CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 4274 depositata il 10 febbraio 2023
Tributi – Avviso di accertamento – IRES, IRAP e IVA – Deducibilità di costi relativi alla sponsorizzazione di una società di calcio a cinque – Antieconomicità della spesa – Inesistenza di passività dichiarate – Prova – Accoglimento
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 10166/46/14 del 24/11/2014 la Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito CTR) respingeva l’appello proposto da L. s.r.l. (di seguito L.) avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Benevento (di seguito CTP) n. 171/03/13, che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso proposto dalla società contribuente avverso l’avviso di accertamento per IRPES, IRAP e IVA relative all’anno di imposta 2007.
1.1. Come si evince dalla sentenza della CTR, con l’atto impositivo l’Amministrazione finanziaria aveva negato la deducibilità di costi relativi alla sponsorizzazione di una società di calcio a cinque in ragione della antieconomicità della spesa e della mancanza di un legame tra gli spettatori e l’attività della società.
1.2. La CTR rigettava l’appello di L. evidenziando che: a) le eccezioni di nullità per errores in procedendo non coglievano nel segno poiché «nel caso di specie l’accertamento fonda sull’analisi delle giustificazioni addotte dal contribuente in sede di dichiarazione»; b) non era fondata la censura di violazione del contraddittorio, rilevante solo in ragione di una espressa previsione di legge; c) la mancata indicazione dell’aliquota non inficiava l’accertamento, essendo la stessa agevolmente ricavabile dai dati esposti; d) analogamente, per il calcolo dell’IRAP e dell’IVA si poteva fare riferimento ai criteri utilizzati per il calcolo dell’IRES; e) nel merito, le spese di pubblicità ai sensi dell’art. 98, comma 8, della l. 27 dicembre 2002, n. 289, considerate dalla società tra i costi deducibili, non potevano essere riconosciute, atteso che, tenuto conto dei criteri adoperati nell’avviso di accertamento, appariva «assai improbabile che esse abbiano avuto un’effettiva capacità promozionale».
2. Avverso la sentenza della CTR L. proponeva ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, illustrati da memorie ex art. 378 cod. proc. civ. ed ex art. 379 cod. proc. civ., quest’ultima in replica alle conclusioni scritte del Procuratore Generale.
3. L’Agenzia delle entrate resisteva in giudizio con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, L. deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., per avere la CTR deciso su di una controversia differente da quella proposta.
1.1. Il motivo va disatteso, in ciò aderendosi integralmente alle conclusioni del Procuratore generale.
1.2. È vero che la parte in fatto della sentenza impugnata contiene, all’apparenza, degli errori materiali (concernenti la misura dei costi di sponsorizzazione ritenuti indeducibili e il nominativo della società sportiva oggetto di sponsorizzazione), ma è altrettanto vero che nella parte motiva la CTR opera chiaramente una disamina delle questioni effettivamente prospettate dalla società contribuente, che nemmeno trascrive, ai fini dell’autosufficienza, i documenti contabili e fiscali dai quali si potrebbe desumere la rilevanza dell’errore compiuto.
1.3. Va, dunque, esclusa la nullità della sentenza impugnata.
2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la CTR rigettato l’appello del contribuente senza esaminare la copiosa documentazione prodotta.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.2. È noto che «le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui all’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 348-ter cod. proc. civ., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce dell’art. 62 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che l’art. 54, comma 3-bis, del d.l. n. 83 del 2012, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito» (Cass. S.U. nn. 8053 e 8054 del 07/04/2014).
2.2.1. Tali disposizioni si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione successivamente all’11 settembre 2012 (Cass. n. 26860 del 18/12/2014; Cass. n. 24909 del 09/12/2015; Cass. n. 11439 del 11/05/2018) e, dunque, anche al presente giudizio, introdotto con appello depositato il 16/01/2014, come si evince dalla sentenza impugnata.
2.3. È vero che la parte ricorrente denuncia l’omesso esame di una serie di fatti rilevanti e che, nel caso di omessa considerazione dei fatti, non opera il principio sotteso all’art. 348 ter cod. proc. civ. (Cass. n. 29222 del 12/11/2019).
2.3.1. Tuttavia, il fatto decisivo che deve essere omesso per integrare la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. è quello che costituisce l’oggetto di prova nel giudizio di merito e, nel caso di specie, le circostanze rilevanti ai fini della decisione (aliquota e criteri di determinazione delle imposte) sono state esaminate dal giudice di appello; né dalla lettura del motivo risulta che l’esame sia stato omesso dal giudice di primo grado.
2.3.2. Non sussistono, pertanto, fatti omessi che rendano inapplicabile la disciplina di cui all’art. 348 ter cod. proc. civ., atteso che i fatti dedotti dal contribuente ineriscono alla valutazione compiuta dalla CTR.
3. Con il terzo motivo di ricorso si contesta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 39 e 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e dell’art. 7 del l. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto la legittimità di un avviso di accertamento viziato nella motivazione e con il quale si è illegittimamente proceduto all’accertamento induttivo del reddito.
3.1. Il motivo è inammissibile.
3.2. Sotto un primo profilo, va evidenziato che la CTR non si occupa della questione prospettata e, dal contesto del ricorso e degli atti allo stesso allegati, non risulta che la censura sia stata prospettata nei gradi di merito, con conseguente novità della stessa.
3.3. Secondariamente, il motivo difetta di specificità anche sotto un secondo profilo: non è stato trascritto, né allegato, l’atto impositivo del quale si contesta, sostanzialmente, la motivazione a supporto dell’espletamento dell’accertamento induttivo, sicché questa Corte non è messa nelle condizioni di compiutamente valutare quanto lamentato da L..
4. Con il quarto motivo si contesta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR omesso di esaminare la censura concernente la ritenuta antieconomicità della condotta di L..
4.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
4.2. Sotto un primo profilo, pur volendo ritenere ammissibile una censura di omessa pronuncia proposta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. (e non già del n. 4 della medesima disposizione), va detto che non è affatto vero che la CTR abbia omesso di pronunciare sulla questione, avendo il giudice di appello compiutamente spiegato perché la condotta di L. sia indicativa di un comportamento antieconomico della società (la quale sopporta spese pubblicitarie rilevanti senza reali prospettive di ritorno economico, in ragione dell’assenza di una loro effettiva capacità promozionale).
4.3. Per il resto, la censura è inammissibile perché tende ad una rivalutazione dell’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito, preclusa in sede di legittimità sotto il profilo della violazione di legge.
5. Con il quinto motivo di ricorso L. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR: a) erroneamente invertito l’onere probatorio, gravante sull’Ufficio; b) errato nel ritenere i costi di sponsorizzazione dedotti non inerenti.
5.1. Il motivo è fondato con riferimento alla seconda affermazione, mentre la prima si rivela infondata.
5.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «In tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, comma 2,c.c.» (Cass. n. 14237 del 07/06/2017; Cass. n. 9784 del 23/04/2010).
5.3. Nel caso di specie, non è stata tempestivamente contestata la motivazione dell’avviso di accertamento e i presupposti in base ai quali lo stesso è stato emesso (vedi supra, con riferimento al terzo motivo di ricorso), sicché, a fronte di un avviso di accertamento legittimo, in quanto fondato su valide presunzioni, grava sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria di quanto assunto dall’Agenzia delle entrate; con la conseguenza che i principi attinenti alla ripartizione dell’onere della prova sono stati puntualmente rispettati nel caso di specie.
5.4. Piuttosto, la CTR ha omesso di considerare che «le spese di sponsorizzazione di cui all’art. 90, comma 8, della l. n. 289 del 2002, sono assistite da una “presunzione legale assoluta” circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza, a condizione che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale» (Cass. n. 14232 del 07/06/2017, che richiama sentenza non massimata Cass. n. 5720 del 23/03/2016).
5.5. La superiore presunzione legale di inerenza/deducibilità delle spese di sponsorizzazione di società sportive dilettantistiche opera in virtù della sola ricorrenza dei presupposti previsti dalla norma, senza che rilevino, pertanto, requisiti ulteriori e, in particolare, l’antieconomicità della spesa (Cass. n. 8981 del 06/04/2017).
5.6. Ne consegue che la pretesa della CTR di valutare la congruità e la ragionevolezza del costo di sponsorizzazione deve ritenersi contra legem e porta alla cassazione della sentenza in parte qua, dovendo la spesa – in presenza degli altri presupposti previsti dalla disposizione menzionata, non oggetto di contestazione – considerarsi senz’altro deducibile.
6. Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 12 della l. n. 212 del 2000 e dell’art. 5 bis del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR rilevato la mancanza del processo verbale di constatazione.
6.1. Con il settimo motivo di ricorso si contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR ritenuto l’illegittimità dell’accertamento in ragione della mancata attivazione del contraddittorio da parte dell’Ufficio.
7. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e vanno disattesi.
7.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 «deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva» (Cass. S.U. n. 18184 del 29/07/2013).
7.2. Tuttavia, la nullità derivante dal mancato rispetto del termine dilatorio, decorrente dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, riguarda – anche con riferimento all’IVA (Cass. nn. 701 e 702 del 15/01/2019) – solo ed esclusivamente il triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività e non anche le verifiche cd. a tavolino.
7.3. Con riferimento a queste ultime soccorre la previsione di Cass. S.U. n. 24823 del 09/12/2015, per la quale, con riferimento ai tributi cd. non armonizzati, «non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale», mentre per i tributi cd. armonizzati, secondo quanto emerge dal diritto unionale, per come interpretato dalla Corte di giustizia della UE, «l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa» (cd. prova di resistenza).
7.4. Nel caso di specie, trattasi pacificamente di verifica non effettuata con accesso presso i locali di pertinenza dell’imprenditore ma a tavolino, sicché: da un lato, non rileva la mancata redazione di un processo verbale di constatazione, idoneo ad attestare la chiusura delle operazioni di verifica, non essendo necessario il contraddittorio endoprocedimentale con riferimento ad imposte dirette e IRAP; dall’altro, con riferimento all’IVA, non è stata formulata alcuna prova di resistenza dalla società contribuente.
8. Con l’ottavo motivo di ricorso si contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 167 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per non avere la CTR esaminato la censura concernente le carenze della difesa in appello di AE.
8.1. Il motivo è inammissibile.
8.2. Il vizio di omessa pronuncia non è, infatti, configurabile in relazione alle questioni di natura processuale (Cass. n. 10422 del 15/04/2019; Cass. n. 25154 dell’11/10/2018; Cass. n. 1876 del 25/01/2018; Cass. n. 22083 del 26/09/2013).
9. Con il nono motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 21 septies della l. 7 agosto 1990, n. 241, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato l’avviso di accertamento sottoscritto da soggetto non abilitato.
9.1. Il motivo è inammissibile.
9.2. La questione della nullità dell’avviso di accertamento sottoscritto da funzionario privo di legittimazione a rappresentare l’Agenzia delle entrate per difetto di adeguata qualifica è stata sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione ed è, dunque, preclusa (cfr. Cass. n. 15854 del 13/08/2004; Cass. n. 24681 del 21/11/2006; si veda anche Cass. n. 33769 del 19/12/2019), non essendo stato eccepito alcunché né nel corso del giudizio di appello, né nel corso del giudizio di primo grado.
10. In conclusione, va accolto il quinto motivo di ricorso nei limiti di cui si è detto, rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata con riferimento al motivo accolto e, non essendovi ulteriori questioni di fatto da esaminare, la causa va decisa nel merito, con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente.
10.1. In ragione della novità della questione oggetto di accoglimento al tempo della proposizione del ricorso per cassazione, sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il quinto motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della ricorrente; dichiara interamente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.
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