ha ritenuto che la misura avesse natura risarcitoria della perdita di valore dell’azienda e quindi di provento a carattere straordinario (parlando anche di <<natura sostanzialmente espropriativa>>).
3. Con l’unico motivo d’impugnazione, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 6, 7, 8 e 11 del d.lgs. n. 446 del 1997, nonché del d.l. n. 69 del 2013, conv. in l. n. 98 del 2013, anche nel relativo combinato disposto, in quanto i contributi, di qualsiasi genere essi siano, concorrono a determinare la base imponibile a fini IRAP.
Deduce in particolare che:
– l’art. 5 del d.lgs. n. 446 del 1997 prevede che la base imponibile IRAP sia determinata in base al conto economico e la stessa parte aveva inserito il componente positivo di reddito non tra i proventi straordinari (voce E) ma nel valore della produzione, tra i ricavi delle vendite e delle prestazioni (voce A);
– tutti i contributi concorrono a formare la base imponibile IRAP se la legge nulla prevede in merito alla loro esclusione o alla necessità di correlazione con i costi indeducibili (medesimo art. 5, comma 3);
– i contributi in esame non sono qualificabili come corrisposti a fronte di cessione d’azienda o di ramo d’azienda.
4. La società eccepisce l’inammissibilità del ricorso:
– per violazione del principio di autosufficienza e per essere il ricorso c.d. assemblato;
– per violazione dei principi di specificità e chiarezza;
– perché esso è volto a chiedere alla Corte un sindacato sul giudizio di fatto contenuto nella sentenza;
– per l’esistenza di un giudicato interno sulla ritenuta natura espropriativa della cessione volontaria.
Inoltre, la società ripropone alcuni dei motivi non esaminati (tra cui la possibilità di far concorrere il contributo su più annualità e le doglianze in tema di sanzioni).
Occorre quindi preventivamente esaminare le eccezioni della controricorrente società.
4.1. L’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza e per la riproduzione integrale di alcuni atti di causa è infondata.
Va premesso che, come è noto, la tecnica di redazione dei cosiddetti ricorsi <<assemblati>> o <<farciti>> implica una pluralità di documenti integralmente riprodotti all’interno del ricorso, senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti.
Tale eccesso di documentazione integrata nel ricorso non soddisfa la richiesta alle parti di una concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticità che deve informare l’intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo), impedisce di cogliere le problematiche della vicenda e comporta non già la completezza dell’informazione, ma il sostanziale <<mascheramento>> dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso. La Corte di cassazione, infatti, non ha l’onere di provvedere all’indagine ed alla selezione di quanto è necessario per la discussione del ricorso (Cass. 04/04/2018, n. 8245).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno osservato che il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, previsto dall’art. 366, n. 3, cod. proc. civ. è preordinato allo scopo di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa, dell’esito dei gradi precedenti, con eliminazione delle questioni non più controverse, e del tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura (Cass. 17/07/2009, n. 16628). E’ stato, altresì, precisato (Cass. 02/05/2013, n. 10244) che la pedissequa riproduzione di atti processuali e documenti, ove si assuma che la sentenza impugnata non ne abbia tenuto conto o li abbia mal interpretati, non soddisfa il requisito di cui all’art. 366, n. 3, cod. proc. civ. in quanto costituisce onere del ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale, funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, al fine di evitare di delegare alla Corte un’attività, consistente nella lettura integrale di atti e documenti assemblati, finalizzata alla selezione di ciò che effettivamente rileva ai fini della decisione, che, inerendo al contenuto del ricorso, è di competenza della parte ricorrente e, quindi, del suo difensore.
Ciò premesso, nella specie, può però trovare applicazione il principio espresso da questa Corte, in base al quale tali considerazioni non valgono ove il coacervo dei documenti integralmente riprodotti, essendo facilmente individuabile ed isolabile, possa essere separato ed espunto dall’atto processuale, la cui autosufficienza, una volta resi conformi al principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali, dovrà essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi (Cass. 19/05/2017, n. 12641; Cass. 18/09/2015, n. 18363), il che è quanto accade nel caso di specie, ove la riproduzione di alcuni passaggi degli atti dei gradi precedenti non ostacola la comprensione del motivo di ricorso e la sua riferibilità alla decisione impugnata.
4.2. Altrettanto infondata è l’eccezione di inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza, avendo l’Agenzia ritrascritto o riassunto le parti rilevanti degli atti di causa e delle sentenze.
4.3. Infondata è poi l’eccezione che evidenzia che il ricorso mirerebbe ad una nuova valutazione del fatto, non potendosi ritenere <<fatto>> la qualificazione della misura in esame, regolata da norme di legge.
4.4. Devono ritenersi infondate anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione della ritenuta natura espropriativa della cessione da cui ha avuto origine il contributo oggetto di lite e l’eccezione di inammissibilità per mancanza di argomentazione in relazione alle norme che il giudice avrebbe violato.
La CTR, nel motivare la propria statuizione di accoglimento, ha espressamente dichiarato di accogliere i motivi di impugnazione nn. 7 e 8 (con cui la società deduceva la non tassabilità della somma ricevuta perché componente straordinaria di reddito configurabile plusvalenza o contributo in conto capitale a copertura di perdita di valore aziendale) e ha ritenuto che la misura avesse natura risarcitoria della perdita di valore dell’azienda e quindi di provento a carattere straordinario (parlando anche di <<natura sostanzialmente espropriativa>>).
Deve ritenersi quindi che, a prescindere dalle imprecisioni terminologiche, abbia inteso accogliere la tesi della società che riteneva che si trattasse di contributo in conto capitale volto a coprire la diminuzione di valore aziendale per la perdita di un suo asset e che il riferimento alla natura <<sostanzialmente espropriativa>> abbia funzione meramente descrittiva, funzionale a illustrare il carattere straordinario dell’entrata, il che è proprio l’oggetto della censura dell’amministrazione.
5. Occorre quindi esaminare il merito del ricorso.
5.1. Ai fini IRAP, si rammenta che il principio generale che sorregge il relativo sistema impositivo è quello della <<presa diretta da bilancio>> delle voci espressamente individuate e considerate rilevanti ai fini impositivi.
In particolare, l’abrogazione dell’articolo 11-bis del d.lgs. n. 446 del 1997 – che riconosceva la rilevanza nell’IRAP delle variazioni fiscali effettuate ai fini delle imposte sul reddito – ha determinato lo <<sganciamento>> del tributo regionale dall’imposta sul reddito stesso rendendo, in tal modo, le modalità di calcolo del tributo più aderenti ai criteri adottati in sede di redazione del bilancio di esercizio.
L’art. 4 prevede, quale base imponibile IRAP, il valore della produzione netta e l’art. 5, nella formulazione vigente ratione temporis, specifica, per le società, che essa è determinata dalla differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A e B dell’art. 2425 cod. civ., come risultanti dal conto economico dell’esercizio, con esclusione di alcune voci di costo.
Nella formulazione vigente ratione temporis dell’art. 2425 cod.civ. la voce E.20 del conto economico doveva esporre i proventi straordinari e tale voce era irrilevante a fini IRAP, ove, come visto, rileva il valore della produzione inteso come differenza tra le voci attive A da 1 a 5 e le voci passive, con alcune esclusioni (successivamente l’art. 2425 cod. civ. è stato riformato in parte qua e non prevede più una voce autonoma per oneri e proventi straordinari).
5.2. L’art. 11, comma 3, e poi, a seguito della modifica di cui all’art. 1, comma 50, dovuta alla l. n. 244 del 2007, l’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997 prevede che <<i contributi erogati in base a norma di legge, fatta eccezione per quelli correlati a costi indeducibili, … concorrono in ogni caso al valore della produzione>>.
Con documento di prassi (la risoluzione n. 330/E del 21 ottobre 2002) l’Agenzia ha precisato che <<la correlazione richiesta dalla norma deve essere diretta e tale da individuare e vincolare in modo preciso ed inequivocabile la destinazione del contributo erogato. Deve sussistere cioè un rapporto nessiologico – reso esplicito dalla legge istitutiva – tra la somma erogata a titolo di contributo e il corrispondente componente negativo>>. La medesima risoluzione ha inoltre chiarito che concorrono alla determinazione della base imponibile IRAP <<i contributi la cui quantificazione viene meramente parametrata a determinati elementi negativi, ancorché non deducibili>>.
In sostanza, ai fini dell’esclusione dalla base imponibile IRAP di contributi erogati a norma di legge è necessario che sussista una correlazione diretta fra la somma erogata e il componente negativo non deducibile (ad esempio, costi per il personale), tale da individuare e vincolare in modo preciso e inequivocabile la destinazione del contributo erogato.
La giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio di diritto, che qui si condivide e si fa proprio, secondo cui in tema di imposta regionale sulle attività produttive, l’art. 11, comma 3, d.lgs. n. 446 del 1997, nel prevedere che i contributi erogati a norma di legge non concorrano alla determinazione della base imponibile nel caso in cui essi siano correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione, esclude l’imponibilità soltanto in presenza di una specifica previsione, nella legge istitutiva, della correlazione tra il contributo ed un componente negativo indeducibile, con la conseguenza che l’assenza della specifica indicazione normativa non può essere surrogata dalla mera affermazione dell’imprenditore di avere utilizzato il contributo per coprire spese non deducibili, quali, ad esempio, quelle per il personale (cfr. Cass. 28/05/2010, n. 13160; Cass. 15/06/2010, n. 14415; Cass. 21/05/2014, n. 11147; Cass. 06/05/2022, n. 17177).
Si è data ulteriore continuità a tali principi affermandosi l’imponibilità, ai fini IRAP, dei contributi erogati alle aziende di trasporto pubblico locale sull’assorbente rilievo che non si può configurare una correlazione diretta tra detti contributi ed i costi non deducibili, costituiti dalle spese per il personale (agli effetti di cui al d.lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 3), e considerato che nè la legge istitutiva nè altre disposizioni normative hanno previsto espressamente che tali contributi debbano essere esclusi dalla base imponibile ai fini del calcolo di tale imposta (Cass. 22/03/2019, n. 8179).
La l. n. 289 del 2002, art. 5, comma 3, quale norma di interpretazione autentica del predetto art. 11 (Cass., Sez. U.,14/10/2009, n. 21749), ha stabilito, con una interpretazione appunto restrittiva, che <<la disposizione contenuta nel d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 11, comma 3, secondo la quale i contributi erogati a norma di legge concorrono alla determinazione della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive, fatta eccezione per quelli correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione, deve interpretarsi nel senso che tale concorso si verifica anche in relazione a contributi per i quali sia prevista l’esclusione dalla base imponibile delle imposte sui redditi, sempre che l’esclusione dalla base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive non sia prevista dalle leggi istitutive dei singoli contributi ovvero da altre disposizioni di carattere speciale>>.
6. Premesse tali considerazioni, nel caso di specie, è stata la stessa parte a inserire il contributo nell’attivo del conto economico tra i ricavi e non tra i proventi straordinari (la individuazione dei componenti ordinari e straordinari tra i proventi dipende dalle caratteristiche dell’impresa, e la scelta degli amministratori dovrà obbedire al rispetto dei principi di chiarezza e veridicità), laddove l’IRAP, come visto, è regolata in primo luogo dalle risultanze del conto economico, circostanza che la CTR ha invece del tutto omesso di esaminare, evidenziando una natura <<espropriativa>> che non sembra dedotta in lite, così come ha omesso di indagare la correlazione del contributo con costi indeducibili.
7. La sentenza impugnata va quindi, in accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle entrate, cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, per la presenza di questioni non esaminate, e alla quale è demandato di regolare altresì le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, cui demanda di regolare altresì le spese del giudizio di legittimità.
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