CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 4105 depositata il 9 febbraio 2023
Tributi – Avviso di accertamento IRPEF – Avviso di rettifica e liquidazione ai fini dell’imposta di registro – Cessione d’azienda – Valore di cessione dell’azienda – Determinazione della plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende – Accoglimento
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Varese, in data 16 settembre 2011, notificava alla società P. di P. M. & C. s.a.s. (società cessata con effetti dall’8 gennaio 2009), in persona di ciascuno dei soci e dei legali rappresentanti P. M.D., P.C. e P.A.E., l’avviso di accertamento n. T9302TC01487/2011, accertando per l’anno d’imposta 2008 un maggior reddito d’impresa di € 153.644,00; nello stesso giorno l’Agenzia delle entrate notificava ai sopracitati soci, accomandanti ed accomandatari, avviso di accertamento IRPEF, mediante il quale l’accertato reddito d’impresa veniva ripartito quale reddito da imputare ai soci, in ragione delle quote possedute da ciascuno.
In particolare, con l’avviso di accertamento n. T9301TC01511/2011, notificato a P.A.E., veniva accertato, ai fini IRPEF, un maggior reddito di partecipazione di € 76.822,00, in quanto lo stesso risultava socio della P. s.a.s. nella misura del 50%.
Tali accertamenti si fondavano sull’antecedente avviso di rettifica e liquidazione n. 20081T002329000, emesso ai fini dell’imposta di registro, notificato alla società ed ai singoli soci, in relazione all’atto di cessione di azienda, registrato a Gavirate il 15 maggio 2008 al n. 2329, serie 1T, con la quale la società P. di P. M. & C. s.a.s. aveva venduto alla società F.T. s.r.l. in liquidazione l’azienda sita in Varese, avente ad oggetto l’attività di bar, ristorante e pizzeria, per il valore dichiarato di € 70.000,00, valore che veniva rettificato in € 434.917,00. Per tale avviso di rettifica la parte acquirente procedeva ad accertamento con adesione, concordato il valore di cessione in € 223.103,00, e provvedeva al pagamento integrale dell’imposta dovuta.
2. Gli avvisi di accertamento suddetti n. T9302TC01487/2011 e n. T9301TC01511/2011 venivano impugnati, con distinti ricorsi, dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Varese la quale, previa riunione degli stessi ricorsi, con sentenza n. 20/05/2013 li rigettava, condannando le parti ricorrenti alla rifusione delle spese legali in favore dell’Ufficio.
3. Interposto gravame dai contribuenti, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 5637/33/2014, pronunciata il 23 giugno 2014 e depositata in segreteria il 31 ottobre 2014, rigettava l’appello, condannando gli appellanti alla rifusione delle spese di lite.
4. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la P. di P. M. & C. s.a.s., in persona dei soci P.A.E., P. M.D., P.C., nonché P.A.E., sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
5. All’udienza pubblica del 26 ottobre 2022 il consigliere relatore ha svolto la relazione ed il P.M. ed i procuratori delle parti hanno rassegnato le proprie conclusioni ex art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. in l. 18 dicembre 2020, n. 176.
Ragioni della decisione
6. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 46 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Lamentano, in particolare, i contribuenti che gli accertamenti impugnati si basavano su un precedente avviso di rettifica e liquidazione di imposta di registro, in relazione all’atto di cessione di azienda registrato a Gavirate il 15 maggio 2008 (al n. 2329, serie 1T), atto che era stato impugnato ed in relazione al quale la C.T.P. di Varese, con sentenza n. 124/03/2011, confermata dalla C.T.R. della Lombardia/Milano n. 106/19/2013, aveva pronunciato sentenza di cessazione della materia del contendere, in quanto l’imposta di registro era stata integralmente pagata dalla società acquirente, ragion per cui nessun accertamento definitivo della plusvalenza indicata ai fini dell’imposta di registro poteva essere opposto ai contribuenti ai fini della determinazione dell’imponibile IRPEF.
Con il secondo motivo di ricorso i contribuenti eccepiscono violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 38 e 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 68 d.PR. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) e degli artt. 52 e 57 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ. Deducono, in particolare, i ricorrenti che i giudici d’appello avrebbero errato nel considerare il “valore di cessione” dell’azienda, definito in adesione dalla parte acquirente, rilevante ai fini del reddito da loro effettivamente conseguito e riscosso nell’anno d’imposta 2008, attribuendo a detto valore di cessione valenza probatoria anche nei confronti della parte venditrice, e quindi utilizzabile anche in sede di accertamento della plusvalenza realizzata dal venditore nell’àmbito delle imposte dirette.
Con il terzo motivo di ricorso, infine, i ricorrenti eccepiscono violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2312, 2324 e 2495, secondo comma, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., in quanto la società P. s.a.s. era stata cancellata dal registro delle imprese prima della notificazione degli avvisi di accertamento, e pertanto questi dovevano ritenersi nulli.
7. Procedendo quindi allo scrutinio dei motivi di ricorso, osserva la Corte quanto segue.
7.1. Il primo motivo è infondato.
L’Agenzia delle entrate, invero, non ha fondato l’accertamento del maggior reddito sul giudicato di cessazione della materia del contendere formatosi in merito all’impugnazione dell’avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro relativo all’atto di cessione di azienda registrato a Gavirate il 15 maggio 2008, ma ha applicato il valore di definizione concordato con la cessionaria per della determinazione della plusvalenza da considerare ai fini dell’accertamento IRPEF.
Non vi è stata, quindi, alcuna “estensione” di tale giudicato, né la C.T.R., con la sentenza impugnata, ha attribuito alle sentenze emesse nell’àmbito del contenzioso riguardante l’avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro autorità di cosa giudicata nel presente giudizio, in quanto la stessa C.T.R. si è limitata a confermare l’utilizzabilità dell’accertamento, ai fini dell’imposta di registro, per la rideterminazione del reddito imponibile da parte della società cedente e dei soci di quest’ultima.
7.2. Il secondo motivo è invece fondato iure superveniente.
Invero, l’art. 5, comma 3, del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147, così dispone: «il testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e il d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5, 5-bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347».
La giurisprudenza di legittimità ha, in proposito, fissato il seguente principio di diritto, che il Collegio ribadisce ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. – condividendo le ragioni sviluppate nei precedenti arresti – secondo il quale: «in tema di imposte sui redditi, la norma di interpretazione autentica di cui al d.lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, avente efficacia retroattiva, esclude che l’Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria» (Cass. 6 febbraio 2020, n. 2816; Cass. 8 maggio 2019, n. 12131; Cass. 1° ottobre 2018, n. 23719), in quanto «la base imponibile ai fini IRPEF è data non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo» (Cass. 2 agosto 2017, n. 19227; Cass. 18 aprile 2018, n. 9513; Cass. 17 maggio 2017, n. 12265; Cass. 6 giugno 2016, n. 11543).
Consegue quindi l’accoglimento del suddetto motivo di ricorso
7.3. Dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso consegue l’assorbimento del terzo motivo.
8. La sentenza deve quindi essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo e dichiara assorbito il terzo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
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