CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 5176 depositata il 17 febbraio 2023
Tributi – Omesso versamento delle ritenute operate dall’A.S.L. Napoli 3 Sud – Silenzio rifiuto – Domanda di autotutela – Rifiuto opposto alla richiesta di autotutela – Controversia definita con sentenza passata in giudicato – Accoglimento – revocazione della sentenza
Fatti di causa
La controversia sorge per l’omesso versamento delle ritenute operate dall’A.S.L. Napoli 3 Sud per l’anno di imposta 2009, cui seguiva atto di ripresa a tassazione, non rivista in autotutela sulla cui domanda si formava il silenzio rifiuto avversato dall’Amministrazione sanitaria, esitando in rigetto nei gradi di merito, cui reagiva la contribuente esperendo ricorso per revocazione straordinaria, sull’assunto di essere incorsa in errori, di aver trovato documenti nuovi e rilevanti per il giudizio. Anche la revocazione aveva esito sfavorevole, sull’assunto non fosse stata data dimostrazione dell’impossibilità di produrre in momento precedente i documenti ritenuti essenziali al fine del decidere.
L’A.S.L. introduceva nuova domanda di autotutela, cui l’Ufficio rispondeva non poter aderire, poiché sul rapporto si era formato il giudicato e rappresentando le superiori istruzioni che in tali circostanze inibiscono il potere di autotutela. Avverso il diniego ricorreva nuovamente l’Amministrazione sanitaria, trovando accoglimento in entrambi i gradi di merito, cui reagisce l’Ufficio, ricorrendo per cassazione avverso la sentenza citata in epigrafe, spiegando quattro mezzi, cui replica il patrono della contribuente con tempestivo controricorso, mentre la parte privata ha depositato tardivamente memoria.
Ragioni della decisione
.I. Vengono proposti quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando non essere stata considerata l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso avverso il diniego di autotutela.
Il motivo è infondato. Ed infatti, non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n.2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n.1537). Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, n. 5583/2011).
All’evidenza, l’eccezione proposta dal patrono erariale deve intendersi rigettata, perché incompatibile con il prosieguo del ragionamento che sostiene il decisum qui all’esame.
.II. Con il secondo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione dell’art. 2-quater, primo comma, d.l. n. 564/1994, dell’art. 2, secondo comma, d.m. 37/1997 e dell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992, nella sostanza lamentando che la CTR abbia ritenuto illegittimo il rifiuto opposto alla richiesta di autotutela perché relativa a controversia definita con sentenza passata in giudicato.
Con il terzo motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 2909 c.c. ed ancora dell’art. 2-quater, primo comma, d.l. n. 564/1994, dell’art. 2, secondo comma, d.m. 37/1997 e dell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992, nella sostanza lamentando la violazione dei principi del giudicato e della stabilità dei rapporti.
Con il quarto motivo si prospetta censura per ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione ancora dell’art. 2-quater, primo comma, d.l. n. 564/1994, dell’art. 2, secondo comma, d.m. 37/1997 e dell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992, sotto ulteriore profilo, nella sostanza criticando la ratio decidendi ove la gravata sentenza afferma un dovere di generale imparzialità dell’amministrazione pubblica ed un dovere di rimozione dell’atto illegittimo in ogni momento, specie se commisurato al rischio di chiusura dell’A.S.L. chiamata ad onorare un debito tributario di oltre dieci milioni.
I tre motivi possono essere trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, vertendo sui limiti al potere dell’autotutela e sono fondati.
.III. Occorre ricordare che ogni pubblica amministrazione opera secondo il canone di legalità di cui al primo comma dell’art. 97 Cost., ivi concretandosi il principio di sovranità popolare che, attraverso la produzione legislativa affidata alle due Camere (art. 70 Cost.), fissa i parametri dell’azione amministrativa. Le situazioni giuridiche soggettive, gli interessi legittimi pretensivi od oppositivi vengono bilanciati e fissati in atti provvedimentali – capaci di incidere autoritativamente ed unilateralmente sui diritti personali e patrimoniali- avverso i quali è sempre ammesso ricorso giurisdizionale per violazione di legge (art. 113 Cost.), risolvendosi l’azione in una sentenza che definisce con la forza del giudicato i rapporti, trasformando gli interessi legittimi (qualsiasi cosa essi siano) in diritti soggettivi perfetti. Certo, permane ancora la possibilità della P.A. di intervenire sul rapporto, in ragione del generale potere a provvedere (art. 21 e ss. l. n. 241/1990), tuttavia giustificato da sopravvenuti eccezionali elementi che debbono essere posti in bilanciamento con la forza del giudicato e risultare prevalenti, tanto da incidere sulla sentenza che tradizionalmente è “legge del caso particolare”. Non vi è dunque un dovere di provvedere in autotutela, bensì -all’opposto- una motivazione rafforzata sul carattere sopravvenuto e rilevantissimo degli elementi che inducono a superare il giudicato, tanto che è nullo (art. 21 septies l. n. 241/1990 e art. 30, quarto comma, d.lgs. n. 104/2010) l’atto adottato in violazione od elusione del giudicato. Ed un tanto è posto a garanzia dei consociati, affinché non si produca una serie di provvedimenti con rincorsa defatigante al loro annullamento, ma è anche funzionale a prevenire l’abuso del diritto, al solo scopo di rimettere nel circuito giurisdizionale profili ormai definiti, minando la stabilità dei rapporti e l’affidamento sui diritti quesiti (cfr. Cass. S.U. 3698/2009, V, n. 15220/2012). Né tali eccezionali e rilevantissimi motivi possono ridursi all’indicazione di errori nella quantificazione o calcolo di imposta, riducendosi a profili di interesse della sola parte contribuente (cfr. Cass. V, n. 1965/2018).
Sul punto è intervenuta anche la Corte costituzionale, affinando il principio di generale impugnazione giurisdizionale degli atti amministrativi di cui al ricordato art. 113 della Carta. Ed infatti, il Giudice delle leggi ha stabilito che non costituisce atto tacito impugnabile il silenzio serbato dall’Amministrazione finanziaria su istanza di autotutela di cui all’art. 2 quater, primo comma, d.l. n. 564/1994, invocato nei motivi in scrutinio, poiché non si tratta di inadempimento amministrativo, posto che l’azione si è già esplicata e la revisione non è atto dovuto (cfr. Corte cost. n. 181/2017).
Peraltro, questa Corte ha successivamente ribadito che in tema di contenzioso tributario, poiché il rigetto è atto definitivo in sede amministrativa, autonomamente impugnabile, sono inammissibili l’istanza di revisione di detto rigetto e l’impugnazione del relativo diniego, costituendo l’istanza una mera sollecitazione del potere di autotutela, il cui esercizio è discrezionale e funzionale alla soddisfazione di esigenze di rilevante interesse generale (cfr. Cass. V, n. 18604/2019).
In questo senso, ed a chiusura, preme notare che già nel giudizio di revocazione esperito dall’Amministrazione sanitaria avverso la sentenza tributaria di secondo grado, il collegio della revisione dichiarava inammissibile la domanda, ritenendo non nuovi e, comunque, deducibili in sede ordinaria gli argomenti proposti per la revocazione (cfr. CTR Campania, sent. 2627/31/2017).
Pertanto, il ricorso è fondato e, non residuando ulteriori accertamenti in fatto, può essere definito con decisione ex art. 382 c.p.c., di cassazione senza rinvio, dichiarando inammissibile il ricorso introduttivo dell’amministrazione sanitaria contribuente.
P.Q.M.
Accoglie i motivi secondo, terzo e quarto riuniti, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata e dichiara inammissibile il ricorso introduttivo della parte contribuente.
Compensa integralmente fra le parti le spese dei gradi di merito e condanna la parte contribuente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in €. cinquemilaquattrocento/00, oltre a spese prenotate a debito.
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