CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 47902 depositata il 1° dicembre 2023
Amministratore unico società – Mancata esibizione dei documenti relativi al rapporto di lavoro intercorso – Esclusione causa di forza maggiore – Inammissibilità
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 20/03/2023, il Tribunale di Locri ha condannato alla pena di giustizia C.E., in relazione al reato di cui alla L. n. 628 del 1961, art. 4, comma 7, a lei ascritto con riferimento alla mancata esibizione dei documenti (meglio specificati in rubrica) della I. s.r.l., che l’Ispettorato Provinciale del Lavoro le aveva richiesto quale amministratore unico della predetta società.
2. Ricorre per cassazione la C., a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta insussistenza della causa di forza maggiore, di cui la ricorrente aveva fornito la prova. Da un lato, si osserva che la documentazione richiesta riguardava il rapporto di lavoro intercorso nel periodo 2012/2014 con F.D. (ex cognato della C.), il quale aveva gestito il punto vendita della società (attività cessata al momento degli accessi ispettivi) curandone tutti gli aspetti amministrativi e gestionali. D’altro lato, si evidenzia che la documentazione era depositata presso il consulente E., che all’epoca si relazionava direttamente con il F. e che alla ricorrente aveva, in un primo tempo, fornito risposte vaghe e generiche, obbligandola ad incaricare un avvocato e a rivolgere richieste formali alla fine adempiute: pertanto, la C. non poteva ritenersi responsabile della incompletezza della documentazione e del ritardo nella consegna.
3. Con memoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, evidenziando che la difesa aveva dedotto censure attinenti al merito delle valutazioni operate e congruamente motivate dal Tribunale.
4. Con memoria di replica, il difensore insiste per l’ammissibilità e fondatezza del ricorso, insistendo per il suo accoglimento.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Secondo un indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte del tutto consolidato, “in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento” (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747 – 01).
In tale condivisibile prospettiva ermeneutica, il motivo di ricorso non supera lo scrutinio di ammissibilità, risolvendosi nella censura del merito delle valutazioni espresse dalla Corte territoriale (in piena sintonia con il primo giudice), e nella prospettazione di una diversa lettura delle risultanze acquisite, stando alla quale il mancato adempimento sarebbe riconducibile a forza maggiore, per via dei cattivi rapporti con l’ex cognato denunciante che peraltro curava gli aspetti amministrativi e gestionali della società, e delle vaghe risposte ottenute dal commercialista (in stretti rapporti con l’ex cognato), che l’avevano costretta ad affidarsi ad un legale.
Si tratta appunto, all’evidenza, di una richiesta di un diverso apprezzamento degli elementi in atti, in questa sede certamente precluso. Deve peraltro aggiungersi che il motivo non sembra adeguatamente confutare la esaustiva motivazione della Corte territoriale, che per un verso ha dettagliatamente ricostruito i fatti da un punto di vista diacronico (prima richiesta nell’agosto 2018, con termine fissato ad ottobre e poi a dicembre dello stesso anno; ulteriore accesso nel luglio 2019, in cui si verbalizza il protrarsi dell’inottemperanza; intervento del legale nella C. nell’ottobre 2019; produzione di parte dei documenti nel dicembre successivo).
Per altro verso, la Corte d’Appello ha osservato, su tali basi, che la ricorrente era perfettamente a conoscenza dell’obbligo su di lei gravante e sui termini assegnati (la diffida ad esibire ed il verbale le erano stati consegnati già in sede di primo accesso), e che la configurabilità della forza maggiore doveva essere esclusa proprio in considerazione della possibilità, per la C., di attivarsi nell’ampio arco temporale descritto (cfr. pag. 7 segg. della sentenza impugnata). Ne’, d’altra parte, può conferirsi dirimente rilievo alla lamentata assenza di riferimenti, in sentenza, alle deposizioni dei testi indicati dalla difesa: emerge infatti dai verbali allegati al ricorso che i testi si erano soffermati, rispettivamente, sull’attivarsi della C. nell’ottobre 2019 e sulla rilevanza, nell’assetto aziendale, della figura dell’ex cognato della ricorrente: aspetti ai quali, alla luce di quanto precedentemente esposto, non può in alcun modo attribuirsi rilevanza decisiva.
3. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
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