CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 5171 depositata il 17 febbraio 2023
Tributi – Catena fittizia di cooperative – Socio di fatto – Illecite somministrazioni di lavoro sotto forma di appalti di mano d’opera – Omesso versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi compensato con fittizie poste IVA – Accoglimento
Fatti di causa
A seguito di pvc formato il 6 luglio 2011 dall’Ufficio Centrale Antifrode veniva notificato atto impositivo di ripresa a tassazione per l’anno 2007 al sig. M.L., nella sua qualità di liquidatore della soc. V. s.c.a.r.l., unitamente ai signori A.M., M.S., P. T., ciascuno nella triplice veste di socio di fatto ed autore delle violazioni, socio della prefata cooperativa V., nonché quale autore delle violazioni.
Nel particolare, le indagini ricostruivano una catena fittizia di cooperative, funzionale all’assunzione irregolare di mano d’opera comune, per la maggior parte costituita da extracomunitari iscritti come soci di lavoro, tesa a fornire illecite somministrazioni di lavoro sotto forma di appalti di mano d’opera, ove l’omesso versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi era compensato con fittizie poste IVA, consentendo ai soci di fatto e gerenti le cooperative il prelievo delle somme accreditate sui conti correnti delle cooperative. Pertanto, l’atto impositivo imputava per trasparenza ai soci di fatto T., S. e M. una società di fatto assimilabile ad una s.n.c., priva di carattere mutualismo.
Reagiva la cooperativa tramite il suo legale rappresentante che contestava ogni responsabilità ed ogni legittimazione passiva, dovendosi rivolgere l’atto unicamente verso i tre soci di fatto, in coerenza con il disegno illecito evidenziato dallo stesso Ufficio, trovando ragione nei due gradi di merito, donde ricorre per cassazione l’Ufficio affidandosi a cinque mezzi, mentre è rimasta intimata la parte contribuente.
Ragioni della decisione
.I. Vengono proposti cinque motivi di ricorso.
Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 36, secondo comma, d.lgs. n. 546/1992 nella sostanza lamentando la nullità della sentenza per motivazione contraddittoria e meramente apparente, laddove da un lato ritiene parte del giudizio la sola società cooperativa V., mentre dall’altra valorizza il suolo del sig. M. quale prestanome.
Nella sua concisione sul punto, il terz’ultimo capoverso della sentenza in scrutinio dà conto delle ragioni per cui è lo stesso PVC (e l’avviso di accertamento con esso) a qualificare il M. come soggetto fittizio e, quindi, estraneo alle vicende societarie. In disparte la fondatezza dell’assunto, rileva qui la circostanza della contraddittorietà di dichiarare estraneo e, per l’effetto, legale rappresentante pro tempore della società dei cui debiti tributari qui si tratta. Sicché non è raggiunto e superato il minimo costituzionale necessario per far uscire la motivazione dalla mera apparenza, rendendo comprensibile il percorso che ha portato il collegio d’appello ad escludere la responsabilità del liquidatore per i debiti fiscali della società, in quanto prestanome. Ed infatti è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr. Cass V, n. 24313/2018). Come si è detto sopra, ancorché errata, la motivazione è immediatamente percepibile dal contesto della sentenza in scrutinio.
Il motivo è quindi fondato ed assorbente, poiché la denuncia di motivazione apparente, se fondata, è dirimente per l’intero giudizio, potendosi ritenere assorbiti i rimanenti mezzi di doglianza.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per la Campania, in diversa composizione, cui demanda altresì la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
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